martedì 22 luglio 2014

Tolstoj: il grido e la risposta


Come il grande scrittore russo affrontò la crisi della coscienza moderna. Il Meeting di Rimini gli rende omaggio con una mostra


Nella sua parabola esistenziale e culturale Lev Tolstoj vive un doppio dramma: da un lato la crisi della coscienza moderna, di matrice eminentemente illuminista e razionalista, in mezzo alla quale egli stesso si era formato; dall’altro la crisi della chiesa, ridotta a sistema di potere e di regole, che porrà il grande scrittore russo di fronte ad un bivio.
Tolstoj si ritroverà dunque isolato dall’uno e dall’altro contesto, intellettuale sradicato ed “eretico”, al quale un beffardo destino impedirà persino la riconciliazione finale.
Tutta l’opera di Tolstoj è quindi un grido, al quale fanno eco tante risposte disperse nel mare magnum della cultura a lui contemporanea e nel secolo successivo.
Aristocratico di nascita, Tolstoj finirà per perdere tutti i privilegi del suo status sociale, finendo in modo pressoché inevitabile alle “periferie dell’esistenza”: nato conte, sceglie di diventare contadino e “plebeo”, per poi morire barbone, in fuga da tutto e tutti ma fino all’ultimo accompagnato dalla sua bruciante domanda di umano.
È per questo che il Meeting di Rimini, fedelmente al tema dell’edizione di quest’anno, Verso le periferie dell’esistenza. Il destino non ha lasciato solo l’uomo, ha deciso di dedicare allo scrittore russo la mostra Tolstoj. Il grido e la risposta, a cura di Giovanna Parravicini, Adriano e Marta Dell’Asta, Francesco Braschi, Olga Sedakova, Fekla Tolstaja e gli studenti della Scuola di Alta Economia di Mosca.
A colloquio con ZENIT, Giovanna Parravicini, ricercatrice della Fondazione Russia Cristiana, ha anticipato alcuni particolari della mostra, alla luce della personalità assolutamente unica di Lev Tolstoj.
Dottoressa Parravicini, come sarà strutturata la mostra su Tolstoj?
L’idea di fondo di questa mostra è un’idea dialogica, tanto è vero che il suo titolo è Tolstoj: il grido e le risposte. Non è possibile prendere in esame tutta l’opera di Tolstoj ma cercheremo soprattutto di concentrarci sui rapporti che lo scrittore ebbe con la società del suo tempo e sulle domande che egli pose, le quali ci sono sembrate di grande attualità.
L’idea del dialogo sarà espressa in mostra dalla presenza di interlocutori, evidenziati dall’allestimento attraverso dei “totem”, ciascuno dei quali porta un personaggio e una frase emblematica: tra tali personaggi vi sono Dostoevskij, Solov’ev, la sorella dello stesso Tolstoj, che, per certi versi, ispirò il personaggio di Anna Karenina. Dal colloquio tra questi personaggi e Tolstoj emergono risposte diverse, linee ideologiche di chiusura ma anche punti di fuga verso aperture, e questo drammatico dialogo segna bene il limite ma anche la grandezza dello scrittore: il non accettare mai fino in fondo una risposta ma, dall’altro lato, il riaprire continuamente le domande senza acquietarsi mai nelle proprie teorie e tanto meno nello scetticismo.
Contemporaneamente vengono rappresentate le principali vicende della vita dello scrittore: i problemi che affronta, la gente che incontra, le vicende storiche, la “scomunica” della Chiesa ortodossa russa (in realtà, la Chiesa non pronunciò questa parola, asserendo che lo stesso Tolstoj si era allontanato da essa con le sue teorie, e invitandolo al pentimento), fino alla drammatica fuga da casa e alla morte lungo la strada. Al termine del suo itinerario esistenziale i visitatori passeranno attraverso un tunnel – metafora del passaggio dalla morte alla vita come lo scrittore lo descrive nel raccono La morte di Ivan Il’ič – ed entreranno nell’ultimo ambiente, in cui vi saranno audio e video con la persona, la voce e il messaggio di Tolstoj, la sua sconvolgente percezione del mistero dell’uomo; come dice di uno dei suoi personaggi, sempre largamente autobiografici: “...Non credeva in Dio, non ci credeva perché non solo non sarebbe riuscito a esprimere il concetto di Dio con le parole, ma neppure a esprimerlo con il suo pensiero... Eppure – egli lo sapeva bene – era qualcosa di più reale di tutto quello che sapeva”.
In che misura Tolstoj è un testimone della crisi della modernità?
Tolstoj è, innanzitutto, un figlio della cultura illuminista e moderna. I suoi ispiratori sono Rousseau e Kant. È quindi un uomo che nasce in una cultura di matrice razionalista ma che, al tempo stesso, intuisce la crisi e il fallimento del razionalismo. Afferma di essersi posto il problema del progresso e di essersi reso conto che non esiste progresso, né razionalismo in grado di abbracciare tutto l’uomo e tutto il mistero della realtà. Leggendo la Confessione, vengono in mente dei passi di Pavese, quando al culmine della fortuna di scrittore si chiede che senso e che gusto abbia tutto ciò che il “mondo” può offrire all’uomo. Anche Tolstoj, marito e padre felice, negli anni di massimo successo letterario, giunge a meditare il suicidio perché tormentato dall’assenza di un significato ultimo. Da qui il suo ritorno alla fede. In questo senso è molto interessante che Tolstoj, che pure è un rappresentante dell’aristocrazia, non porta a termine i suoi studi, si ritira nella sua tenuta di Jasnaja Poljana, dove si dedica al lavoro dei campi, occupandosi in particolare, della cultura dei contadini, dei quali cerca di migliorare la condizione, fondando tra l’altro una settantina di scuole in tutta la Russia, destinate alle classi rurali.
Pur essendo un aristocratico, Tolstoj si rende conto che è proprio il popolo ad essere titolare di una verità superiore, radicata nell’esperienza di vita: mentre i cristiani appartenenti alla nobiltà, all’intelligencija, alla civiltà moderna che trova il proprio simbolo nell’urbanizzazione, e addirittura il clero, di fatto vivono un profondo dualismo, un’ipocrisia che cela l’incapacità di trovare le risposte alle domande ultime della vita, lo scrittore vede nella popolazione rurale una profonda unità tra fede ed esperienza che porta queste persone a saper affrontare serenamente, lucidamente, la vita e la morte.

Tolstoj ebbe un rapporto particolarmente tormentato con la Chiesa del suo tempo: fu scomunicato, dichiarato eretico…
La Chiesa del tempo stava attraversando una grave crisi, come testimoniano le coscienze cristiane più vive del tempo: era una chiesa formale, ridotta da due secoli a “ministero dei culti”. La tragedia di Tolstoj fu quella non riuscire a trovare un interlocutore nella Chiesa; il suo grido rimase un grido inascoltato, come dimostrano tanti episodi della sua vita e della storia dell’epoca. Ne cito solo uno, a cui abbiamo dato particolare risalto in mostra. Nel 1881 fu assassinato lo zar Alessandro II (tra l’altro, lo zar “liberatore”, che aveva affrancato i servi della gleba); Tolstoj e Vladimir Solov’ev ebbero l’ardire di scrivere al figlio, Alessandro III, chiedendo la grazia per i terroristi, perché – asserivano – solo una nuova logica, basata non sulla vendetta ma sul perdono cristiano, avrebbe potuto spezzare la spirale di violenza e di odio creatasi. Le autorità religiose e civili mantennero invece una posizione di forza, relegando i precetti cristiani al campo di un’astratta morale individualista, e Konstantin Pobedonoscev, capo del Santo Sinodo, rispose al conte Tolstoj: “Il vostro Cristo non è il nostro Cristo, la vostra Chiesa non è la nostra Chiesa”. Si creava in tal modo un solco, non solo con Tolstoj ma con i cristiani più sensibili, che spiega anche, in parte, quanto avvenne dopo la rivoluzione del 1917.
Abbiamo pensato questa mostra all’interno del Meeting sulle “periferie”, come per rispondere alla provocazione o, se si vuole, alla sfida che papa Francesco sta lanciando da tempo, sulla necessità per ogni cristiano di ritrovare la dimensione missionaria, sul compito della Chiesa di raggiungere le periferie umane e spirituali senza calare dall’alto definizioni dottrinali ma testimoniando un’esperienza, una vicinanza, una capacità di tenerezza che renda presente Cristo vivente.
Un aspetto interessantissimo, a parer mio, è che in questo contesto di crisi dell’istituzione ecclesiastica, fu proprio l’“eretico” Tolstoj a rivestire per moltissimi, in Russia e nel mondo, un ruolo “evangelizzatore”: si veda a tal proposito, in mostra, il suo rapporto con Gandhi, che dallo scrittore russo assorbirà molto ai fini della costruzione della sua visione del mondo e del suo sistema di pensiero.
Nella mostra si accenna anche alla figura di un altro grande russo: Vladimir Solov’ev. Quali furono i suoi rapporti con Tolstoj?
Solov’ev fa conoscenza con Tolstoj nel 1875: lo scrittore è un uomo maturo, al vertice della fama, mentre lui ha solo 22 anni, pur essendo già abbastanza famoso come filosofo. Tolstoj si rende conto subito della sua grandezza e lo definisce “uno dei pochi uomini che hanno il coraggio di pensare con la propria testa”.
Nonostante la differenza d’età, fra i due comincia un dibattito sull’“essenziale” (è uno dei grandi temi della mostra, che sviluppiamo proprio all’inizio, attraverso un brano dellaLeggenda dell’Anticristo): il dibattito sulla persona di Cristo o la riduzione del cristianesimo a dottrina. Solov’ev non tratta Tolstoj da eretico o bestemmiatore, ma comprende che l’unica risposta possibile al dramma dell’uomo moderno – di cui Tolstoj è l’emblema – si trova nel superamento del razionalismo, nella scoperta della figura vivente di Cristo, e non in una coerenza morale. Infatti scrive: si può essere coerenti con le proprie idee, ma se le idee sono sbagliate? Il problema, pertanto, non è di natura morale ma conoscitiva. La verità è un uomo vivente che ha vinto la morte, e il cui principio vitale è presente nell’uomo.
Il cristianesimo è una dottrina o un rapporto vivente con Dio che consente all’uomo di essere se stesso? Soltanto la dimensione del divino salva l’umano: questa mi pare sia la grande questione di oggi tra la Chiesa e il mondo moderno. L’alternativa è tra una Chiesa che enuncia verità morali e valori che restano impraticabili dall’uomo, e una Chiesa che rimanda ad una persona viva, che perdona, che riabbraccia, che ricostituisce l’uomo nella sua miseria, che continuamente ricorda all’uomo ciò ci cui è fatto, da dove viene e verso dove va. In questo senso il dibattito tra Solov’ev e Tolstoj è davvero una riapertura continua di orizzonti per l’uomo.
È interessante che Solov’ev non dica mai che Tolstoj è l’Anticristo ma – pur mostrando alcuni rischi che le teorie di Tolstoj comportavano – sottolinei come ognuno di noi possa diventare l’Anticristo nella misura in cui sostituisce dei valori particolari del cristianesimo alla personalità di Cristo.
Può Tolstoj essere in qualche modo considerato un precursore della generazione di martiri e confessori della fede russi durante il comunismo?
Possiamo ricordare il caso emblematico di Michail Novoselov, fucilato dai comunisti nel 1937 e canonizzato dalla Chiesa ortodossa nel 2000, che come Solov’ev aveva incontrato Tolstoj fin da ragazzo. Pur condividendone molte istanze, e per molti aspetti proprio in forza dell’esperienza fatta con Tolstoj, Novoselov si rende conto dei limiti della dottrina dello scrittore e lo supera. Per questo, al momento della “scomunica” di Tolstoj, parlerà della “provvidenzialità” della sua figura, che ha costretto i cristiani a ridestarsi dal sonno e li ha richiamati alla verità dell’insegnamento di Cristo. Sempre in questa linea, rifacendosi al cammino percorso con Tolstoj, proporrà il metodo dell’esperienza come cammino della conoscenza e pubblicherà una collana di oltre una cinquantina di volumi di carattere educativo, volti a riproporre in termini cristiani le domande “maledette” che il ribelle Tolstoj continuamente poneva.
Anche altri intellettuali della nuova generazione come Pavel Florenskij, Sergej Bulgakov, Sergej Fudel, ecc., che in seguito diventeranno martiri o confessori della Chiesa ortodossa, in qualche modo parteciparono del dramma di Tolstoj e lo superarono perché riuscirono a trovare nuove risposte, in forza degli interrogativi posti da Tolstoj stesso: il ruolo profetico di quest’ultimo, nella rinascita religiosa del Novecento, è proprio nel fatto che la sua domanda umana e cristiana ha permesso poi ad altri di proseguire il cammino. Come ha detto recentemente il filosofo Vladimir Bibichin: “Guardiamo alla sua persona come a un messaggio che ci viene rivolto ora e che racchiude un mistero; divenire partecipi di questo mistero è estremamente necessario per la nostra salvezza ora”.
L. Marcolivio