sabato 27 settembre 2014

«Nella vecchiaia la sapienza»



Il  tweet di Papa Francesco: "C’è la tendenza a mettere al centro noi stessi e le nostre ambizioni personali. Questo è molto umano, ma non è cristiano." (27 settembre 2014)

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Paglia: gli anziani sono una «cattedra» a cui non possiamo rinunciare

Se la cultura dominante vuole scartarli, il Papa e la Chiesa li mettono in primo piano. E domani, nella Giornata a loro dedicata, se ne avrà la prova. A partire dalla presenza di Benedetto XVI, che - su invito di papa Francesco - sarà presente sul sagrato di piazza San Pietro dalle 9.30 alle 10.30. L’arcivescovo Vincenzo Paglia commenta: «È il primo dei 'nonni'. Il modo con cui vive questo ultimo tempo della sua vita è uno straordinario esempio per tutti». Il presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia, dicastero che ha organizzato l’incontro di 40mila anziani con papa Francesco, enumera in questa intervista ad Avvenire 
le loro qualità. E invita a non cedere alle deviazioni di quella 'cultura dello scarto', che verrebbe metterli da parte. 

Come è nata l’idea questa Giornata?
 
Fin dal primo incontro, il Santo Padre mi ha parlato degli anziani. Poi, come sappiamo sul tema è tornato più volte. In questo clima di 'cultura dello scarto' anche gli anziani in certo modo sono come inseriti in una sorta di raccolta differenziata dei rifiuti (si pensi solo all’eutanasia e agli abbandoni). Ma lo scarto degli anziani è un danno per tutti, per loro, per la famiglia e per la stessa società. Ecco perché è importante dare un segno contrario. 

È questa la ragione per cui gli anziani stanno così a cuore a papa Francesco?
 
Senza dubbio. In verità sono varie le ragioni per dare attenzione agli anziani. Una che vorrei sottolineare è la fragilità che caratterizza gli anziani e che ci ricorda che tutti siamo fragili. È una sorta di 'cattedra' che non cessa di insegnare. La cultura dominante vuole eliminare questa cattedra. Ma così ci condanniamo a non capire e soprattutto a vivere male. Non dobbiamo poi dimenticare il senso del legame tra le generazioni che vedono gli anziani come uno degli anelli fondamentali. Quanti nonni, oggi, accudiscono i nipoti. E poi c’è anche la trasmissione della cultura, delle tradizioni e anche della fede a chi segue. Tutto ciò dovrebbe farci sentire particolarmente avvelenata la contraddizione di una società che allunga la vita, ma poi la riempie di vuoto, di abbandono, di dimenticanza. C’è bisogno di dare senso a questi anni che ci vengono donati in più. 

In che modo queste dimensioni verranno evidenziate domani?
 
In vari modi. Vorrei però sottolinearne uno in particolare: la consegna a ciascun  anziano delVangelo di Marco scritto a lettere grandi. È l’invito a leggere quel Vangelo e a trasmetterlo, soprattutto ai giovani, perché quella Parola risuoni ancora con più forza. Francesco, in sostanza, sembra dare agli anziani come una nuova missione. Un po’ sull’esempio della profetessa Anna  che a 84 anni, dopo aver visto Gesù Bambino, ha cominciato a parlare di lui a chiunque incontrava. La terza età non manda in pensione da un punto di vista religioso e spirituale. Penso a quanto sia importante, ad esempio, la preghiera degli anziani. Io li immagino come un polmone orante per tutta la Chiesa. Altro che scarto. Altro che rifiuto. Potrebbero essere i Mosè del nostro tempo, che aiutano Giosuè a combattere la sua battaglia. E la loro preghiera aiuterà il  mondo ad essere migliore. 

Sull’esempio di Benedetto XVI, che non a caso sarà presente?
 
Esattamente. La sua presenza è un valore aggiunto per questa giornata di preghiera e di festa. Potremmo dire che è il primo dei 'nonni'. Dunque l’invito di papa Francesco è quanto mai opportuno. Oltre tutto, credo che Benedetto XVI oggi sia davvero un esempio di come vivere la terza età. E mi fa sempre tenerezza quello che papa Francesco  dice di Benedetto: «È come avere un nonno a casa». Imitiamo anche noi papa Francesco, perché i nostri anziani siano trattati come Francesco ama  Benedetto XVI. 

Quale contributo verrà da questa giornata al Sinodo sulla famiglia?
 
Vorrei dire che gli anziani - che più di altri hanno vissuto la famiglia nella sua bellezza come anche nelle fatiche e nei problemi - con questa giornata anche di preghiera accompagnano sull’uscio del Sinodo i vescovi e coloro che vi prenderanno parte. Gli anziani, che spesso sono come messi nella 'periferia' della famiglia, in realtà possono dire più degli altri quanto essa sia importante per tutti. 

Dica la verità, è stato lei a suggerire al calciatore Florenzi di andare ad abbracciare la nonna dopo il gol.
 
No, ma se avessimo dovuto pensare uno spot per la giornata di domani, non avremmo potuto farlo meglio. Quel gesto dimostra la bellezza di vedere un giovane che ha un amore per i propri nonni. Purtroppo spesso la cultura vuole appannare questa dimensione affettiva. Ma il futuro non è solo giovani, né solo anziani, ma dei giovani e degli anziani, insieme.

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L'incontro del Papa con i nonni. 

(Stefania Falasca) «"Tu sei la mia sveglia" disse il ragazzo. "La mia sveglia è l’età" disse il vecchio». Il vecchio Santiago e il ragazzo Manolin ne Il vecchio e il mare di Hemingway hanno bisogno l’uno dell’altro. Come fossero un’unica cosa, i loro desideri e le loro speranze s’intrecciano. Il vecchio Santiago e il ragazzo che non vuole andare per mare senza il suo navigato maestro, sono archetipi di quel filo sottile e profondo che lega memoria e futuro, generazioni distanti in unica vita. Testimoni inconsapevoli di quel vincolo che tenace solca il tempo, attraversa ogni cultura e fedi religiose e sopravvive tenero e testardo in barba alle crisi familiari, sociali e a ogni odierna «cultura dello scarto». 
È il filo nascosto che resiste ancora a questa devastante «dittatura dello scarto» che produce «avanzi della convivenza sociale» e implacabile riduce a pezzi la vita, costringendo a lasciare in piedi solo smemorati utili, produttivi funzionali al dio del mercato globale, come fanno le guerre.
Esempi, tuttavia, di quel legame generazionale positivo continuano ad affiorare, come di recente è successo con un noto calciatore della Roma, che ha attirato l’attenzione di tutti quando, dopo il gol, è salito di corsa sugli spalti della tribuna per abbracciare sua nonna. Ma un altro spiazzante esempio ci era già calato addosso dalla Cattedra di Pietro, quando nel primo discorso ai cardinali, il neoeletto Papa Francesco non esitò a citare la sua, di nonna. E più tardi la nominò nuovamente facendo comprendere come essa abbia lasciato in lui «una forte impronta umana e spirituale». 
Lo fece attraverso il ricordo di alcuni versi di Hölderlin scritti dal poeta tedesco in occasione del compleanno della sua avola: «Una lirica che è di grande bellezza, e che a me ha fatto anche tanto bene spiritualmente» ha affermato Francesco. Leggendola si capisce come, in una stretta consonanza di pensiero con il poeta, questa riguardi l’universo Bergoglio non solo nel rimando autobiografico: «E la casa dove un tempo crescevo con le tue benedizioni/ Dove, nutrito di amore, più svelto maturava il fanciullo/ Ah, quante volte ho pensato al piacere che avresti avuto/ Quando mi vedevo operare lontano nell’ampio mondo/... il mio petto lottando si è procurato molte ferite, ma voi me le curate/ Voglio imparare pia e tranquilla è la vecchiaia. Da te voglio venire, benedici ancora una volta il nipote/ Che l’uomo mantenga ciò che il fanciullo promise». «Mi ha colpito – ha spiegato ancora il Papa, in altra occasione – anche perché ho molto amato mia nonna Rosa, e lì Hölderlin accosta sua nonna a Maria che ha generato Gesù, che per lui è l’amico della terra che non ha considerato straniero nessuno».
È dentro queste coordinate profondamente umane e spirituali dove s’intreccia osservanza e profezia che si può leggere l’incontro di domani con i quarantamila anziani provenienti da venti Paesi diversi voluto da Francesco come viatico al Sinodo sulla famiglia. Nonni accompagnati da nipoti e tra di loro anche anziani in fuga dal Kurdistan iracheno per comunicare nella reciprocità «quel patrimonio di umanità e di fede che è essenziale per ogni società». Non una sorta di lectio magistralis sul De Senectute di ciceroniana memoria né la stucchevole retorica sulla vecchiaia. Piuttosto un monito a quanti hanno svenduto la tarda età all’avidità e all’impazienza. Già nel viaggio in Brasile il Papa aveva affermato: «Che il Signore ci doni di invecchiare con saggezza, con sapienza, di invecchiare con dignità per poterla trasmettere agli altri e, anche, di non credere che la storia finisca con noi, perché non è neanche cominciata con noi: la storia continua... Che il Signore ci doni anche un pochino di umiltà, per poter essere anello della catena della vita, della storia del mondo, per scommettere sul futuro desiderando la cosa migliore per i nipoti".
Per il Papa la tarda età è semplicemente quanto anche il puro pensiero classico ci ha trasmesso (l’età degna di essere vissuta delle lettere di Seneca a Lucilio) e l’ha espresso in un lapidario aforisma: «La vecchiaia è la sede della sapienza della vita». Anche nel recente viaggio in Albania ha voluto sottolineare come «gli anziani siano coinvolti nell’edificazione di un futuro che ha bisogno della loro saggezza». In opposizione alla pratica sociale indotta dal mercato di estraniare i vecchi dal proprio tempo e la tentazione senile del cupio dissolvi, ovvero il desiderio malsano del proprio disfacimento. E come ne Il tempo ritrovato, che conclude laRecherche, di Proust le parole di Bergoglio ci riportano così all’incipit. 
"È stupido non sperare. E credo sia anche peccato", pensa alla fine l’anziano eroe hemingueiano de Il vecchio e il mare. Ma solo, nel suo letto, il vecchio si era lasciato andare, stremato. Il ragazzo accanto lo riprende: «L’uomo non è fatto per la sconfitta» e taglia corto: «Guarda… devi metterti a posto in fretta, perché ho ancora molto da imparare per navigare, e tu puoi insegnarmi tutto». Il vecchio Santiago del racconto di Hemingway era caduto in quel lagnarsi addosso della propria vecchiaia, in quel mugugno senile cui a pochi riesce di sfuggire. Forse per un attimo non ne sarà stato immune neanche il Papa, o almeno, non ne è stato prima di diventarlo. Un mese prima della sua partenza da Buenos Aires per il conclave lo sentii al telefono. Alla domanda: «Come va, padre?» la voce d’oltreoceano rispose: «Come un vecchione». Ma il tempo che tiene in tasca le sorprese di Dio non ha avuto, e non ha – e tutt’oggi si vede – nessuna intenzione di dargli ragione. Un post-it per tutti quei vecchioni che si reputano tali. E domani avranno il ben servito.
Avvenire