mercoledì 27 agosto 2014

Una sentinella al Cielo


di L. Bertocchi
Era un giorno di dicembre del 2010, Eugenio Corti stava per compiere 90 anni e mi accolse nel grande salotto della sua casa di Besana Brianza. Mi concesse quasi tutta la mattina, con grande disponibilità, e oggi, che è salito al Cielo, voglio ricordarlo ripensando alle ore passate con lui.
Mi disse che stava lavorando ad un aggiornamento del suo libro “Il fumo nel tempio”, un testo che con grande coraggio analizzava la questione della Chiesa Cattolica nel post-concilio. Un saggio decisamente controcorrente, lui che ha saputo metter su carta grandi racconti come “Il Cavallo Rosso”, qui graffiava, battagliero per come a suo giudizio era cambiata la Chiesa dopo il 1965.
Andai a intervistarlo proprio per questo suo ruolo di sentinella nel post-concilio. Andai per chiedergli: “a che punto è la notte?” Quando incontrai Eugenio Corti il pontificato di Benedetto XVI aveva permesso l’apertura di un dibattito fuori dal coro sull’ermeneutica conciliare. Coloro che erano sempre stati messi ai margini, trovavano ora nuova cittadinanza, possibilità di parola. Basti pensare alla rivalutazione della figura di Romano Amerio, la riscoperta del Card. Siri, i libri di Mons. Gherardini, perfino la controversa esperienza di Mons. Marcel Lefevbre (il Vaticano aveva aperto un confronto con la Fraternità S.Pio X, poi finito con un nulla di fatto). Queste, insieme ad altre, erano le sentinelle che, con alcuni amici, ci accingevamo a mettere in un libro poi edito da Cantagalli. Corti per me era uno di loro, una sentinella nel post-concilio, qualcuno da ascoltare per capire qualcosa in più degli ultimi 40 anni della Chiesa Cattolica.
Mi disse che era molto felice del pontificato di Joseph Ratzinger “perchè non dobbiamo perdere quello che conta di più, che è vero e che vale”. Si stava parlando del rischio rappresentato dalla vaghezza delle interpretazioni intorno al Vaticano II e lui sosteneva che “forse bisogna risalire al pontificato di Pio XII per ritrovare quella chiarezza che forniva un riferimento preciso per tutti”.
«Il punto di partenza – mi disse – per me è rappresentato dalla presa di posizione di san Pio X, successivamente vi sono state una serie di spinte innovatrici che piano piano hanno proposto e introdotto sviluppi che poi sono entrati prepotentemente nella Chiesa. Queste innovazioni furono accettate da alcuni sì e da altri no, ma si sono fatte sentire fortissimamente, a mio modo di vedere questi sviluppi non erano legittimi. Si è dimostrato, infatti, che anche se muovevano da buone intenzioni contenevano degli errori che poi hanno fatto sentire il loro effetto.”
Poi divagammo, mi raccontò della sua avventura nella terribile campagna di Russia, vissuta da uomo di fede, preoccupato dalla realtà dei totalitarismi del ’900. Accennò più volte al ruolo delle apparizioni di Fatima, sia per quanto riguarda l’interpretazione della storia, sia a livello personale, per la sua vita di fede. Considerava il suo ritorno dalla Russia una specie di miracolo. Tornò più volte sulla speranza irriducibile che lo animava proprio perchè – “non dimenticarlo mai!” – il soprannaturale “irrompe sempre nel naturale. Già e non ancora”.
Mi raccontò di Don Carlo Gnocchi che conobbe personalmente, di quando lo vide celebrare l’eucaristia utilizzando come altare il corpo dei caduti, mi parlò anche di don Giussani di come, secondo lui, sapeva parlare ai giovani in modo unico, in un tempo in cui i giovani si perdevano con grande facilità.
Tornammo poi sul post-concilio e mi disse che “dal dopoguerra in poi questa è la situazione che la Chiesa si è trovata a vivere: sulla spinta di innovazioni ambigue si è via via venuta a creare una vera e propria spaccatura all’interno del mondo cattolico che risulta profondamente diviso. Questo è il nostro guaio di oggi (…) Oggi verrebbe quasi da dire che una cultura cattolica non esiste più, la divisione intestina che la abita sembra paralizzarla.”
Lo preoccupava molto la divisione, la mancanza di unità nella verità e nella carità, riteneva che regnasse una ideologizzazione della fede che aveva smesso di farsi cultura – e politica – in modo autenticamente cattolico. Tuttavia mi confidò che a suo modo di vedere il problema era ormai più profondo, non tanto di carattere politico, quanto di carattere culturale e soprattutto spirituale. E tornò a parlarmi della fede, lui, che mi disse di considerarsi un razionale, si rendeva conto che la situazione poteva essere recuperata ingaggiando innanzitutto una battaglia di carattere spirituale.
La moglie, nel cui sorriso si vedeva ancora quanto lo amasse, ci portò un tè, poi gli chiesi se era stanco, che avremmo potuto tranquillamente fermarci. Ma lui era entusiasta, volle continuare e con grande lucidità affrontò un analisi della storia del pensiero e, con una sintesi lungimirante, mi disse che dopo la tragedia del XX secolo la cultura europea di fatto avrebbe compiuto un passo indietro. “Ripiegando su di una visione della realtà che, in linea generale, dobbiamo riconoscere essere di stampo illuministico. Dio è escluso dalla realtà”. Aveva 90 anni, ma ricordo bene i suoi occhi svegli e luminosi, quelli di uno che non molla, ma senza pessimismi, senza rancori, semmai quelli di chi tiene lo sguardo puntato lassù.
“Le mie opere – continuò – sono sempre state messe ai margini dalla grande ribalta culturale perchè ho sempre cercato di interpretare la realtà senza escludere Dio. Questo è il peccato originale che chi detiene l’attuale cultura occidentale non perdona.”
Parlammo della Brianza, terra di paolotti, cattolica fin nel midollo, tanto che a me, emiliano-romagnolo, sembrava una specie di oasi nel deserto. Invece, lui mi disse che nonostante le chiese di Brianza la domenica fossero ancora piene, gli pareva che la realtà cattolica fosse un po’ sommersa. “C’è ancora gente, ma mi pare una realtà che messa alla prova possa cedere con una certa facilità: c’è rimasto qualcosa che potremmo definire una forma, ma di sostanza ne corrisponde poca. Faccio un esempio per tutti: i giovani hanno paura di sposarsi.” Quest’ultima cosa gli pareva impossibile, per lui che era vissuto per la sua sposa e per la famiglia.
Il mezzogiorno arrivò presto e dovevamo salutarci. Mi alzai dalla poltrona, gli strinsi la mano e chiesi un ultima battuta. Tenendomi la mano rispose così: “Nutro speranza per il futuro, perchè se anche il mondo di oggi e la Chiesa si trovano in condizioni difficili ripongo fiducia nel Signore”. Quella mattina incontrai un maestro.