lunedì 29 settembre 2014

Manifesto sacrilego, denunciata la mostra Lgbt



 di Gianframco Amato
Nell’articolo di Massimo Introvigne pubblicato su questo giornale (clicca qui) si dava notizia del sacrilego manifesto con cui è stata pubblicizzata la mostra d’arte omosessualista, intitolata S.A.L.I.G.I.A. (acronimo dei sette vizi capitali), organizzata dall’International Art Lgbte tuttora in corso a Torino. Tale manifesto, infatti, raffigura una donna obesa completamente nuda che schiaccia col piede alcune immagini religiose, costituite in particolare da icone di Gesù Cristo e della Madonna.
Non ha avuto paura di far sentire la propria voce, in nome della sua indiscussa autorità pastorale, Sua Eccellenza monsignor Cesare Nosiglia, arcivescovo metropolita del capoluogo piemontese. Le sue parole meritano di essere riportate: «Sono certo che ogni persona di buon senso e di buon gusto saprà valutare questo episodio per quello che merita. Soprattutto quando certe scelte “artistiche” diventano un modo facile, troppo facile, per cercare pubblicità attraverso le polemiche. Colpisce dolorosamente, in quell’immagine il modo in cui viene usato il corpo di una donna proprio quando cresce, nella nostra cultura, un’attenzione più diffusa e consapevole alle strumentalizzazioni e alle violenze che sulle donne si commettono. I cristiani sono abituati a vedere e a riconoscere, nel corpo umano, la presenza stessa del Cristo Salvatore, e dunque la fraternità profonda, il rispetto reciproco che deve caratterizzare i rapporti fra le persone e, ci pare, anche la rappresentazione della persona. Sotto i piedi di quella donna, invece non ci sono solo le immagini sacre ma emerge la mancanza di tale rispetto, doveroso per tutti e non solo per i credenti che vedono in quelle icone calpestate il volto del loro Signore e della Madonna. In quel montaggio c’è la protervia di chi si crede al di sopra di ogni minima regola etica; di chi pretende, in nome di una supposta scelta artistica, che tutti debbano accettare qualsiasi sfregio anche al più sentito e profondo senso religioso degli altri».
Per questi motivi, i Giuristi per la Vita e l’associazione Pro Vita Onlus (editrice della rivista Notizie Pro Vita) hanno presentato una denuncia-querela alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino nei confronti degli organizzatori della citata mostra e di tutti coloro che hanno concorso all’esposizione del manifesto offensivo. Questo il testo della denuncia-querela:
PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI TORINO
DENUNCIA – QUERELA
I sottoscritti Avv. Gianfranco Amato, nato a Varese, il 1° marzo 1961, in proprio ed in qualità di Presidente e legale rappresentate dell’associazione Giuristi per la Vita, Codi-ce Fiscale 97735320588, e Antonio Brandi, nato a Roma il 10 maggio 1952, in proprio ed in qualità di Presidente e legale rappresentante dell’associazione Pro Vita Onlus, Codice Fiscale 94040860226, elettivamente domiciliati ai fini della presente denuncia in Casale Monferrato, via Lanza 105, presso lo studio dell’Avv. Giorgio Razeto (avvgiorgiorazeto@cnfpec.it),
ESPONGONO
quanto segue.
A Torino si tiene dall’8 settembre al 17 ottobre 2014, presso l’ex Manifattura Tabacchi in corso Regio Parco 134/a, una mostra d’arte omosessualista intitolata “S.A.L.I.G.I.A.” (acronimo dei sette vizi capitali) e organizzata dall’International Art LGBTE, a cui, peraltro, era stato inizialmente concesso il patrocinio comunale. Il manifesto che pubblicizza tale mostra (realizzato dal fotografo Mauro Pinotti) raffigura una donna obesa completamente nuda che schiaccia col piede alcune immagini religiose, in particolare delle icone di Gesù Cristo e della Madonna (all.1). La prevedibile reazione polemica al contenuto di quel manifesto (il vice presidente vicario del Consiglio comunale torinese ha parlato di «offesa che colpisce la sensibilità religiosa di milioni di cristiani», e di «atto violento e incivile, ancora di più in un momento storico segnato da massacri e persecuzioni»), ha portato la stessa Giunta comunale del capoluogo piemontese a revocare il patrocinio. Maurizio Braccialarghe, Assessore alla Cultura del Comune di Torino, si è espresso in questi termini: «Quando riceviamo delle richieste, prima di dare il patrocinio alle iniziative, valutiamo la serietà dei progetti presentati. In questo caso nessun elemento inviatoci poteva far pensare all'utilizzo di un'immagine che riteniamo lesiva della sensibilità di molti. Oggi, dopo aver visto la locandina la Giunta, all'unanimità, ha deciso di revocare il patrocinio all'evento».
Resta il fatto che l’immagine rappresentata nel manifesto integra palesemente il reato di offesa ad una confessione religiosa mediante vilipendio di persone, previsto e punto dall’art.403 del Codice Penale. In questa sede i denuncianti si permettono di ricordare come la Corte di Cassazione abbia precisato che «il sentimento religioso, quale vive nell’intimo della coscienza individuale e si estende anche a gruppi più o meno numerosi di persone legate tra loro dal vincolo della professione di una fede comune, è da considerare tra i beni costituzionalmente rilevanti, come risulta coordinando gli art. 2, 8 e 19 Cost., ed è indirettamente confermato anche dal primo comma dell’art. 3 e dall’art. 20» (Cass. Pen., sez. III, 11 dicembre 2008, n. 10535).  Con riguardo al rapporto fra il reato in esame ed il diritto di pensiero, espressione artistica e critica, di cui all’art. 21 della Costituzione, si è rilevato che sono antigiuridici «quei fatti di vilipendio che, pur esprimenti un pensiero, travalicano, per la loro volgarità o turpitudine il limite del buon costume» (G.I.P. Latina 7 giugno 2001, in Codice Penale Commentato IPSOA 2011, sub art. 403, pag. 4102).   
Per tutto quanto sopra esposto, i sottoscritti Avv. Gianfranco Amato e Antonio Brandi, nelle qualità sopra indicate, ravvisando estremi di reato nei fatti lamentati sporgono
DENUNCIA – QUERELA
nei confronti degli organizzatori della citata mostra e di tutti coloro che hanno concorso all’esposizione del manifesto offensivo, affinché siano condannati per il reato di offesa ad una confessione religiosa mediante vilipendo di persone, previsto e punito dall’art. 403 del Codice Penale, e per tutti gli altri reati che si dovessero ravvisare nei fatti descritti.
I sottoscritti, sempre in proprio e nella qualità di cui sopra,
ELEGGONO DOMICILIO
ai fini della presente denuncia-querela, in Casale Monferrato, Via Lanza n.105 presso lo studio dell’Avv. Giorgio Razeto;
CHIEDONO
di essere informati, ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 405 e 408 c.p.p., della eventuale formulazione della richiesta di proroga delle indagini preliminari ovvero della formulazione della richiesta di archiviazione;
DICHIARANO
altresì di opporsi sin da ora all’eventuale decreto penale di condanna;
SI RISERVANO
sin da ora di costituirsi parte civile nell’eventuale procedimento penale instaurato a seguito della presente denuncia-querela, dichiarando altresì l’intenzione di devolvere, in caso di condanna degli imputati, l’importo dell’eventuale risarcimento all’Istituto “Piccola Casa della Divina Provvidenza” di San Giuseppe Benedetto Cottolengo.
Torino li 22 settembre 2014.

*
... E c'è chi lavora per un Sinodo gay-friendly
di Tommaso Scandroglio

Venerdì 3 ottobre a Roma, in vista del prossimo Sinodo per la famiglia, avrà luogo la conferenza internazionale “Le strade dell’Amore, per una pastorale con le persone omosessuali e transessuali". L’obiettivo che persegue questo meeting è quello di elaborare «un documento di contributi e proposte al Sinodo per la nuova pastorale che sarà elaborata a partire dal Sinodo». Un pressing psicologico sui padri sinodali dunque. 
Nell’Appello che spiega il contenuto e le finalità di questa conferenza possiamo leggere: «I cristiani omosessuali italiani stanno effettuando una rivoluzione copernicana: passare dalla condizione di attesa, quella in cui si rimane ai margini, nascosti, sperando che qualcosa accada, che qualcuno faccia qualcosa per cambiare la tua condizione di sofferenza, a quella di abbracciare una visione della speranza che si fa azione, che ti porta a non volerti nascondere più, ad assumere consapevolezza che la propria esistenza è bella, degna e piena come quelle di ogni altra persona e che, quindi, può diventare spunto, materia per interrogare le comunità tutte perché dal Sinodo stesso esca una nuova pastorale, elaborata anche ‘con’ le persone omosessuali e transessuali».  
L’Appello poi prosegue citando ovviamente la famigerata frase del Papa di ritorno dal Brasile: «La domanda che si è rivolto spontaneamente papa Francesco ‘chi sono io per giudicare un gay?’ è stata un balsamo per molte persone, ed ha in sé la forza progettuale per poter diventare ora un cambiamento concreto, perché la sospensione di giudizio di per sé non è sufficiente. Deve evolvere in crescita delle comunità cristiane nella loro capacità concreta di accogliere, incoraggiare, rispettare le persone omosessuali e transessuali nel loro desiderio di una vita piena, come tutte le persone che ancora oggi si trovano emarginate ed escluse». 
Questi due stralci hanno un contenuto obliquo perché dicono e non dicono. Da una parte è proprio della pastorale insegnata dal Magistero l’atteggiamento del cristiano, richiamato anche in questo documento, volto ad accogliere le persone omosessuali e a rispettarne la dignità. Su altro fronte però pare che «la sospensione del giudizio» non debba riguardare unicamente la responsabilità soggettiva – che in ultima istanza riguarda solo Dio (ma in parte anche gli uomini: vedi confessione) – bensì proprio le condotte e la condizione omosessuale sulle quali invece il Magistero ha già da tempo espresso un giudizio e un giudizio di condanna. Pare quindi che il documento di questa conferenza inviti il Sinodo ad accogliere non solo la persona omosessuale, ma anche la sua omosessualità.
I relatori della conferenza saranno: Geoffrey Robinson, vescovo emerito dell’arcidiocesi cattolica di Sidney - Australia; James Alison, teologo e sacerdote cattolico inglese; Antonietta Potente, teologa e suora domenicana; Letizia Tommasone, pastora e teologa Valdese e Joseanne Peregrin, Presidente della Christian Life Community di Malta. 
Invece tra i partecipanti segnaliamo la presenza della delegazione de la Pastorale de la Diversidad sessuale CVX de Chile (PADIS+), una iniziativa nata all'interno della Comunità ignaziana di Vita Cristiana (CVX) di Santiago del Cile. In un comunicato rivolto ai padri sinodali questa delegazione ci informa che «in accordo col Magistero e la dottrina cattolica, la Chiesa ci propone di vivere la nostra sessualità nella castità, e di riconoscere e accettare che tutti e tutte ci sentiamo chiamati a scegliere una vita celibe, a causa di una condizione innata che avvertiamo come immutabile, ma che per noi non è una scelta. Le nostre vocazioni e chiamate sono molteplici e varie. Non tutti siamo chiamati alla stessa meta. La castità necessita del nostro consenso e della nostra libertà. Così come è formulato, l’insegnamento della Chiesa riguardo a questi temi non offre nessuna alternativa oltre a questa, escludendo altri percorsi e strade di possibile vocazione personale e comunitaria».  In breve: la castità va bene solo se accettata, altrimenti è una forzatura e dunque non sarebbe una scelta ma una imposizione. L’ultima parola sulla condizione omosessuale non tocca a Santa Romana Chiesa, depositaria non della Verità ma unicamente di meri consigli pratici, bensì solo alla persona omosessuale. 
Castità no dunque ed invece sì alla “famiglia” omo: «La famiglia sembra un orizzonte possibile, che molti e molte già vivono nelle loro relazioni di coppia o insieme a quelli che considerano essere la loro famiglia». Tradotto: se una realtà è già esistente significa che è buona. Se molti omosessuali vivono assieme ed hanno figli questa è già famiglia e le alte sfere della gerarchia cattolica non possono che registrare e benedire questo fenomeno.
In merito poi all’incompatibilità tra vita religiosa e condizione omosessuale il comunicato così si esprime: «Abbiamo l’impressione che l’invisibilità della sessualità nella vita religiosa, la segretezza di fronte all’omosessualità presente in essa e la lassitudine che abbiamo visto e sentito, ci sfida a voler ancora collaborare affinché molte persone non debbano sperimentare l’incompatibilità della propria omosessualità con la vita religiosa». L’omosessualità non sarebbe un inciampo ad una vita votata completamente a Cristo ma anzi una condizione che facilita un’esistenza incardinata sulla povertà, sull’obbedienza e soprattutto sulla castità.
Tra le molte riflessioni che si potrebbero fare, forse la più immediata è la seguente: appare molto curiosa l’espressione “cristiani omosessuali” usata in questi documenti. Come se i cristiani fossero eterosessuali e omosessuali. Se accettiamo questo distinguo allora dovremmo accettare un’infinità di altre categorie: i cristiani adulteri e quelli fedeli, quelli ladri e gli onesti, etc. Ed invece omosessualità, infedeltà e furto sono incompatibili con l’aggettivo “cristiano”. L’idea che soggiace in questi elaborati è infine quella solita: l’omosessualità è una condizione o caratteristica naturale della persona, dunque di segno positivo, come essere intelligenti o coraggiosi. Se quindi l’omosessualità è una qualità buona del credente deve essere favorita ed incoraggiata perché utile nel cammino di fede.

Il salto è evidente: si chiede al Sinodo non più di tollerare l’omosessualità – perché si tollera solo ciò che è male – ma di promuoverla perché uno dei volti eticamente accettabili dell’uomo. E se l’uomo è fatto ad immagine e somiglianza di Dio, tra poco ci sarà qualche teologo che si spingerà a dire che anche Dio è omosessuale. Fanta-teologia? Vedremo.