sabato 23 agosto 2014

Non è uno scontro tra islam e cristianesimo



Il Segretario di Stato: «La maggioranza dei musulmani rifiutano quei metodi brutali e disumani. Speriamo che il mondo islamico sappia dire una parola. La comunità internazionale sia presente nel Paese. La Chiesa non è stata in silenzio»

ANDREA TORNIELLIRIESE PIO X



Quello che sta accadendo in Iraq «non è uno scontro tra islam e cristianesimo». Lo afferma il cardinale Pietro Parolin, che ieri sera, al termine della messa per il centenario della morte di san Pio X ha accettato di rispondere ad alcune domande di «Vatican Insider» sulla situazione internazionale. Meno di una settimana fa, nel dialogo con i giornalisti sull'aereo, Papa Francesco aveva spiegato che è lecito «fermare l'aggressore ingiusto», specificando però che fermare non equivale a bombardare, e che la decisione su come intervenire deve essere presa dalla comunità internazionale, dalle Nazioni Unite, e non da un singolo Paese.

Eminenza, che cosa pensa di quanto sta accadendo in Iraq?

«Ha già parlato il Papa, non commento le sue parole. Credo che la situazione sia fonte di grande preoccupazione per i cristiani e per tutte le altre minoranze. Noi speriamo veramente che gli sfollati possano tornare ai loro villaggi e che si possa ricostruire, attraverso un'azione politica di inclusione, un Iraq in cui tutti i gruppi minoritari abbiano il loro posto e possano contribuire alla costruzione del Paese».

Si augura un sussulto di coscienza da parte della comunità internazionale?

«Certamente la comunità internazionale deve intervenire. Deve intervenire nel senso che deve rendersi presente in quella situazione. Non è possibile che il Paese nelle condizioni in cui si trova ora ce la faccia da solo a risolvere i suoi problemi».

Alcuni presentano ciò che sta accadendo in Iraq come uno scontro tra cristianesimo e islam. È una lettura corretta o si tratta di una semplificazione?

«Io credo che sia una semplificazione. Leggevo proprio in questi giorni alcuni rapporti del nunzio in Siria, nei quali raccontava quanti musulmani soffrono per questa situazione e sono solidali con i cristiani. Quindi non si tratta assolutamente uno scontro tra islam e cristianesimo. Ci sono all'interno dell'islam, e credo siano la maggioranza, persone che rifiutano metodi così brutali e antiumani. Purtroppo alcune parti li assumono come propri ma penso che non siano condivisi da molti dei loro correligionari. Speriamo che anche da parte loro si sappia dire una parola in questo senso e quindi distinguere tra quello che si può fare quello che non si può fare, speriamo che ci sia anche una parola da parte del mondo musulmano».

C'è chi accusa la Santa Sede di essere intervenuta poco, di essere stata troppo silenziosa davanti al dramma iracheno...

«Non occorre sempre gridare per risolvere i problemi. Ci possono essere anche altre strade, altri metodi. Comunque il Papa ha parlato tantissime volte, non si può certo dire alla Chiesa di essere stata troppo silenziosa. E poi ci si sforza soprattutto di dare una mano concretamente per risolvere questi problemi».

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L’ avanzata violenta dell’Islam intollerante e totalitario

(di Lupo Glori) «Le nostre sofferenze di oggi sono il preludio di quelle che subirete anche voi europei e cristiani occidentali nel prossimo futuro». Tali drammatiche parole di avvertimento, sono state pronunciate sulle colonne del “Corriere della Sera” del 10 agosto da Amel Nona, arcivescovo caldeo di Mosul fuggito ad Erbil di fronte all’avanzata dell’esercito islamico dell’”Isil”. Il messaggio è chiaro ed inequivocabile: occorre reagire prontamente, se necessario con la forza, alla violenza jihadista per fermare l’esodo forzato dei cristiani dal Medio Oriente.
L’arcivescovo Amel Nona, sebbene costretto ad abbandonare la propria diocesi, è più battagliero che mai e ha le idee molto chiare in proposito: «Ho perso la mia diocesi. Il luogo fisico del mio apostolato è stato occupato dai radicali islamici che ci vogliono convertiti o morti. Ma la mia comunità è ancora vivaPer favore, cercate di capirci. I vostri principi liberali e democratici qui non valgono nulla»Amel Nona continua mettendo in guardia l’Occidente rispetto ai pericoli insiti in una miope ed ideologica politica di accoglienza: «Occorre che ripensiate alla nostra realtà in Medio Oriente perché state accogliendo nei vostri Paesi un numero sempre crescente di musulmani. Anche voi siete a rischio. Dovete prendere decisioni forti e coraggiose, a costo di contraddire i vostri principi. Voi pensate che gli uomini sono tutti uguali , ma non è vero. L’Islam non dice che gli uomini sono tutti uguali. I vostri valori non sono i loro valori. Se non lo capite in tempo, diventerete vittime del nemico che avete accolto in casa vostra».
La feroce offensiva dell’”Esercito Islamico dell’Iraq e Levante”, guidato da Abu Bakr al-Baghdadi , mirante alla ricostruzione del Califfato islamico, ha costretto, in breve tempo, tutti i media a occuparsi nuovamente del “problema Islam” e a rompere la cappa di silenzio che da troppo tempo era calata sulla tragica situazione dei cristiani in Medio Oriente «il cui numero nella regione – come riporta l’agenzia “No Cristianofobia” – è sceso drammaticamente dal milione e mezzo circa presente nel 2003 ai soli 450 mila attuali, riducendosi di oltre due terzi nel giro di dieci anni. A Mosul erano 130 mila nel 2003, 10 mila nel 2013, meno di 2 mila lo scorso 16 giugno. Un massacro».
LehayTale rinnovato interesse per l’Islam ha coinvolto anche l’ex capo dell’esercito australiano, Peter Lehay, il quale ha messo in guardia il suo paese contro la crescente minaccia islamica, prevedendo inevitabili future azioni sia dentro che fuori i confini: «Teniamoci pronti per una guerra lunga 100 anni contro il radicalismo islamico». Intervistato dal Daily Mail Australia, Lehay, che oggi è direttore del National Security Institute all’Università di Canberra, ha evidenziato come anche l’Australia possa essere bersaglio degli attacchi del terrorismo islamico: «Ci siamo già passati, ci sono posti che sarebbe meglio non visitare e ci sono stati attacchi terroristici in mete di viaggio come hanno dimostrato l’11 settembre o gli attentati a Bali. Sono stati pianificati attacchi in Australia e abbiamo respinto queste minacce grazie all’Intelligence. Ma per i terroristi basta esser fortunati una sola volta. L’Australia è coinvolta nei primi stadi di una guerra che promette di durare probabilmente ancora 100 anni. Dobbiamo essere pronti a proteggerci e se necessario mettere in atto azioni preventive per neutralizzare minacce evidenti. Prepararci a una lunga guerra».
Lehay ha lanciato inoltre l’allarme contro il pericoloso ruolo svolto da Internet dove fioriscono, senza alcun controllo, pagine web finalizzate al lavaggio del cervello e al reclutamento di giovani australiani alla causa jihadista: «Un esempio è la rivista radicale online Inspire, che incoraggia a organizzare attentati. In un recente numero, in copertina, c’era la foto dell’Opera House di Sidney. Sono stati pensati attentati contro la base militare di Holsworthy e altri luoghi simbolo. Non ci sono grandi eserciti in marcia verso l’Australia, quello che voglio dire è che queste persone si sono radicalizzate attraverso il web e le loro idee si stanno diffondendo nei nostri salotti».
Dall’Australia alla Svizzera la musica non cambia. Il sito web “www.tio.ch”, il portale del Ticino, rivela come «tra i sostenitori dei combattenti fondamentalisti vi sono anche giovani di religione islamica nati in Svizzera, ma di origini turche o balcaniche. Gli estremisti islamici raccolgono simpatie soprattutto tra i figli della seconda generazione, ossia coloro che sono nati in Svizzera, ma da genitori stranieri. Giovani che diffondono l’ideologa dell’estremismo islamico attraverso la propaganda che corre sui social network». Il Servizio delle attività informative della Confederazione (SIC) tiene sotto controllo con attenzione e preoccupazione la “propaganda jihadista” on-line. A tale proposito, Felix Endrich, portavoce del SIC, afferma: «Differentemente da quanto accadeva una volta, oggi sono più numerose le persone che esprimono sui social network la propria opinione apertamente»Per questo, il fenomeno del proselitismo jihadista nei media è costantemente tenuto sotto controllo dal SIC, al fine di evitare che sempre più persone possano aderire all’islamismo radicale.
Ci auguriamo che le maggiori potenze internazionali mettano in campo, al più presto, tutte le forze necessarie ad arginare e contrastare la furia e la violenza dell’esercito dell’Isil contro i cristiani inermi e aprano gli occhi, una volta per tutte, sul vero volto intollerante e totalitario dell’Islam. (di Lupo Glori)

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Algeria

In Algeria, a Cabilia, l’intelligence ha schedato tutti i Cristiani

(Fonte: NoCristianofobia.org) La Polizia algerina sta conducendo in modo estremamente discreto e silenzioso un’indagine sui Cristiani di Cabilia, in particolar modo su quelli di Tizi Wezzu. Per ognuno di loro è stato predisposto un file, che verrà continuamente aggiornato. In esso sono riportati il nome, l’età, lo stato sociale, le disponibilità economiche, le opinioni politiche, il livello di scolarizzazione e la professione di ciascuno: è tutto contenuto in questo speciale dossier. Per redigerlo, i servizi segreti si sarebbero infiltrati in tutte le chiese e nei luoghi frequentati dai fedeli. A denunciarlo, è stato il quotidiano on line Tamurt.info. Una vera e propria schedatura, che ha provocato una comprensibile inquietudine ed è stata pubblicamente denunciata già lo scorso mese di maggio. Ma il motivo di tale sorta di censimento resta formalmente sconosciuto.
Per intuirlo, occorre partire da un dato statistico, indice di una clamorosa inversione di tendenza: il numero dei Cristiani ha ormai superato di gran lunga quello dei musulmani non solo a Tizy Wezzu, ov’è in corso quest’operazione di intelligence su larga scala, ma anche a Makuda, ad At Wagnun e ad Iwadiyen. Una svolta ritenuta preoccupante dalle autorità, ch’erano abituate a ben altro: i Cristiani, pur essendo presenti in Algeria sin dal primo secolo dopo Cristo, ufficialmente sino a due anni fa rappresentavano l’1% in tutto: solo 5 mila su una popolazione di 35 milioni di abitanti, per lo più stranieri provenienti da altri Stati africani. Nonostante questo, negli anni Novanta, quelli della guerra civile che provocò 200 mila morti, questo pugno di fedeli diede ben 19 martiri, pari al 10% di tutti i religiosi del Paese.
Spiegò alla stampa tempo fa mons. Ghaleb Moussa Abdalla Bader, primo prelato arabo a divenire Arcivescovo di Algeri: «Questa terra ha ospitato molti Padri della Chiesa, a partire da Sant’Agostino. Nel V secolo avevamo 500 Diocesi e più di mille Vescovi. Ma dal VII secolo l’hanno occupata gli arabi ed è cambiato tutto». Oggi, in Algeria, le Diocesi rimaste sono soltanto tre. Una legge del 2006, l’Ordinanza 06-03, prevede un permesso speciale per poter celebrare funzioni religiose non islamiche: ciò che spinge in molti casi a dir Messa la domenica nelle case private o in aperta campagna, presso luoghi isolati. Chi volesse convertire un musulmano ad un’altra confessione rischia tra i 2 ed i 5 anni di carcere. Nel 2011 l’Alto Commissario di Polizia di Bejaia aveva ordinato la chiusura di tutte le chiese cristiane, comprese quelle ancora in costruzione, minacciando «serie conseguenze e punizioni» per gli inadempienti.
Ed ora, con questa nuova schedatura di massa, la tensione torna a farsi alta. Drammatica, in merito, la testimonianza di un cittadino di Cabilia riportata su Tamurt.info, nell’edizione dello scorso 17 agosto: «Ci hanno detto che lo Stato algerino non intende nominare nei propri posti-chiave dei cittadini di confessione cristiana. Quella che stiamo patendo è una forma di segregazione, un ricatto per la nostra comunità».
Ma il giornale locale va anche oltre: «Pare proprio che i servizi d’intelligence siano preoccupati più dalle opinioni politiche e dalle convinzioni religiose degli abitanti di Cabilia che dalla loro sicurezza», scrive. Ed in un’inchiesta evidenzia come in tutto il Paese il terrorismo sia stato ormai praticamente debellato grazie ai servizi di sicurezza. Tranne che a Cabilia, ancora scossa invece dall’integralismo islamico. Che, secondo il quotidiano, non sarebbe un fenomeno spontaneo e sporadico, bensì collegato tramite i propri capi all’esercito ed alla stessa intelligence. Una denuncia forte, decisa.
Nell’edizione dello scorso 21 agosto, Tamurt.info ha tratto in un nuovo articolo le conseguenze politiche della situazione, paragonata a quella dei curdi: «L’edificazione di uno Stato di Cabilia democratico e laico, immagine della cultura di questo popolo, rappresenta più di un imperativo, per evitare a questa regione di subire ciò che già provano sulla propria pelle i Cristiani in Iraq, in Siria e negli altri Paesi del Medio Oriente, nelle mani degli integralisti islamici». Col rischio che, anche in questo caso, il mondo tardi ad accorgersene.