lunedì 22 settembre 2014

Confessione di una confessione


«Ho confessato un ladro e l'ho assolto»

Caro direttore,
qualche tempo fa, parecchio lontano da Piacenza, mi è capitato di vivere un’esperienza da prete che – uguale – non mi era mai capitata. Sono vestito da prete, ma non mi trovo in chiesa. Mi si avvicina un signore sui cinquant’anni che il linguaggio comune definirebbe “distinto”, ma con abiti sciupati, sebbene puliti. Con gentilezza mi chiede se posso confessarlo. Essendo vicini a una specie di giardino con qualche panca, lo invito a sedersi accanto a me e lo confesso. Tutto regolare con le preghiere iniziali, ma giunto al momento dell’accusa dei peccati dice, con voce stanca e volto mesto: «Padre, mi confesso spesso, ma ho sempre un solo peccato: sono un ladro». E mi racconta di essere disoccupato da un paio di anni, di avere la moglie ammalata e tre figli (12, 9 e 7 anni) che porta con sé saltuariamente nei supermercati a rubare qualche mezzo chilo di pasta o riso, piccole pagnotte o contenitori con mezzo litro di latte. Comprendo che è veramente dispiaciuto di compiere questi gesti, come rimedio estremo alla fame, quella vera. Mi racconta di aver spiegato bene ai figli che quello che stanno facendo è male, ma che vi sono costretti privi come sono di altri mezzi di sostentamento. Lo assolvo senza incertezze, ricordandomi tra l’altro delle mie confessioni da ragazzo quando – durante la guerra – dicevo al parroco che talvolta andavo nei grandi campi di frumento, prossimo alla mietitura, non a “spigolare”, ma a tagliare con la forbice le spighe mature, fino a che il sacchetto fosse pieno. Volevo che per la mia numerosa famiglia ci fosse qualche pezzettino di pane in più. Il parroco mi assolveva dicendomi: «In tempo di guerra, la roba dei campi è di Dio e dei santi», cioè dei poveri che hanno fame. Certo che oggi almeno da noi non è tempo di guerra, ma con questa infinita crisi economica, è come se lo fosse. Alla fine della confessione l’uomo non mi chiede nulla e al mio tentativo di fargli una piccola offerta, mi dissuade dicendo: «Padre sono venuto da lei, soltanto per confessarmi, non chiedendole altro che l’assoluzione, anche se non potrò mantenere quelle parole dell’Atto di dolore che sono una promessa: “Propongo con il Tuo santo aiuto di non offenderTi mai più” (cioè di non rubare più)». Poi lo vedo allontanarsi un po’ curvo, forse un po’ più sereno.
Raccontando questo piccolo episodio, sono certo in coscienza di non aver infranto il segreto sacramentale, non avendo svelato né il luogo né la persona. Non mi chieda di più. Vorrei però invitare tutti a immaginare la sofferenza di un papà che si umilia con i suoi figli, inducendoli a disubbidire insieme a lui al 7° comandamento: «Non rubare». Ma è ladro chi ruba il pane per fame? Non temo di rispondere no. Anche se nel romanzo “I miserabili” di Victor Hugo leggiamo una triste storia. Un giovanotto, vedendo i figli piccoli della sorella vedova privi di pane, una sera va davanti alla vetrina di una panetteria; spacca il vetro, prende una pagnotta e fugge. Risultato: qualcuno lo vede; pochi giorni dopo, l’arresto e il processo che lo porta in carcere (lavori forzati). Per una pagnotta! Il prete scrittore francese Michel Quoist in una sua preghiera, così si rivolge al Signore: «La gente ormai lo sa, Signore. Sa che non solo alcuni infelici hanno fame, ma centinaia sulle porte di casa loro. Sa che non solo migliaia di infelici, ma milioni di poveri hanno fame nel mondo. Signore, non è facile dar da mangiare al mondo. Preferisco fare la mia preghiera regolare, pulita. Preferisco dare qualche oggetto ai banchi di beneficenza. Ma dunque non basta, dunque non è nulla, se un giorno Tu, giudicandomi, mi potrai dire: “Avevo fame e tu …”». È semplicemente così: in certi momenti vivo davvero l’angoscia della miseria estrema di diverse famiglie. Stavo scrivendo “purtroppo” ma non lo dico, perché il Vangelo mi insegna che quando incontro uno che ha fame incontro Gesù.
don Giancarlo Conte, Piacenza.

E io, ancora una volta, ho incontrato un buon prete e soprattutto l’ha incontrato chi ne aveva più bisogno. È proprio vero, caro don Giancarlo, Gesù ha il volto di chi ha fame di pane e di pace, anche “solo” interiore. E riusciamo a seguirlo se ci mettiamo per strada e veniamo accompagnati da sacerdoti che sono padri e fratelli e con la loro stessa vita, e i santi segni che possono e sanno incidere sulla nostra, ci aiutano a distinguere il bene e il male, a vedere davvero le persone, a non dire “Signore Signore” e a non dire i “poveri” ma a guardarLo, guardandoli in faccia. Grazie per averci aiutato, con questa coinvolgente, accorata e accorta “confessione di una confessione”, a capire meglio nel tempo che ci tocca attraversare la verità divina e umana che la Chiesa custodisce e condivide, la misericordia che consola e sprona, le sofferenze e le ingiustizie alle quali non possiamo rassegnarci.
Avvenire