domenica 28 settembre 2014

Giovanni Paolo II e l’evangelizzazione. Quel dialogo chiamato viaggio




Linee di un pontificato. Pubblichiamo uno stralcio del primo capitolo di Giovanni Paolo II: linee di un pontificato, lavoro in due volumi scritto da Mario Agnes, direttore emerito del nostro giornale, e da Michele Zappella con introduzione dell’arcivescovo di Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe (Marigliano, Libreria editrice Redenzione, 2014, pagine XXVIII+1299, euro 60).
(Mario Agnes e Michele Zappella) «Il Signore, padrone della storia e dei nostri desideri, ha stabilito che il mio pontificato fosse quello di un Papa pellegrino dell’evangelizzazione, per percorrere le vie del mondo portando in ogni luogo il messaggio di salvezza»: con queste parole, pronunciate nell’aeroporto di città del Messico il sei maggio 1990, Giovanni Paolo II rivela quale sia l’ispirazione che anima il suo servizio petrino, quale sia la finalità ultima della sua azione pastorale, quale sia la direttrice di fondo che guida la sua missione ecclesiale, quale sia il senso globale del suo pontificato. 
Tutto questo si esprime sinteticamente nel viaggio. Il viaggio, lungo le vie del mondo, assume una portata che va al di là della semplice fruizione di uno strumento di evangelizzazione, per quanto di primaria importanza in un’epoca in cui la mobilità delle persone, grazie al progresso dei mezzi di trasporto, ha raggiunto le dimensioni di un fenomeno di massa. Il viaggio di Giovanni Paolo II si identifica con la missione universale della Chiesa contemporanea, ne rappresenta una struttura portante, ne decide le possibilità realizzatrici, ne sprigiona le potenzialità umanizzanti, ne costituisce una forma basilare che la riveste e la riflette. Il viaggio è evangelizzazione, il viaggio è messaggio di salvezza, il viaggio è dialogo con gli uomini di ogni Paese e di ogni nazione, il viaggio è risposta concreta alla vocazione cattolica della Chiesa.
Il viaggio è pellegrinaggio. Giovanni Paolo II nei suoi viaggi si presenta come pellegrino, «vengo a voi come un pellegrino». È qui la novità storica nell’intendere e nell’interpretare il ministero del successore di Pietro. Da un Papa, che non solo «sta» nella sua sede, ad un Papa che «va» in ogni angolo della terra. Da un Papa, che non solo attende e accoglie le genti, ad un Papa atteso e accolto dalle genti. Più che di un cambiamento formale si tratta di un cambiamento, in ultima analisi, di sostanza. Il viaggio-pellegrinaggio del Papa attua, al massimo grado, l’universalità missionaria della Chiesa. Si riallaccia, nella risoluzione di Giovanni Paolo II, al «misterioso itinerario di fede e di amore, che condusse Pietro e Paolo dalla loro terra natale a Gerusalemme, poi in altre parti del mondo e infine a Roma». L’andare del Papa dei tempi moderni si ricongiunge, così, all’andare degli Apostoli che sospinse l’espansione cattolica della Chiesa dei primi tempi. E ora, come allora, a monte del viaggio apostolico si evidenzia una volontà trascendente. Allora, l’angelo del Signore sciolse Pietro dalle catene, che lo avvincevano nella prigione, e gli impose di seguirlo: «Con questo intervento straordinario Dio venne in aiuto al suo apostolo perché egli potesse proseguire nella sua missione. Missione non facile, che comportava un itinerario complesso, e faticoso». Ora, è ancora il Signore, padrone della storia e dei nostri desideri, a stabilire che il pontificato del successore di Pietro sia quello di «un Papa pellegrino».
Il viaggio di un Papa pellegrino, «Vicario di Cristo e capo visibile di tutta la Chiesa» (Lumen gentium, n. 18), «pietra e clavigero della Chiesa» (Lumen gentium, n. 22), è il viaggio della Chiesa nella sua ineliminabile tensione universalistica, è il viaggio della Chiesa che «cammina insieme con tutta l’umanità e sperimenta insieme col mondo la medesima sorte terrena, ed è come il fermento e quasi l’anima della società umana» (Gaudium et spes, n. 40), è il viaggio della Chiesa pellegrina nel tempo e nella storia verso la fine del tempo e della storia. Quest’ultimo significato escatologico, messo in risalto dal capitolo VII della Lumen gentium, allarga l’orizzonte in cui situare il viaggio del Papa pellegrino. 
La Chiesa è una realtà più ampia della Chiesa dei viatori, essa comprende pure i suoi fedeli, passati da questa vita, che si stanno purificando e quelli che godono della visione di Dio. La consapevolezza, illuminata dalla fede, che già una parte della Chiesa è approdata all’eternità della beatitudine e che, in comunione con essa, la Chiesa peregrinante sulla terra è «germe e inizio del Regno di Cristo e di Dio» (Lumen gentium, n. 5), fortifica la speranza della restaurazione di tutte le cose nel Regno perfetto, in cui Cristo, venturo nella gloria e giudice universale, introdurrà i giusti risorti. Tale prospettiva ultraterrena e metastorica accentua, oltre misura, il dinamismo operoso e missionario di una Chiesa pellegrina che anela alla sua pienezza cattolica. E di questo dinamismo, il Papa pellegrino si fa testimone privilegiato e primo attore. Nell’ottica del pellegrinaggio di tutta la Chiesa nel mondo, di cui è testimone e attore, si comprende meglio l’insistenza con cui Giovanni Paolo II fa riferimento, nei suoi viaggi, al suo ufficio di servitore di Gesù Cristo («Vengo a voi come servitore di Gesù Cristo, come araldo del suo Vangelo di giustizia e di amore»), di successore dell’Apostolo Pietro («Visitare Chiese e nazioni lontane rientra nel mio servizio di Successore dell’Apostolo Pietro, incaricato da Cristo di custodire e promuovere l’unità dell’intero popolo di Dio»), di Pastore della Chiesa cattolica, di Vescovo di Roma, sede dell’Apostolo Pietro e centro della cattolicità.
Giovanni Paolo II ama illustrare le finalità dei suoi viaggi al di fuori dell’Italia, in particolare, nei Discorsi negli aeroporti di partenza e di arrivo. Per questo motivo, essi risultano poco convenzionali e si propongono come fonti preziose per individuare le molteplici e, sovente, complesse ragioni che sollecitano il viaggio.
Le finalità dei viaggi indirizzano la loro dimensione sia religiosa che umana («Il mio obiettivo nel venire qui ha una dimensione sia religiosa sia umana») in una direzione decisamente universalistica. Prima di tutto, come già si è avuto modo di sottolineare, l’universalità della Chiesa è rappresentata dalla persona del suo capo visibile: «Attraverso la mia presenza, la Chiesa universale intende salutare». Quindi, già la presenza del Papa manifesta l’universalità come dimensione globale, entro cui le particolarità ecclesiali, ma anche quelle nazionali e sociali, rinvengono il proprio, specifico significato di parti di un tutto, non separate l’una dall’altra, non isolate in se stesse, tanto meno in conflitto l’una contro l’altra, bensì organicamente strutturate, l’una insieme all’altra, in un tutto, in cui la molteplicità converge nell’unità, segno e garanzia di conciliazione, di pace, di sviluppo. L’universalità si configura come valore supremo.
L'Osservatore Romano