giovedì 3 luglio 2014

Agostino e la verità senza sconti




Bergoglio e una lezione di venticinque anni fa sul compito dei pastori. 

Sul sacerdozio. Pubblichiamo stralci della prefazione al libro Agostino. Sul sacerdozio curato da Giancarlo Ceriotti e inserito nella collana «La biblioteca di Papa Francesco», diretta da Antonio Spadaro (edizioni Rcs per il «Corriere della Sera», in collaborazione con «La Civiltà Cattolica»). Il libro raccoglie alcuni Discorsi del vescovo di Ippona e i Commenti 46 e 123 al Vangelo di Giovanni.
(Diefo Fares) Nel 1989, padre Jorge Bergoglio, mentre svolgeva il suo magistero pastorale, dedicò molte riflessioni al Sermone 46 di Agostino, il Discorso dei pastori. Alcuni compagni di allora hanno conservato gli appunti di quelle riflessioni, che rilette oggi fanno un certo effetto, perché sono le stesse frasi che Papa Francesco condivide con tutto il mondo. Tuttavia ciò che conta non sono tanto gli appunti ma i ricordi vivi di quelle lezioni, a cui noi studenti e novizi partecipavamo e che commentavamo con entusiasmo, perché illuminavano il nostro percorso pastorale nei quartieri dove svolgevamo la nostra missione. Erano lezioni in cui si imparava ad amare il lavoro che ognuno di noi svolgeva nella sua zona in mezzo al proprio gregge, lezioni grazie alle quali colui che sarebbe diventato Papa Francesco era capace di formare «pastori con la passione per le proprie pecore». Gli esempi che Bergoglio utilizzava provenivano dalla sua esperienza nella parrocchia del patriarca San José, della quale fu il primo parroco. Durante i suoi sei anni di ministero, riportò moltitudini di fedeli in quattro grandi chiese: San José, San Pedro Claver, Santos Mártires Rioplatenses e San Alonso Rodríguez; e con le decine di gesuiti che entrarono in quegli anni nella Compagnia, riuscì a realizzare una feconda attività pastorale, che ricordiamo con gioia e che ancora oggi ci conforta. 
L’anno seguente la parrocchia conobbe la sua massima affluenza di bambini e giovani della zona. Gli studenti e i fratelli gesuiti andavano a cercare, casa per casa, i bambini, che i genitori erano lieti di affidare loro affinché partecipassero al catechismo. Per la giornata dedicata al fanciullo arrivavano quasi cinquemila bambini e il Collegio Massimo diventava una specie di “città del bimbo” con proiezioni cinematografiche, giochi sportivi, regali, pranzi, merende, giocattoli e la santa messa. Noi, che siamo stati formati da Bergoglio, stiamo sperimentando in questi mesi la stessa gioia di trent’anni fa, adesso moltiplicata a livello mondiale, e piazza San Pietro sembra la vecchia parrocchia del Patriarca San José dove Bergoglio, tanti anni fa, svolgeva la sua missione pastorale. 
Il Discorso dei pastori di Agostino è un sermone scomodo. Lo stesso Agostino utilizza questa espressione quando chiede a coloro che lo stanno ascoltando di pregare per lui: «Vi fo presente tale difficile situazione affinché vogliate compatirci e pregare per noi. Verrà infatti il giorno in cui tutto sarà sottoposto a giudizio». Agostino condanna, con un tono da giudizio finale, i pastori che egoisticamente si curano di se stessi e non delle pecore. Il suo verdetto senza appello non lascia via di scampo: «Ogni vescovo pertanto che godesse per il posto che occupa e cercasse il suo onore e guardasse esclusivamente ai suoi interessi privati, sarebbe di quelli che pascono se stessi e non le pecore». Queste parole di Agostino, che sono un commento a Ezechiele, devono essere lette senza glossa, come dice Papa Francesco (cfr. Evangelii gaudium, 271), e da tutti coloro che hanno una missione, quella di condurre un gregge di anime, che sia piccolo come una famiglia o grande come una Chiesa. 
La famosa distinzione, con voi sono cristiano e per voi sono vescovo, è sempre illuminante. Agostino afferma: «Noi siamo insigniti di due dignità che occorre ben distinguere: la dignità di cristiani e quella di vescovi. La prima, cioè l’essere cristiani, è per noi; l’altra, cioè l’essere vescovi, è per voi. Nel fatto di essere cristiani vanno sottolineati i vantaggi che derivano a noi; nel fatto di essere vescovi, ciò che conta è esclusivamente la vostra utilità. Oltre a essere cristiani, per cui dovremo render conto a Dio della nostra vita, siamo anche vescovi, e quindi dovremo rendergli conto anche del nostro ministero». Come cristiano si sente ed è uno del gregge, che viene guidato e accudito da Cristo Buon Pastore, mentre come pastore a sua volta deve occuparsi degli altri. 
Qual è quella situazione che si presenta «difficile» ma che è necessario affrontare, e che come pastori non possiamo tralasciare? È quella situazione in cui dobbiamo dire la verità di Cristo senza sconti, anche se a qualcuno non piacerà, così come succedeva agli «interpreti della legge» che si sentivano offesi da Gesù: «Maestro, quando affermi queste cose ci offendi» (Luca, 11, 45). Agostino afferma: «Ci aiuterà il Signore a dirvi il vero; e a ciò riusciremo se non presumeremo dirvi cose nostre. Infatti, se diremo del nostro, saremo pastori che pasciamo noi stessi, non le pecore; se invece ci viene dal Signore quel che diciamo, qualunque sia la persona che vi pasce, è sempre il Signore a pascervi». Secondo Agostino il Buon Pastore è Cristo, e coloro che sono chiamati a condividere con lui questa sacra missione sono come lampade che illuminano il popolo con la luce della vera dottrina, la quale è cibo e alimento delle anime. Agostino combatte le eresie dell’epoca, che inducevano all’errore e portavano i pastori a intraprendere la strada sbagliata, e a diventare così un cattivo esempio di trascuratezza, facendo disperdere il gregge e lasciandolo alla mercé dei lupi.
Ho deciso di prediligere la difficoltà come caratteristica fondamentale del Discorso sui pastori, perché credo che sia il capo del filo grazie al quale si può sciogliere tutta la matassa. Non si può esprimere questo concetto con una sola frase. Quindi proverò a spiegarlo con alcune domande. Avete notato come la gente in generale più è “semplice” e meglio si trova con Papa Francesco? È un fatto davvero impressionante. E quando dico semplice nomino qualcosa che appartiene alla sfera interiore: la non autoreferenzialità. Agostino li chiamerebbe “pecore”: persone che si sentono parte di un gregge e il loro punto di riferimento è il pastore. 
Avete anche notato chi sono coloro che si sentono in difficoltà con Papa Francesco? Possiamo dire che sono coloro che cercano di approfittare della lana e del latte, invece di occuparsi delle pecore? Il buon pastore, ci diceva Bergoglio, non è solo colui che fa il bene ma anche chi resiste al male e prepara le sue pecore ad affrontare i pericoli e i conflitti, le rafforza contro le tentazioni che arriveranno. Francesco lo chiamava lo «spirito bellico» del buon pastore, che sa distinguere la pecora malata da quella debole e da quella forte. Con quelle malate è dolce e compassionevole, si occupa delle loro ferite, senza tralasciare le piaghe da incidere per «non lasciar progredire l’infezione».
L'Osservatore Romano