sabato 9 agosto 2014

XIX Domenica del Tempo Ordinario. Anno A



Nella 19.ma Domenica del tempo ordinario, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù cammina sulle acque. Pietro chiede al Signore di seguirlo, ma impaurito, comincia ad affondare, gridando a Gesà di salvarlo. Il Signore lo afferra con la mano e dice:
«Uomo di poca fede, perché hai dubitato?»
Il Vangelo di oggi, nella sua semplicità, è sconvolgente: dice tutto di Cristo, e dice tutto di Pietro, di ognuno di noi. Troviamo gli apostoli in balia delle onde, sul mare di Galilea. All’alba Gesù, il Signore del mare e delle onde, cammina sulle acque verso di loro che credono di vedere un fantasma. Il Signore dice loro: “Coraggio, sono io, non abbiate paura”. Pietro gli risponde: “Se sei tu, comanda anche a me di venire a te camminando sulle acque”. Il Signore gli dice: “Vieni”. Ma non è così semplice: la natura di Pietro – la mia e la tua natura – si rivela subito per quello che è. Davanti a ciò che ci supera, alla sofferenza, alla morte, ci scandalizziamo, non guardiamo più colui che ci chiama, non ci fidiamo più della parola del Signore: “Vieni!”. Sommersi dalla paura affondiamo. Eppure Pietro – come noi – scende dalla barca e comincia a camminare sulle acque. Siamo testimoni del potere della parola di Dio. Ma lì ci fermiamo. Il cielo si fa lontano. Camminare sulle acque fa paura. Eppure, il battesimo ci ha già strappato dalle acque di morte – e una volta per sempre –, e ci ha dato la natura di figli di Dio. Come Pietro, anche noi siamo “Oligopistoi” = poca fede. “O poca fede”, è il nome con cui Gesù chiama Pietro. Oggi, Pasqua della settimana, il Vangelo ci invita a guardare a Lui: non guardare a te, alle tue forze, se stai annegando in qualche problema, alza lo sguardo e grida con Pietro “Salvami, Signore” e il suo braccio potente ti solleverà dal profondo delle acque; Lui, il nostro Mosè, ti farà fare Pasqua.

(Don Ezechiele Pasotti, Prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma).
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Di seguito testi e commento

MESSALE
Antifona d'Ingresso  Sal 74,20.19,22.23
Sii fedele, Signore, alla tua alleanza,
non dimenticare mai la vita dei tuoi poveri.
Sorgi, Signore, difendi la tua causa,
non dimenticare le suppliche di coloro che ti invocano.

Colletta

Dio onnipotente ed eterno, che ci dai il privilegio di chiamarti Padre, f
a'crescere in noi lo spirito di figli adottivi, perché possiamo entrare nell'eredità che ci hai promesso. Per il nostro Signore...
 Oppure:
Onnipotente Signore, che domini tutto il creato, rafforza la nostra fede e f
a'che ti riconosciamo presente in ogni avvenimento della vita e della storia, per affrontare serenamente ogni prova e camminare con Cristo verso la tua pace. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

LITURGIA DELLA PAROLA
Prima Lettura  1 Re 19,9a.11-13a
Fermati sul monte alla presenza del Signore.

Dal primo libro dei Re
In quei giorni, Elia, [essendo giunto al monte di Dio, l’Oreb], entrò in una caverna per passarvi la notte, quand’ecco gli fu rivolta la parola del Signore in questi termini: «Esci e fèrmati sul monte alla presenza del Signore».
Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna.


Salmo Responsoriale
  Dal Salmo 84
Mostraci, Signore, la tua misericordia.
 
Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore:
egli annuncia la pace
per il suo popolo, per i suoi fedeli.
Sì, la sua salvezza è vicina a chi lo teme,
perché la sua gloria abiti la nostra terra.

Amore e verità s’incontreranno,
giustizia e pace si baceranno.
Verità germoglierà dalla terra
e giustizia si affaccerà dal cielo.

Certo, il Signore donerà il suo bene
e la nostra terra darà il suo frutto;
giustizia camminerà davanti a lui:
i suoi passi tracceranno il cammino.

Seconda Lettura
  Rm 9, 1-5
Vorrei essere io stesso anàtema, separato da Cristo, a vantaggio dei miei fratelli.
 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani.
Fratelli, dico la verità in Cristo, non mento, e la mia coscienza me ne dà testimonianza nello Spirito Santo: ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua.
Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne.
Essi sono Israeliti e hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen.
 
Canto al Vangelo  Sal 129,5
Alleluia, alleluia.

Io spero, Signore.
Spera l’anima mia,
attendo la sua parola.

Alleluia.

   
   
Vangelo
  Mt 14, 22-33
Comandami di venire verso di te sulle acque.

Dal vangelo secondo Matteo

[Dopo che la folla ebbe mangiato], subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo.
La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!».
Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».
Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».
 

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Ora, la terra era deserte vuotadeserta di figli dell’uomo e vuota di ogni animale e la tenebra era sulla faccia dell’abisso uno Spirito di misericordia da davanti al Signore soffiava sulla faccia delle acque.

Targum


“Subito” dopo il segno dei pani e dei pesci, Gesù “ordina” ai suoi discepoli di “salire sulla barca e di precederlo sull'altra sponda”. Ed essi obbediscono. Gesù, infatti, non ha “costretto” qualcuno della “folla”, ma coloro che avevano camminato con Lui. Potevano inoltrarsi in quel mare nella “sera” perché avevano visto e sperimentato che Gesù ha il potere di riempirla di luce e di vita.

Potevano obbedire perché ciascuno di loro era il frutto della sovrabbondanza di vita del Signore; non “furono portate via dodici ceste piene dei pezzi avanzati”? Eccoli allora i dodici “portati via” da Gesù verso un’altra esperienza.

I discepoli, infatti, “salgono” sulla “barca”, e sono immagine di quanti erano accolti dalla Chiesa e avevano iniziato il percorso che li iniziava alla fede in vista del battesimo.

Ed è quello che il Signore ha fatto con noi. Attraverso gli apostoli ci ha annunciato il Vangelo e ci ha accolto nel seno di una comunità concreta. Ci ha sfamato, per sperimentare il suo amore mentre sulla nostra vita calava la “sera” dei peccati; abbiamo visto come la sua "benedizione” ha trasformato in "bene" ogni male.

Ma non basta. La “barca” deve fare la sua traversata, come noi il nostro cammino di fede, per sperimentare la risurrezione di Cristo, il suo potere sul peccato e sulla morte che i cristiani sono chiamati ad annunciare al mondo.

Non è cristiano, infatti, chi non è testimone e araldo del Vangelo. Per formare i suoi apostoli Gesù doveva dunque portarli in quella situazione. Altrimenti, di fronte alle persecuzioni e alle sofferenze, sarebbero restati impigliati nel “se” di Pietro.

Per questo Lui rimane a terra a pregare, solo. E “costringe” i discepoli ad entrare nel mare senza la sua presenza nella carne, profezia di ciò che sarà la navigazione della Chiesa nella storia. E sperimenteranno che non erano soli, perché Lui era lì con loro per mezzo della sua preghiera solitaria: i discepoli nella barca, e Lui intercedeva per loro. I discepoli lottavano con le onde e il vento, Lui combatteva contro il demonio.

E’ qui lo snodo fondamentale di ogni iniziazione cristiana. Per caso “onde” minacciose stanno “agitando” la tua vita? Come stai reagendo alle opinioni e ai fatti “contrari”?

Forse ti stai ribellando perché non accetti la tua situazione; non la capisci e mormori. Stai giudicando il fratello, ritenendolo responsabile delle tue sofferenze. Magari stai imprecando contro Dio, che sta permettendo questo.

La verità è che, nonostante le esperienze di Dio, siamo ancora “fuori” dalla realtà. Perché essa
non è solo la tempesta: come sperimentò Elia sull’Oreb, “il Signore non è nel vento, né nel terremoto e nel fuoco, ma nel mormorio di un vento leggero”. Il Signore è dentro gli avvenimenti come uno Spirito di vita più forte della morte.

Gli apostoli lo dovevano scoprire. Come tu ed io, irati e delusi, dobbiamo salire sulla barca ed entrare nella storia. E, finalmente “lontani dalla riva”, che cosa scopriremo? Che abbiamo “paura”. Il problema non è la tempesta, ma il nostro cuore. E’ lì che la realtà comincia ad apparire per quello che non è, perché, come fece con Adamo ed Eva, nel cuore il demonio semina la paura e ci induce a spostare l’attenzione sulla superfice del mare, a fissare il vento e le onde, e accettare che sì, Dio non mi ama.

Gesù dà quell’“ordine” per liberare dalla paura i discepoli e strappare al caos quella “barca” come una primizia nel mondo, perché nel mare in tempesta sia un sacramento di salvezza per tutti.

Proprio esso rivela l'amore di Dio che vuole ricrearci, ridare cioè "ordine" alla nostra vita, perché dove c'è disordine e caos, non c'è Dio ma il demonio.

Ascoltiamo il Vangelo, ci sembrerà un filmato in dissolvenza nel quale si sovrappongono la Passione e gli eventi del brano odierno : Gesù “ordina” ai discepoli di salire sulla barca, il Padre "comanda" a Gesù di salire sulla croce; i venti contrari e le onde si avventano sull’imbarcazione, Gesù è davanti a Pilato e alla folla, il flagello, gli sputi, gli insulti si abbattono su di Lui, e infine è inchiodato sul legno della Croce; la barca sembra affondare e Gesù è deposto nel sepolcro.

Ma qui la dissolvenza sfuma, perché Cristo risorge, ed ecco, “cammina sulle acque”, mentre gli apostoli sono ancora in balia della tempesta. Proprio qui si dà il cuore dell'esperienza cristiana:
per arrivare alla risurrezione il Signore doveva entrare nella morte, per questo gli apostoli e ognuno di noi, per giungere alla fede adulta deve passare per la tempesta.

Per questo Dio ci ha messo in questa storia concreta avvolta nella notte. Gesù sapeva che la “barca” sarebbe stata “agitata dalle onde”, come sa cosa ci attende in ogni istante della nostra vita. E proprio lì ci “viene incontro”, camminando su quello che ci fa paura.

Ma per i discepoli, ancora “uomini di poca fede”, l'immagine di quell’uomo che camminava sulle acque era contraria a ogni legge della natura; quella appunto dell’uomo vecchio, che ha ancora il pensiero del mondo.

E che cos'è per il mondo un “fantasma”? E’ l’uomo che vive il discorso della montagna, il cristiano che ha la vita celeste e cammina sulle acque della morte.

E per te e per me cos’è un “fantasma”? Sei tu che entri mite nella malattia, che accetti le ingiustizie, che ami il nemico. Tu che vivi la vita di Cristo.

In fondo, come per i discepoli, anche per noi Cristo è un “fantasma”. Di fronte alla storia ci chiediamo se sia Lui che cammina sulle acque che ci stanno uccidendo o se non sia un’allucinazione, frutto della cultura nella quale siamo nati o degli insegnamenti ricevuti.

Per saperlo, per aver fede, non c'è altro cammino che quello percorso da Pietro. Rischiare con Gesù e chiedergli di fare la sua stessa esperienza.

“Se sei tu, comanda che venga da te sulle acque”. Quel “se” deve emergere dal cuore per poter scomparire nel nuovo “ordine” di Gesù; altrimenti, continueremo a dubitare che essere cristiani sia possibile.

Gesù accoglie il “se” di Pietro, come anche i nostri dubbi. Non si scandalizza, e ci chiama. “Vieni!” cammina su quest’onda che sta travolgendo il tuo matrimonio. E Pietro cammina, e noi con lui: è tutto vero, è il Signore, ho perdonato mio marito, e che gioia. Ma…

Ma il vento è forte, e il demonio torna all’attacco, sollecitando la ragione e la sua carne. E’ impossibile camminare sull’acqua… Tuo marito ti ha tradito ancora, e di nuovo la voce satanica a sbatterti in faccia la tua debolezza: non ce la farai a perdonarlo un’altra volta, lascialo, divorzia…

E’ un attimo, Pietro lo ascolta e smette di fissare Gesù, e si ritrova di nuovo solo, con la sua debolezza. Ed eccoti pronta a mollare tutto, incapace di amare sino in fondo.

Ma proprio ora Pietro può gridare dal fondo del suo cuore, tendere la mano come Mosè, e incontrare quella di Gesù pronta ad “afferrarlo”.

In quel momento Pietro è immagine di ogni catecumeno giunto al momento decisivo del suo cammino di fede; esso coincide con la “fine della notte”, quando l’alba della risurrezione si fa strada con il suo chiarore. Pietro è sceso ormai nella vasca battesimale; è nudo, senza difese, e può lasciare nell’acqua il suo uomo vecchio per entrare nel giorno che non conosce tramonto.

Ora sul suo corpo afferrato dalle onde e sulla sua voce impaurita torna la dissolvenza di Gesù, inghiottito dalla morte e risuscitato. Come sulla nostra vita di oggi, sulla crisi del matrimonio, su ogni situazione.

Pietro stava facendo la stessa esperienza di Gesù. E come per lui, anche per noi solo l’estrema debolezza può conoscere la forza infinita del Signore risuscitato.

La sua realtà di “uomo di poca fede” gli ha svelato l'identità di Gesù. La consapevolezza della sua povertà ha cancellato quel "se" che lo turbava: sì, possiamo sperimentare che oltre le onde del peccato e il vento “vuoto” delle vanità del mondo, dietro all’apparenza che ci turba, c’è la mano di Dio. Che oltre il peccato c’è la misericordia.

E questo è proprio il primo passo, quello decisivo, dell’uomo nuovo: scoprirsi senza fede, per implorarla, giorno dopo giorno, istante dopo istante. Solo così potremo tendere la mano e lasciarci condurre da Cristo a compiere la volontà del Padre, per rientrare nella barca e vedere il “vento cessare”.

Ciò significa che sapremo vedere l’amore di Dio anche nella notte di un mare in tempesta, nella certezza; che è Dio a portarci lontano “qualche miglio da terra”, in preda del “vento contrario e delle onde”, secondo un disegno di salvezza per noi e per il mondo.

Allora nessun "se" ci ingannerà e finalmente ci "prostreremo davanti" a Lui abbandonando il nostro orgoglio, per professare, in ogni evento, la nostra fede "esclamando: Tu sei veramente il Figlio di Dio!". 

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Preghiera, Potenza e Fede


Lectio divina per la 19ª Domenica del Tempo Ordinario - Anno A

Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture liturgiche per la 19ª Domenica del Tempo Ordinario – Anno A.
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Premessa:
Il Vangelo è la narrazione di fatti e parole di Gesù che non devono solamente essere letti od ascoltati, ma vissuti.
1) Preghiera di Gesù, da imitare.
Leggendo il brano evangelico, che la liturgia ci propone oggi, la nostra attenzione è attirata dalla potenza di Gesù, che cammina sulle acque, e dalla Sua parola che calma la tempesta del lago.
Ma credo che sia utile accennare anche a ciò che immediatamente precede e segue questo miracolo, il quale mostra come Cristo sia il Signore che domina anche la natura e non solo moltiplica i pani e i pesci1. In effetti all’inizio di questo vangelo San Matteo parla della preghiera solitaria di Gesù (“salì sul monte, solo, a pregare” - Mt 14, 23) e, alla fine, ci racconta la professione di fede dei discepoli “Davvero tu sei Figlio di Dio!” – Id 14, 33).
Nel ritmo intenso della sua giornata, Gesù ha sempre trovato il tempo per la preghiera, o al mattino presto o alla sera tardi, dopo aver congedato la folla come leggiamo in questo episodio del Vangelo. Non è certo possibile per noi penetrare tutto il segreto di questa sua preghiera solitaria. Ma possiamo almeno avvicinarci un poco, tenendo presente che Gesù si rivolge a Dio invocandolo sempre con il nome di Padre. La sua preghiera è anzitutto filiale. Ma proprio perché filiale la preghiera di Gesù è obbediente. La sua è al tempo stesso la preghiera del Figlio e del Servo del Signore. Già nel termine Padre sono incluse ambedue le dimensioni: la familiarità e l'obbedienza. Coscienza della propria filiazione e totale dipendenza sono i due poli della preghiera di Gesù, e sono – ancor prima – le strutture essenziali della sua persona. Non dovrebbe essere così di ogni cristiano? Direi proprio di sì.
Gesù non è solo il Figlio di Davide discendente messianico regale, o il Servo di cui Dio si compiace, ma è anche il Figlio unigenito, l’amato, simile a Isacco, che Dio Padre dona per la salvezza del mondo. Nel momento in cui, attraverso la preghiera, Gesù vive in profondità la propria figliolanza e l’esperienza della paternità di Dio (cfr Lc 3,22b), discende lo Spirito Santo (cfr Lc 3,22a), che lo guida nella sua missione e che Egli effonderà dopo essere stato innalzato sulla croce (cfr Gv 1,32-34; 7,37-39), perché illumini l’opera della Chiesa..
Guardiamo a Gesù ed alla sua preghiera, che attraversa tutta la sua vita (e non solo l’episodio di oggi), come un canale segreto che irriga l’esistenza, le relazioni, i gesti e che lo guida al dono totale di sé, secondo il progetto di amore di Dio Padre per gli uomini.
Nella nostra preghiera noi dobbiamo imparare ad entrare, sempre di più, nella preghiera di Gesù e rinnovare davanti a Dio la nostra decisione personale di aprirci alla sua volontà, chiedere a Lui la forza di conformare la nostra volontà alla sua, in tutta la nostra vita, in obbedienza al suo progetto di amore per noi.
2) Un’invocazione da fare tutti i giorni.
Veniamo alla parte centrale della narrazione evangelica di oggi: La barca sballottata dal mare, la paura dei discepoli, le parole di Gesù e il grido di paura di Pietro. Il primo degli Apostoli offre la sua paura a Chi ama e grida “Signore, salvami”. L'importante è aver fede e pregare come Pietro. Si noti il dialogo tra questo Apostolo e Gesù. Pietro cammina sulle acque come Gesù, ma non per potenza propria. La sua possibilità dipende unicamente dalla parola del Signore (“vieni!”) e la forza sta tutta nella fede. È questa una grande lezione per tutti. Aggrappato a questa fede, il discepolo può ripetere gli stessi miracoli del Signore. Ma se questa fede si incrina (“uomo di poca fede, perché hai dubitato?”), allora il discepolo torna ad essere facile preda delle forze del male. Il dubbio, di cui qui si parla, non è il dubbio intellettuale intorno alle verità della fede, ma la mancanza di fiducia di fronte alle difficoltà della vita, la mancanza di fede nell’Amore che ci ha creati.
San Pietro ha paura quando guarda solo a se stesso, alla forza del vento, e non alla presenza amorosa di Gesù. Così la paura uccide il coraggio e rende fragile l’incontro con il Signore.
Però San Pietro ha saputo chiedere a Gesù di esercitare la sua autorità a vantaggio del suo rapporto con Lui. La richiesta dell'Apostolo non senza un qualche grado di temerarietà, esprime tuttavia una vera fede nel Signore degli elementi e un sincero affetto nei suoi confronti.
Senza pensare al pericolo, acceso di fervore spirituale in presenza del Salvatore Pietro esce dalla barca. Ma amando con poca costanza e con minor sapienza si fa prendere dalla paura per le folate di vento improvviso e così a Gesù gli tocca di prenderlo per mano, come aveva fatto per la sua suocera malata.
È la mano del Signore che lo salva.
Certe volte si sopportano con animo forte prove pesanti per poi lasciarsi vincere da sofferenze più leggere. A Pietro marinaio che fino a quel momento aveva lottato con il mare, fa paura il vento.
Non fu l’impeto delle onde agitata dal vento a cambiare, fu la disposizione d’animo a cambiare. La paura, però, non crea l’amore. Essa fa emergere l’amore che ci costituisce e a cui è ragionevole gridare: “Signore, salvami”. A quest’uomo che urlava la sua domanda di non morire, sùbito Gesù stese la sua mano, afferrò quella di Pietro e gli disse: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”. Quella mano tesa, quel dolce rimprovero rinsaldano la fede nei presenti più che il camminare di Gesù sulle acque. Lui esaudisce sempre la domanda di fede e quando la fede si risveglia, non c'è bisogno che il Signore dia ordini al vento: “Appena saliti sulla barca, il vento cessò”. E “quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio»” (Mt 14, 33).
3) Gesù non tende solo la mano.
La risposta al grido di paura è un abbraccio di amore fraterno. Il Signore Gesù ci raggiunge, al centro della nostra debole fede. Ci raggiunge e non punta il dito per accusarci, ma tende la mano per afferrare la nostra ed elimina la paura con un abbraccio. Gesù è lo splendore di un abbraccio, che umanamente ha imparato da sua Madre, Maria. Questa umile, grande donna che era “Vergine umile di cuore e poneva tutta la sua speranza nella preghiera del povero” (cfr Sant’Ambrogio, De virginibus II, 2).
Questa creatura, per la sua pienezza di grazia, la pienezza di grazia di cui era stata riempita dal primo istante della sua esistenza, viveva come vergine, cioè come una persona cosciente di essere sempre amata da Dio. La verginità è quella gratuità che l’essere amati da Dio dona alla vita. Viveva come vergine. Dal cuore umile, perché era stata sempre amata. Non si era data lei questo essere sempre amata. Non ci si può dare l’essere amati, si può solo ricevere. Era di cuore umile e poneva così tutta la sua speranza, tutta la speranza della sua vita nella preghiera del povero, nel domandare che questo amore fosse rinnovato in ogni istante, che questa pienezza di grazia fosse rinnovata continuamente.
San Tommaso d’Aquino dice che la carità, come attrattiva, per l’uomo pur ferito dal peccato, è più potente, come intensità di attrattiva e di diletto, che qualunque attrattiva naturale (Summa theologiae II-II q. 23 a. 2). La carità è imparagonabile, come attrattiva avvincente, rispetto all’attrattiva naturale dell’uomo verso la donna.
La verginità vissuta dalle persone consacrate nel mondo è un amore che nasce dalla felicità di essere amate da Dio, non nasce da una mancanza e non è un di meno rispetto all’amore coniugale. Anzi è una pienezza.
Queste Vergini consacrate mostrano con la vita ciò che Sant’Agostino disse sulla bellezza di Gesù: “Per noi dunque che Lo riconosciamo, il Verbo di Dio ci venga incontro in ogni occasione bello, bello quale Dio, Verbo presso Dio (pulcher Deus, Verbum apud Deum), bello nel ventre della Vergine (pulcher in utero Virginis), dove non abbandonò la divinità e assunse l’umanità, bello bambino appena nato; perché, anche mentre era bambino che succhiava il latte e mentre veniva portato in braccio, di Lui i cieli hanno parlato, Lui piccolo bambino gli angeli hanno lodato, a Lui una stella ha condotto i magi, Lui è stato adorato nella mangiatoia, cibo dei miti. Bello dunque in cielo, bello in terra; bello nel ventre di Maria, bello preso in braccio da Maria e da Giuseppe, bello nei miracoli, bello anche nella flagellazione2, bello quando invitava a seguirlo, bello quando non ha disdegnato la morte, bello quando è spirato, bello quando è risorto, bello sulla croce, bello anche nel sepolcro, bello nel cielo ((pulcher in ligno, pulcher in sepulcro, pulcher in coelo)” ( Sant’Agostino, Enarrationes in psalmos, 44, 3).
A questa bellezza le Vergini si sono consacrate lietamente come indica anche la preghiera solenne di consacrazione: “Felici quelle che consacrano la loro vita a Cristo e lo riconoscono come sorgente e ragion d’essere della verginità. Hanno scelto di amare colui che lo Sposo della Chiesa e il Figlio della Vergine Maria” (Rito di consacrazione delle Vergini, n 24).
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NOTE
1 Cfr il Vangelo di Domenica scorsa, 18ª del Tempo Ordinario, Anno A.

2 Sì, anche nella flagellazione perché – dice Sant’Agostino – nella flagellazione, quando era tutto sfigurato, se consideri perché era diventato così, perché si era lasciato battere dai flagelli così, se consideri la misericordia per cui per te, per tuo amore si era fatto ridurre così, è bello anche nei flagelli. Quando Maria Lo ha preso in braccio sotto la croce morto, non c’era cosa più bella di quel suo figlio sfigurato. Così quando il buon ladrone Gli disse: “Gesù, ricordati di me quando sarai in paradiso” (Lc 23, 42), non aveva mai in tutta la vita incontrato una cosa così bella come in quel momento, nel momento della morte, quando si è sentito dire: “Oggi sarai con me in paradiso” (Lc 23, 43).