giovedì 25 settembre 2014

Appunti per il Sinodo........

Comunione
Per chi vuole una Chiesa funzionale al nichilismo
di Robi Ronza

Perché il caso dell’esclusione dall’eucarestia dei divorziati risposati civilmente suscita tanta passione in ambienti remoti dalla Chiesa, in persone che non ne fanno parte o che comunque non la praticano più? Insomma tra gente che non va a messa e tanto meno usa comunicarsi? E così pure come mai il presunto diritto al sacerdozio femminile suscita all’interno della Chiesa un’attenzione o anche solo una curiosità di gran lunga inferiore a quella che si riscontra tra tanta gente che magari in vita sua non ha nemmeno mai parlato con un prete? Quando una contraddizione è così patente merita un’attenta analisi. Dietro la sua apparente assurdità si cela infatti di sicuro qualcosa che va  molto al di là della questione immediatamente posta sul tappeto.
Riflettendo su questo caso siamo arrivati ad alcune ipotesi, che sottoponiamo qui alla comune riflessione. All’apparenza trionfante ma in effetti intimamente corrosa dal suo nichilismo, la cultura dominante o comunque “ufficiale” dell’Occidente del nostro tempo da un lato censura la domanda che proviene dal senso religioso dell’uomo, ma dall’altro si rende conto che ciò la rende molto vulnerabile. Questo spiega tra l’altro – notiamo qui per inciso – la sproporzionata paura che in queste settimane il grande circo dei mass media manifesta e diffonde riguardo a gruppi a cavallo fra il terrorismo e il semplice banditismo come  l’IS che, rispetto all’odierna forza militare e superiorità tecnica ed economica dell’Occidente, sono come leoni scappati dal circo, pericolosi per gli inermi su cui s’imbattono ma senza futuro e destinati a sicura sconfitta. A patto beninteso che si decida davvero di affrontarli con forze e strumenti adeguati.
Torniamo però al nostro tema. Tanto materialmente forte quanto psicologicamente e culturalmente fragile, l’ordine costituito della modernità occidentale cerca di procurarsi fuori da sé ciò che non può trovare dentro di sé, ossia delle buoni ragioni sia per vivere che per morire: dunque una qualche forma di religiosità. In questa sua ricerca la prima cosa in cui s’imbatte è l’esperienza cristiana; e in particolare in Occidente l’esperienza cattolica, che conserva una consistenza altrove svanita o quasi svanita. Per renderla funzionale a sé ha però bisogno di trasformarla in una specie di religione civile, in una specie di sua “religione di Stato”. Qualcosa che in effetti non servirebbe a nulla, nemmeno a chi la vorrebbe così.
I lavori sono in corso: vorrebbero una Chiesa bonacciona cui vada bene tutto, disponibile a dare un supplemento di anima a quel nichilismo dolce che è la cultura “ufficiale” del momento. Papa Francesco -- non come è, ma come se lo immaginano -- li induce a grandi speranze che per fortuna non solo nostra ma anche loro andranno deluse. Dico non solo nostra ma anche loro innanzitutto per fondamentali motivi che valgono e varrebbero in ogni epoca. E inoltre perché la grande urgenza storica del nostro tempo è quella di provocare dentro l’islam un ribaltamento dei rapporti di forza tra l’area -- maggioritaria ma oggi ammutolita -- dei musulmani che vogliono mettere la loro fede alla prova della realtà, e l’area -- minoritaria ma oggi alla ribalta --  di coloro che invece tentano di sottrarsi a tale prova anche a costo del delirio. Tale ribaltamento non può che partire dall’interno del mondo islamico, ma diventerà inevitabile soltanto nella misura in cui le fughe deliranti dalla realtà verso il jihadismo andranno incontro a clamorose sconfitte, anzi alla disfatta. E questo dipende in primo luogo dall’Occidente e dai suoi alleati.

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Doppio cognome, un colpo in più all'unità familiare
di Alfredo Mantovano

Qualche mese fa, in apertura del Concistoro preparatorio del Sinodo sulla famiglia, Papa Francesco sottolineava quanto la famiglia sia oggi “disprezzata” e “maltrattata”.
Nel nostro ordinamento gli esempi di disprezzo e di maltrattamento, quindi di concreta quotidiana discriminazione, non mancano: ogni qual volta viene introdotta una agevolazione fiscale (rottamazioni, imposte di successione, ristrutturazioni edilizie), essa viene riconosciuta senza limite di reddito, ma i sostegni alla maternità o le detrazioni fiscali per i figli a carico sono corrisposti in relazione al reddito. La vicenda degli 80 euro ha mostrato che due coniugi senza figli con un reddito annuo di 24.000 euro ciascuno hanno diritto alla piccola somma mensile aggiuntiva, a differenza di una famiglia di cinque persone nella quale lavora soltanto un padre col reddito netto annuo di 30.000 euro (e quindi con quello pro capite di 6.000 euro). Esistono i permessi sindacali ma non esistono i permessi per parlare con gli insegnanti dei figli. È impossibile per una giovane coppia di italiani con redditi annui complessivi anche modesti iscrivere il figlio a un asilo nido pubblico, a fronte della precedenza riservata a chi risulta senza reddito, pur lavorando in nero.
Il Parlamento italiano avrebbe di che riempire le giornate se mettesse a tema la rimozione delle quotidiane discriminazioni che affliggono la famiglia. Invece ne individua e ne affronta ulteriori: sospesa a luglio la discussione nell’aula della Camera della legge sul doppio cognome, essa l’ha ripresa senza ritardo a ferie concluse e qualche ora fa, nella serata di mercoledì, l’ha approvata con largo margine. Contrari soltanto Ncd, Lega, Fratelli d’Italia e Gruppo per l’Italia.
Non è solo la questione della priorità a far sollevare riserve. Vi è pure – direi soprattutto – il merito. Il meccanismo sul cognome individuato dalla legge appena passata a Montecitorio distingue varie ipotesi:
ipotesi n. 1 - genitori coniugati e concordi. Possono decidere di dare al figlio o il cognome del padre o quello della madre, o entrambi decidendo l’ordine;
ipotesi n. 2 - genitori coniugati e discordi: l’ordine dei cognomi è attribuito in ordine alfabetico. Il che esclude che il dissenso verta sulla duplicità dei cognomi, e dà per scontato che, anche se uno dei coniugi preferisce che ci sia un solo cognome, prevale comunque la regola del due (poi l’alfabeto stabilirà la precedenza). Poiché ciò che non è scritto è scontato fino a un certo punto, attendiamoci un avvio di contenzioso da parte di chi desidera che il proprio figlio abbia un solo cognome. La legge dice pure che i figli seguenti al primo ricevono il o i cognomi scelti per il primo; ma se i genitori ci ripensano? Non è discriminatorio precludere loro un ordine differente? Vi è nuova materia per andare dal giudice, e magari pure alla Corte costituzionale (con buona pace delle misure per lo snellimento delle liti, in discussione al Senato);
ipotesi n. 3 – genitori non coniugati e concordi. Valgono le regole n. 1 e n. 2;
ipotesi n. 4 – genitori non coniugati con uno solo che riconosce il figlio. C’è solo il suo cognome;
 ipotesi n. 5 - genitori non coniugati con uno solo che riconosce il figlio e l’altro che ci ripensa e lo riconosce in un secondo momento. Il secondo cognome viene aggiunto, a condizione che il primo genitore acconsenta e che concordi pure il figlio che abbia compiuto 14 anni;
ipotesi n. 6 – uno dei due genitori che riconosce ha un doppio cognome. Sceglie quale dei due dare al figlio. Perché la confusione sia totale una norma transitoria incide sul pregresso:
ipotesi n. 7 – il figlio maggiorenne che ha avuto un solo cognome alla nascita in base alla norme in vigore finora, rimedia andando al Comune e dichiarando di aggiungere quello dell’altro genitore. Resta da capire se i fratelli, man mano che diventeranno maggiorenni, riceveranno automaticamente il doppio cognome, come è per la regola generale, o se avranno anche loro possibilità di scelta, secondo logica antidiscriminatoria: se la legge tace, lo stabiliranno i giudici, a seguito di ulteriori contenziosi. Con la possibile conseguenza di figli degli stessi genitori che, cresciuti, recheranno cognomi (in parte) differenti. La diversità di cognomi sarà invece probabile per cugini di ramo paterno, dal momento che il figlio cui è stato attribuito il doppio cognome può trasmetterne al proprio figlio solo uno, a scelta, ovviamente prescindendo dalle opzioni del proprio fratello.
Si dirà: perché enfatizzare tanto, quando ordinamenti di Nazioni civili – pensiamo a quelle di ceppo iberico o lusitano – hanno da secoli il doppio cognome? Intanto perché quel sistema è meno farraginoso di quello che si vorrebbe introdurre in Italia; e poi perché in queste materie la tradizione e il contesto hanno un peso, trascurando il quale si crea qualche squilibrio. Sempre che quelli siano modelli da imitare: ci sarà qualche ragione se calciatori famosi con cognomi interminabili sentono la necessità di essere conosciuti con un solo nome brevissimo! Si aggiungerà: perché drammatizzare, quando sono in discussione aggressioni più virulente nei confronti della famiglia, dal d.d.l. sulle unioni civili al divorzio sprint? È vero, il Parlamento si accinge a fare di peggio; ma non è una ragione valida per concordare con quanto comunque è negativo.
Infine, l’Europa. Il 7 gennaio la Cedu – la Corte europea dei diritti dell’uomo – ha dato torto all’Italia nella controversia sul cognome dei figli avviata dai due coniugi che, pur in presenza dell’autorizzazione loro conferita dal prefetto per dare ai figli il doppio cognome, intendevano attribuire loro non il cognome di entrambi, bensì esclusivamente quello della madre. La Cedu aveva richiamato due norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo a sostegno della propria decisione: l’articolo 14, che vieta le discriminazioni – in tal caso fondate sul sesso –, e l’articolo 8, che vieta l’ingerenza dell’autorità pubblica nelle decisioni che appartengono alla sfera privata della famiglia. Nel caso concreto, la discriminazione era consistita, secondo la Corte, nell’essersi lo Stato italiano intromesso nella scelta del cognome dei figli, che appartiene alla libertà dei coniugi. La Corte ha conferito quindi una prospettiva privatistica a quel dato individuante e nominalmente unificante una famiglia e chi ne fa parte rappresentato dal cognome: e ha negato a esso qualsiasi pur tenue rilievo pubblicistico. Ecco, oggi in Italia la sintonia con la Corte europea viene espressa da un ordinamento che al Senato sta per approvare un decreto che permette di sciogliere il matrimonio andando dall’avvocato invece che dal giudice e alla Camera vara il doppio cognome. La nominale unità familiare è un orpello della tradizione e, in quanto indice di discriminazione, da cancellare, viaggiando a larghi passi verso la privatizzazione dei rapporti infrafamiliari. Le famiglie italiane e chi dovrebbe tutelarle non hanno nulla da dire?