lunedì 8 settembre 2014

Riflessioni sull’ipocrisia



Da Padre Giovanni Cavalcoli
Come è noto, nel denunciare i vizi dai quali dobbiamo guardarci, Gesù insiste in modo speciale sull’ipocrisia. Egli è particolarmente severo contro gli ipocriti e porta molti esempi di ipocrisia, che dobbiamo evitare. Giunge fino al punto di dire che l’ipocrisia conduce alla dannazione (Lc 12,46; Mt 24,51). Chiediamoci perché Gesù dà tanta importanza all’ipocrisia. Prima ancora, però, vediamo in cosa essa consiste. Dopodichè bisognerà vedere come riconoscerla, cosa non facile, ed infine vedremo quali sono i rimedi.
L’ipocrisia è quell’atteggiamento per il quale il soggetto, per ottenere approvazioni od onori dagli onesti, assume all’esterno un modo di pensare o di agire apparentemente onesto, ma internamente, “sotto sotto”, come si suol dire, l’intenzione è cattiva, ingannevole e dannosa nei confronti di quegli stessi onesti. Si tratta dunque di una forma di finzione o simulazione, che si propone di ottenere un successo mondano acquistandosi una fama immeritata di virtù.
La parola “ipocrisia” viene dal greco ypò-krisis, che comporta un “giudicare-sotto”: krisis da krino che vuol dire “giudico”, un giudizio nascosto nel cuore, che non corrisponde a quanto diciamo o facciamo esternamente.
Siccome l’ipocrita non crede veramente nei valori che finge di apprezzare, ma invece mette il proprio io davanti a Dio, non cela in ogni occasione la sua disonestà, che può avere svariatissime forme, ma la manifesta apertamente con coloro che condividono i suoi errori o i suoi misfatti e che quindi possono apprezzarlo.
Si riscontra questo atteggiamento per esempio nelle società segrete o nell’esoterismo, dove il soggetto si presenta in modo esternamente onorevole e normale verso il pubblico comune, mentre manifesta le sue intenzioni segrete o con i colleghi o agli iniziati.
Così per esempio l’ipocrita, che in cuor suo magari è massone, si mostra tale con i suoi colleghi, ma, all’occasione favorevole, si mostra cattolico con i cattolici, protestante con i protestanti, ateo con gli atei, idealista con gli idealisti, e così via. E magari secondo lui questo sarebbe il modo di dialogare con tutti.
Il vizio dell’ipocrisia è particolarmente odioso, viscido, grave e colpevole, perché non è semplicemente un vizio passionale o istintuale, come può essere la lussuria o l’intemperanza, causato più da fragilità che da malizia. L’ipocrita non è impulsivo o maleducato come il passionale o la persona sgarbata, rozza o violenta, che in fin dei conti può nascondere buone benchè velleitarie intenzioni o essere in buona fede o solo psichicamente turbata o immatura, come per esempio i giovani.
Facilmente l’ipocrita si propone al pubblico come austero moralizzatore di tali persone, mentre egli nell’intimo è molto peggio di loro. Tutto ciò concorre alla creazione della sua immagine o, come si dice, dal suo look, di persona ragguardevole e moralmente esemplare. Per esempio, da una parte si scaglia inorridito contro i pedofili e dall’altra favorisce o approva subdolamente l’eresia e la dissoluzione della fede.
L’ipocrita può avere ottime maniere, egli è “falso e cortese”, può essere una persona altolocata o socialmente influente, ma intanto cova magari a lungo il veleno nel suo cuore, veleno che all’occasione non mancherà di sputare contro il povero malcapitato indifeso che si fida di lui; dal che si riconosce la presenza di questo cancro in persone che magari un momento prima hanno pregato con te, ti hanno trattato con la massima gentilezza e cortesia, ti danno alla Messa il segno della pace, senza risparmiare lodi e complimenti. Come non sdegnarsi davanti a simili comportamenti? Da qui comprendiamo lo sdegno di Cristo.
L’ipocrisia dunque è un vizio calcolato, potremmo dire “intelligente”, frequente nelle persone colte, e il suo atto è studiosamente modellato e premeditato con una specie di astuzia o falsa prudenza che la Scrittura chiama “prudenza della carne”, che sa attendere il momento opportuno e le circostanze favorevoli con una perfida pazienza ed abilità, che a volte stupisce.
Al poveraccio che non ha niente da perdere l’ipocrisia non interessa. E forse è proprio lui un miglior candidato al regno dei cieli. L’ipocrita si finge amico, ma intanto trama nell’ombra e colpisce improvvisamente l’innocente alle spalle restando nascosto, come  un serpente che ti morde. Ecco perchè Gesù chiama gli ipocriti “serpenti” e “razza di vipere”.
Gesù chiama “lievito” (Lc 12,1) questo vizio, perché sembra stimolare ed incentivare l’azione e l’affermazione di sé magari grazie a una falsa spiritualità o a grandi opere nelle quali si cerca di figurare agli occhi del mondo. Tale atteggiamento può dare addirittura a certi pastori ambiziosi l’illusione o l’apparenza di lavorare in modo “aggiornato” per la Chiesa e per le anime.
E invece, per dirla sempre col Signore, gli ipocriti percorrono terra e mare, ossia si danno un gran da fare con un enorme dispendio di mezzi, per procurarsi poi dei discepoli e successori che sono peggio di loro.
Così si spiegano le osservazioni che già troviamo nell’Antico Testamento: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me” (Is 29,13, ripreso da Gesù in M; 7,6); “con la bocca benedicono e maledicono nel loro cuore” (Sal 62,5); “il nemico ha il dolce sulle labbra” (Sir 12, 16-18); “veleno d’aspide sotto le loro labbra” (Sal 140,4); “parla di pace, ma nell’intimo ordisce un tranello” (Ger 9,7); “untuosa è la sua bocca, ma nel cuore ha la guerra” (Sal 55, 21-22); “davanti a te il suo parlare è tutto dolce, ammira i tuoi discorsi, ma alle tue spalle cambierà il suo parlare e porrà inciampo alle tue parole” (Sir 22,26). Questo poi magari lo veniamo a sapere da altri e ci accorgiamo con chi abbiamo avuto a che fare.
 Ma l’ipocrita è difficilmente guaribile, proprio perchè questo peccato non è un impulso costringente come quello di una cattiva passione che in fondo il soggetto non vorrebbe, per cui egli dolorosamente dice con Seneca. “video bona proboque, deteriora sequor”, no, l’ipocrisia è una precisa voluta e sistematica scelta di condotta. Certo essa può trarre occasione dall’invidia, può nascere dalla ribellione del vecchio Adamo contro Dio, può sorgere dall’egoismo, dall’ambizione, dal desiderio di emergere o da fallimenti, disillusioni o frustrazioni subìte.
L’ipocrita è difficilmente guaribile perché, a causa della sua superbia e ostinazione, è incapace di pentimento. Essendo legge a se stesso, ritiene di non peccare mai, mentre è immerso nel peccato fino al collo. Come prova di ciò basterebbe considerare il fatto che i farisei non si sono affatto pentiti neppure davanti all’esempio e alle parole di Gesù: anzi ciò li ha maggiorate irritati costituendo Gesù un richiamo perentorio alla loro coscienza per loro insopportabile.
L’ipocrita dà mostra di una spavalda allegria e sicurezza, ma in realtà non può soffocare del tutto la voce della coscienza che lo tormenta, e questo stesso fatto è il residuo di dignità che gli resta: in ogni momento egli ha la possibilità di ascoltarla e di convertirsi.
L’ipocrisia è per sua essenza un vizio nascosto, come un cancro che a tutta prima non dà segni della sua esistenza, ma al contrario l’individuo sembra sano. Ma è un vizio grave proprio perché proviene dall’intimo, dal cuore, mentre i fatti esterni sembrano buoni.
E’ possibile in qualche modo almeno per un certo tempo fingere la virtù, fingere la santità.  Eppure ad un’attenta analisi, come si fa con i tumori, è possibile svelare questo vizio. In sostanza l’ipocrita è un falsario, è un impostore, è una persona insincera. Con la sua astuzia diabolica può ingannare per un certo tempo anche un santo, anche un prudente pastore, ma prima o poi le sue insidie appaiono alla luce soprattutto per i frutti amari che esse producono.
Per esempio, dopo 50 anni di successi del rahnerismo cominciano ad apparire sempre più chiari, diffusi ed impressionanti gli effetti negativi delle sue idee nella dottrina e nel costume morale, per cui si impone sempre più urgente la necessità di porvi rimedio con un recupero della sana dottrina, sia pur quella che sorge dal Concilio Vaticano II, frainteso da Rahner, per cui occorre che la Chiesa stessa  corregga i suoi errori, pur salvando gli aspetti positivi[1].
Il rimedio all’ipocrisia è la sincerità. Ma occorre intendersi su questa parola. Non si tratta, come alcuni credono, di quella “sincerità” con la quale uno vomita al di fuori senza ritegno e a ruota libera tutto il fango o l’astio che ha nel suo cuore o che emerge dal subconscio, quasi fosse una “ipocrisia” il tentativo di frenare il torrente fangoso o di reprimere questo sfogo violento ed offensivo.
Al contrario, la vera sincerità è il possesso di una carità sincera, che non si limita a tener dentro l’odio e il disprezzo. Il che non risolverebbe niente. Si tratta dunque di purificare l’interno, affinchè anche la sua espressione esterna sia limpida e pura.
L’ipocrita è uno che sovverte i valori; mette in primo piano ciò che deve stare sotto, ossia i valori esterni e il proprio io empirico, e pone in secondo piano, funzionale ai primi, i massimi valori, quelli interiori, dello spirito e divini. Da qui la sua doppiezza, slealtà ed incoerenza, che sfocia nel tentativo di servire due padroni; quello vero, ossia Dio, al quale non può sfuggire e quello che si è imposto o alla seduzione del quale ha ceduto, il proprio io, sorgente della sua ambizione e del suo egoismo.
Rimedio di fondo è dunque l’umiltà, con la quale riconosciamo la nostra dipendenza da Dio nelle piccole come nelle grandi cose, in modo che l’utile sia ordinato all’onesto, il mezzo al fine; all’apparire corrisponda l’essere, alla parola corrispondano i fatti, l’esterno manifesti l’interno e su di esso si fondi, il materiale sia ordinato allo spirituale e l’uomo a Dio.

[1] E’ quello che faccio nel mio libro Karl Rahner. Il Concilio tradito Edizioni Fede&Cultura, II ristampa, Verona 2009.