mercoledì 2 luglio 2014

Una donna mi ha dato da bere



Preparato in Brasile il sussidio per la prossima Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. 

(Donatela Coalava) «Io sono l’acqua della vita: ho sete. Io sono il pane della vita: ho fame. Ancora vivo qui in mezzo al mio popolo che soffre e muore. Restituisco le forze, faccio parlare il silenzio. La donna mi ha dato da bere. Voglio essere per te acqua viva, pane di solidarietà, di comunione e di bellezza». Questa intensa preghiera latinoamericana sintetizza i contenuti della prossima Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che come sempre si terrà dal 18 al 25 gennaio. Il sussidio, preparato in Brasile, s’intitola Dammi da bere, prendendo spunto da un passo del Vangelo (Giovanni, 4, 7), e propone l’incontro di Cristo con la samaritana come icona dell’amore che abbatte ogni separazione dovuta a fattori confessionali, etnici o culturali, come paradigma della misericordia capace di trasformare in ardente discepola e missionaria anche la donna che aveva avuto cinque mariti.
La prima redazione del testo è stata curata da un gruppo di lavoro scelto dal Consiglio nazionale delle Chiese cristiane del Brasile (Conic). L’elaborato poi è stato riveduto dalla Commissione internazionale nominata dalla Commissione Fede e costituzione del Consiglio ecumenico delle Chiese e dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. La Commissione internazionale, in un’apposita sessione, ha ricordato l’impegno del movimento ecumenico nel denunciare le violazioni dei diritti umani che avvennero in Brasile dal 1964 al 1985, durante il periodo della dittatura militare. Hanno collaborato alla stesura del sussidio anche l’Ufficio regionale brasiliano del Consiglio delle Chiese dell’America latina, il Centro ecumenico di evangelizzazione, formazione e consulenza, e il Centro ecumenico di studi biblici. Quest’ultimo celebrerà i suoi trentacinque anni di vita in occasione della ventesima assemblea nazionale che si terrà dal 14 al 16 novembre a Guarulhos, nello Stato brasiliano di San Paolo, proprio sul tema «Dammi da bere».
Nel fluire della storia, i rapporti fra le Chiese e le comunità ecclesiali del Brasile sono passati dall’aperto conflitto alla convivenza e alla collaborazione. Durante la colonizzazione, i portoghesi, in base al sistema del patronato, concepirono la difesa del territorio come tutela, al tempo stesso, della religione ufficiale, che era quella cattolica, mostrandosi ostili alla penetrazione di altre confessioni nel Paese. Seguendo la Confessio Fluminensis, che era stata firmata da autorità politiche e religiose, l’ammiraglio Nicolau Duranti Villegaignon passò per le armi i suoi compatrioti, francesi ugonotti, che si erano rifiutati di collaborare con i suoi progetti, e condannò a morte i tre pastori che erano con loro. Fra questi ultimi si salvò solo Jacques de Balleur, che si rifugiò in un villaggio di gesuiti. Ma nel 1567 il governatore Mem de Sá lo mandò al patibolo come eretico. Tuttavia continuarono a giungere piccoli gruppi di coloni protestanti. Fra preti e pastori le polemiche furono vive, impastate di apologetica e di pregiudizi reciproci. Nel 1720 fu proibito l’ingresso in Brasile di qualunque persona che non fosse al servizio della Corona o della Chiesa cattolica. Dopo il «Trattato di alleanza, amicizia, commercio e navigazione» firmato con l’Inghilterra nel 1810, protestanti e anglicani iniziarono a godere di una parziale libertà di espressione. Durante il periodo repubblicano, nel 1890, finì il patronato e venne affermata la legittimità del pluralismo ecclesiale.
Anche in Brasile il movimento ecumenico nacque all’interno del protestantesimo, creando fra le sue varie componenti legami di dialogo e progetti comuni di azione. L’Alleanza evangelica brasiliana venne fondata nel 1903, su ispirazione del metodista statunitense Hugh Tucker. Aprì spazi per la collaborazione nell’evangelizzazione. Aveva delle caratteristiche anticattoliche, che però non tutti condividevano. Dopo questo primo organismo, via via ne sorsero degli altri. Intanto iniziava a diffondersi in ambito cattolico e protestante una nuova sensibilità, capace di sgretolare pregiudizi e diffidenze secolari, nella volontà di condividere un impegno comune a favore dei diritti umani e di cercare un’autentica koinonia.
Nel 1982 nacque il Consiglio nazionale delle Chiese cristiane del Brasile, di cui oggi fanno parte la Chiesa cattolica, gli evangelici-luterani, gli episcopaliani-anglicani, i presbiteriani uniti, la Chiesa siro-ortodossa di Antiochia.
Nel 2006, nella città di Porto Alegre, si tenne la nona assemblea del Consiglio ecumenico delle Chiese. Ai tremila rappresentanti di quasi trecentocinquanta comunità cristiane ortodosse, anglicane e protestanti, il cardinale Walter Kasper, allora presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, portò il saluto di Papa Benedetto XVI.
Non va poi dimenticato che un forte impulso al cammino ecumenico è anche contenuto nei paragrafi 227-234 del documento di Aparecida, redatto al termine della quinta Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano e dei Caraibi, riunitosi nel maggio 2007 nel santuario della Vergine patrona del Brasile. In esso, inoltre, al n. 379 è scritto: «La nostra capacità di condividere i nostri doni spirituali, umani e materiali con le altre Chiese confermerà l’autenticità della nostra nuova apertura missionaria». Con evidente riferimento alla questione delle sette (in Brasile sono oltre ventimila e hanno eroso dal 10 al 15 per cento dei fedeli) al n. 159 si sottolinea: «La Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione».
L'Osservatore Romano