venerdì 29 agosto 2014

Nella pace dell’inquietudine.



“Le persone viaggiano per stupirsi delle montagne, dei mari, dei fiumi, delle stelle;
e passano accanto a se stessi senza meravigliarsi”.
Sant’Agostino (354 - 430)


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Il segretario di Stato celebra la messa nella memoria liturgica di sant’Agostino.  Invito a non dimenticare i fratelli che soffrono in Medio oriente   

«Imparare a leggere in modo più profondo il proprio tempo per diffondere una nuovaratio del vivere sociale», avendo «la pace dell’inquietudine» come strada maestra: è in questo insegnamento la grande attualità di sant’Agostino. 
A riproporla il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, che nel pomeriggio di giovedì 28 agosto ha celebrato la messa per la festa del «grande dottore e padre della Chiesa», nella basilica romana a lui dedicata. Presente, tra gli altri, il priore generale dell’ordine agostiniano, padre Alejandro Moral Antón.

Da Agostino — ha detto nella circostanza il cardinale intervistato dalla Radio Vaticana — bisogna oggi soprattutto «apprendere» proprio la «capacità di leggere, al di sotto degli avvenimenti, il piano di Dio che si sta svolgendo, che si sta sviluppando, e che è sempre un piano di pace e di salvezza per l’uomo e offrirci così, umilmente, però totalmente, per la realizzazione della città di Dio, dove prevale l’amore, l’amore di Dio, fino al punto di disprezzare se stessi». Perciò, ha dichiarato riferendosi in particolare al Medio oriente, «dobbiamo dimenticarci di noi stessi e prendere a cuore la sorte dei nostri fratelli, anche adesso, quelli che soffrono, i cristiani e tutte le altre minoranze: trovare la maniera concreta e più efficace di aiutarli». Quindi, ha aggiunto, è importante «questa lettura che va al di là di quello che si vede e si sente, una lettura che va più in profondità, che ci aiuta a scorgere il piano di Dio, e questa chiamata a farci collaboratori di questo piano di Dio perché l’uomo abbia la vita e l’abbia in abbondanza».
Nell’omelia il segretario di Stato ha innanzitutto ricordato che proprio un anno fa Papa Francesco, «in questa chiesa e in questa stessa circostanza liturgica, celebrava la santa messa di apertura del capitolo generale dell’ordine agostiniano». Per questo, al termine dell’Eucaristia, il cardinale ha inaugurato una targa a ricordo «di quell’eccezionale evento». Quindi ha riproposto l’invito del Papa, rivolto specialmente ai consacrati e alle consacrate, «a vivere la “pace dell’inquietudine”: l’inquietudine della ricerca, l’inquietudine di un incontro mai appagato, l’inquietudine dell’amore. Si tratta di suggestivi concetti, mutuati dall’itinerario spirituale di Agostino».
Richiamando il brano degli Atti degli Apostoli (2, 42-47) proposto dalla liturgia, il cardinale ha ricordato che «i primi cristiani avevano ogni cosa in comune e dividevano le loro sostanze con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. A questo modello di comunione e di condivisione si è ispirato sant’Agostino per dare forma evangelica al desiderio di vita comune dei suoi frati». Così, ha proseguito, «spesso nelle sue opere ricorre questo testo biblico, ma soprattutto nelle comunità da lui fondate e nella sua celebre Regola, vediamo attuato questo “santo proposito”: vivere con un solo cuore e una sola anima in Deum, radicati nell’unità reciproca e protesi verso di lui».
«Questa tensione — ha spiegato il segretario di Stato — è l’inquietudine che Papa Francesco ha invitato a vivere, una inquietudine di pace, perché la pace, in questo pellegrinaggio terreno, si trova oggi in Deum, domani nella pienezza del riposo in lui». Scrive Agostino: «Cercavo la via per procurarmi forza sufficiente a goderti, ma non l’avrei trovata, finché non mi fossi aggrappato al mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù» (Confessioni VII, 18, 24). È il momento in cui, ha spiegato il porporato, «l’ago della bussola della sua vita iniziò a dirigersi decisamente verso Cristo. Dopo aver a lungo vagato nel buio, il suo cuore si infiammò d’amore per Gesù e i fratelli, tanto che il santo d’Ippona è spesso raffigurato con un cuore fiammeggiante in mano. L’incontro con “l’umile Gesù” e lo studio assiduo degli “ammaestramenti della propria debolezza” trasformarono la sua vana sapienza in una via all’umiltà. Si buttò con la massima avidità sulla venerabile scrittura, e prima di tutto sull’apostolo Paolo».
Nella seconda lettura, tratta dalla seconda lettera a Timoteo (4, 1-8) — ha fatto notare il cardinale — san Paolo esorta Timoteo ad annunciare la Parola, insistendo «al momento opportuno e non opportuno», ammonendo, rimproverando, esortando «con magnanimità e insegnamento». Proprio queste parole, secondo il porporato, «evocano l’itinerario sacerdotale ed episcopale di sant’Agostino. Egli fu davvero un fedele e coraggioso annunciatore del Vangelo, animato costantemente da un fervido zelo apostolico. Il suo ministero fu caratterizzato da incessante predicazione e studio, preghiera e contemplazione, mosso dal desiderio di raggiungere tutti e di portare ognuno a Cristo. Egli stesso, già vescovo, lo confidò in più occasioni: “Continuamente predicare, discutere, riprendere, edificare, essere a disposizione di tutti: è un ingente carico, un grande peso, una immane fatica” (Sermone 339, 4). Anche se egli stesso in un’altra occasione aggiunge “chi ama non fa fatica; e se fa fatica, ama la fatica che fa”».
Guardando alla pagina evangelica della liturgia, tratta dal capitolo 10 di Giovanni (7-18), il cardinale Parolin ne ha messo in rilievo soprattutto la riproposizione del «modello del buon pastore che dà la vita per le pecore» e «la radicalità del dono a cui è chiamato ognuno di noi». E infatti «anche sant’Agostino dovette spendere ogni sua energia di pastore, a volte a rischio della vita, soprattutto per cercare di ricomporre la Chiesa in Africa lacerata da uno scisma, quello donatista, che la divideva da quasi un secolo». Così «la “tunica senza cuciture”, come amava chiamare la Chiesa, era a brandelli». Tuttavia, ha affermato il porporato, «con pazienza e dottrina» egli si diede da fare «in ogni modo per confutare e persuadere, nel desiderio di ricondurre i dissidenti all’unità, portando la discussione sul piano teologico e non politico».
«Le numerose comunità, i tanti uomini e donne che il vescovo di Ippona conquistò a Cristo con la sua testimonianza — ha proseguito il segretario di Stato — sono il segno della fecondità di una vita santa e sono per tutti noi un esempio a perseverare con gioia nella fede, nonostante le difficoltà e le tribolazioni. La luce della sua vita brillò infatti in tempi di continui conflitti e di rivolgimenti epocali, come la caduta di Roma e l’invasione dei vandali che assediarono Ippona proprio mentre Agostino stava morendo». Di fronte a questo «non solo non si scoraggiò, ma intraprese un serrato dibattito richiamando la lettura della realtà nell’ottica della fede». E scrisse, infatti, un’opera, La città di Dio, «per imparare a leggere in modo più profondo il proprio tempo e per diffondere una nuova ratio del vivere sociale».
«Questa prospettiva esistenziale e spirituale risulta valida ancora oggi» ha detto il cardinale Parolin. E noi «siamo tutti chiamati a interrogarci dove poggia il nostro cuore: sulla roccia di Cristo o sulla sabbia dell’affermazione di sé? La storia infatti, secondo Agostino, è mossa da due amori che diedero origine a due città, alla città terrena l’amore di sé fino all’indifferenza per Dio; alla città celeste l’amore a Dio fino all’indifferenza di sé». Dunque, ha concluso il porporato, «chi ama Cristo come lo ha amato Agostino può veramente fare ciò che vuole (“Ama e fa’ ciò che vuoi”), perché il suo amore è unito alla volontà di Cristo, così che la sua volontà non è più semplicemente volontà sua, arbitrio, ma integrata nella volontà di Dio».
L'Osservatore Romano