domenica 30 novembre 2014

Dialogo con chi è fuori



Il domenicano Marie-Joseph Lagrange. 

(Cristiana Dobner) Paolo VI nel 1974 alla Pontificia Commissione Biblica parlò di «un gran maestro dell’esegesi, un uomo nel quale hanno brillato in modo eccezionale la sagacità critica, la fede e l’attaccamento alla Chiesa: vogliamo dire il Padre Lagrange». A sua volta Giovanni Paolo II, il 31 ottobre 1992 in un discorso ai membri dell’Accademia Pontificia delle Scienze ha definito l’opera in campo biblico del padre domenicano «l’opera di un pioniere». Continuando a delinearne l’epoca affermò: «Certuni, preoccupati di difendere la fede, pensarono che si dovessero rigettare conclusioni storiche seriamente fondate. Fu quella una decisione affrettata e infelice».
Travagliata e insieme solare fu infatti la vita del domenicano che aprì nuove prospettive nello studio della Sacra Scrittura. La sua produzione scientifica lascia stupefatti: quattordici volumi nella collana Études bibliques, altri tredici volumi meno poderosi ma non meno importanti, millecinquecento recensioni di studi biblici, duecentosettanta articoli. In totale sedicimila pagine di argomento biblico. In vista del suo processo di beatificazione tutti gli scritti sono stati individuati e riordinati.
Egli seppe riconciliare, come dimostrò Jean Guitton, scienza e fede.
Nella biografia più autorevole, scritta dal confratello Bernard Montagnes, giustamente padre Lagrange è considerato una figura gigantesca di studioso, ora però gli si può affiancare quella altrettanto gigantesca dell’uomo di Dio, grazie alla stampa nei tipi di Journal Spirituel (Parigi, Cerf, 2014, pagine 522, euro 29). Un tomo imponente, che si apre con il primo quaderno (1879-1895) e si chiude con le ultime note nel luglio 1932.
Il padre maestro, durante il noviziato a Saint-Maximin, aveva chiesto al giovane domenicano Marie-Joseph di tenere un diario spirituale per poter distinguere le sue emozioni e i suoi stati d’animo, per comprendere l’azione di Dio nella sua anima. Si scopre così il suo volto più personale, inedito e riservato, il lavorio dello Spirito e l’accettazione di ogni avvenimento da parte di una persona sensibilissima e rivolta costantemente a Dio. Le pagine trasudano questa ricerca inesausta, fondata sulla Parola di Dio, sull’Eucaristia e con uno straordinario legame alla Madre di Dio.
La nascita di Albert, nel 1855, in una famiglia dell’alta borghesia borgognona, aveva predisposto un terreno fecondo sotto tutti i profili per la sua maturazione: eccellente ambiente culturale pari all’esemplarità di vita cristiana. Fin da ragazzo Albert dimostrò interesse per lo studio, l’estetica e la scienza. Predilesse il disegno e la musica apprendendo a suonare il violoncello, con notevoli incursioni nella geologia, grazie allo zio materno Albert Falsan, e nell’archeologia, sotto la guida di Gabriel Bulliot. Portò poi a termine gli studi universitari a Parigi con il dottorato in Diritto.
Precoce fu il richiamo alla vita religiosa: «Mi sembrava di camminare in piena luce, come se Dio mi mostrasse la strada illuminandola come una fiamma ardente». Oscura invece rimane la dinamica della decisione ma chiarissimo l’esito: a diciassette anni Albert aveva già deciso di diventare domenicano. Chiese allora l’aiuto del santo Curato d’Ars affidandogli, nel corso di un pellegrinaggio, la sua vocazione: «Durante le vacanze sono andato ad Ars con mia madre e sono stato sfiorato dalla grazia. Ho chiesto a santa Filomena di morire nell’Ordine di san Domenico, fosse anche martire, e ho domandato un segno tangibile della mia vocazione sacerdotale: chiesi che Paul si confessasse prima di partire per l’Algeria, dove dovevamo recarci a trovare mio fratello che entrava in monastero. A Aix, dove andai ad incontrarlo, Paul prese tempo. Poi siamo partiti per Marsiglia; pensavo che fosse stato tutto inutile quando egli stesso mi ha portato alla chiesa dei domenicani. Questo segno è stato così evidente che sono rimasto in un cantuccio in fondo alla chiesa fino a quando lui è venuto a strapparmi alla preghiera. Qualche tempo prima, a Paray-le-Monial, Nostro Signore mi aveva prodigato tutta la dolcezza del suo amore».
Infine, dopo un anno di seminario diocesano, a ventiquattro anni Albert varcò la soglia del noviziato dei domenicani a Saint-Maximin in Provenza nel 1879.
A motivo dell’intricata questione politica della Francia e delle leggi anticlericali, nel 1880 i domenicani decisero di rifugiarsi in Spagna. Durante il soggiorno a Salamanca il giovane frate incrociò la spiritualità carmelitana e Teresa di Gesù entrò profondamente nella sua vita. Successivamente destinato agli studi biblici, Marie-Joseph venne inviato all’università di Vienna per studiare Sacra Scrittura e lingue orientali. Nel 1890 fu trasferito al convento di Saint-Etienne a Gerusalemme — dove avrebbe vissuto per quarant’anni — e nel novembre fondò l’École biblique.
Non mancarono difficoltà di ogni tipo ma Marie-Joseph seppe superarle creando nel convento domenicano la sede ideale per la scuola biblica e consegnando ai suoi confratelli un nuovo apostolato, in linea diretta con il carisma di san Domenico, loro fondatore: «Tutte le mie innovazioni sono nell’esegesi, e solo nell’esegesi storica, letteraria, filologica; poiché l’esegesi dogmatica, fissata dalla Chiesa, non potrebbe esser oggetto di discussione e d’innovazione».
Si osservino alcune date essenziali, sottese alle note, del suo Journal spirituel: 1892, fondazione della Revue Biblique; 1897, Congresso di Friburgo; 1900, apertura della collana Études Bibliques; 1902, conferenza di Tolosa con la dimostrazione dell’efficacia del metodo storico-critico nella lettura dell’Antico Testamento.
Le opposizioni non mancarono, seppure da fronti diversi: dai gesuiti per il rifiuto del metodo della critica storica, dai francescani per i dubbi sollevati sull’autenticità dei santuari. Marie-Joseph non poté difendersi, perché colpito da sanzione, e gli fu impossibile pubblicare il commento a Genesi. Nel 1907 fu raggiunto anche dalla proibizione di continuare le sue ricerche bibliche. Nel 1911 la Congregazione Concistoriale, dopo la pubblicazione del suo commento al Vangelo di Marco, lo accusò di razionalismo.
Il 1912 fu l’annus terribilis. Accomiatandosi dall’École biblique di Gerusalemme il 3 settembre disse: «Bando all’amarezza e allo smarrimento! Nessun soldato degno di questo nome discute l’ordine che lo manda in battaglia, tanto meno può arrendersi o disertare. La mia preghiera e il mio cuore sono con voi, ma non contate più sul mio aiuto poiché sapete che non potrei darvelo senza essere sleale, anche indirettamente o di nascosto. Se Dio vuole che quest’opera continui a esistere, è Lui che la farà vivere come in passato, ma voi meritate la sua assistenza solo a condizione che restiate coraggiosi, pieni di entusiasmo e soprattutto veri religiosi e figli sottomessi con lo spirito e il cuore all’Ordine e alla Chiesa».
Ripetutamente nelle pagine delle sue note più profondamente personali, ritornano espressioni quali «Dichiaro anche, nella maniera più esplicita, di sottomettere al giudizio della sede apostolica tutto ciò che ho scritto»; «Voglio dire ancora una volta che sono figlio di Maria: Tuus sum ego, salvum me fac!».
Pio X, impressionato dall’obbedienza di Lagrange, il 16 agosto 1912 scrisse al maestro dell’Ordine Hyacinthe-Marie Cormier: «Ho letto con estrema attenzione la bella lettera di p. Lagrange; abbiate la bontà di rispondergli che non dubitavo dei suoi sentimenti e che mi rallegro per la sua totale obbedienza».
Durante la prima guerra mondiale padre Lagrange non smise di lavorare e riuscì a pubblicare il commento alla Lettera ai Romani e alla Lettera ai Galati; fu conferenziere inesausto e perseverò nella pubblicazione di Revue Biblique. L’École Biblique poté così continuare con i suoi progetti anche durante la guerra. La pubblicazione di Il Vangelo di Gesù Cristo fu seguita da un giudizio negativo, sconsigliandone la lettura in seminario perché era preferibile optare per la pietà piuttosto che per la scienza e quindi si doveva far crescere la devozione.
I riconoscimenti, pur ritardando, si fecero però eloquenti: l’École Biblique divenne Scuola Archeologica francese e nel 1924 venne concessa la libertà di ricerca pur sotto il controllo delle autorità ecclesiastiche. Padre Lagrange non poté vedere l’accettazione del metodo, ritenuto da lui solo uno strumento, per una lettura teologica della Bibbia come Parola di Dio, riconosciuto successivamente da encicliche e documenti papali.
Quando la scuola e la pubblicazione della rivista passarono a padre Dhorme, Lagrange poté dedicarsi a una serie di grandi lavori: Évangile selon saint Luc (1921), Évangile selon saint Matthieu (1923), Évangile selon saint Jean (1925), Synopsis evangelica graece (1926), L’Évangile de Jésus-Christ (1928), Le judaïsme avant Jésus-Christ (1931).
Egli operò una rinascita del carisma domenicano in chiave moderna nel corso di un’avventura biblica e scientifica eccezionali per l’esegesi al servizio della Chiesa, con una nota di fondo personale: «Colui che non ha sofferto per la Chiesa non sa che cosa significa amare la Chiesa».
Nel 1935, per la malferma salute, dovette ritornare da Saint-Maximin a Tolosa. Il suo testamento spirituale ne palesa lo stato d’animo interiore: «Ave o Maria! Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo! (...) Dichiaro davanti a Dio che è mia intenzione morire nella santa Chiesa cattolica, alla quale ho sempre appartenuto col cuore e con l’anima fin dal mio battesimo, e di morire fedele ai miei voti di povertà, castità e obbedienza nell’Ordine di san Domenico. Mi raccomando perciò a Gesù mio buon Salvatore, presso la sua Santa Madre, sempre così buona con me».
Aggravatosi improvvisamente, le sue ultime parole, espresse con molta calma, furono: «Mi abbandono a Dio». Era il 10 marzo 1938: spirò durante il canto della Salve Regina.
Un censore teologo gesuita scrisse: «Dopo san Girolamo, la Chiesa non ha conosciuto un gigante simile nell’interpretazione della Sacra Scrittura. Tanto nell’uno che nell’altro, vi è lo stesso amore di Dio, di Cristo, della Chiesa, delle anime; la stessa attenzione per la Tradizione e per il dialogo con chi si trova al di fuori; il medesimo ardore per il lavoro e per la pubblicazione».
L'Osservatore Romano