giovedì 24 luglio 2014

25 luglio. San Giacomo apostolo




Aosta, chiesa di sant'Orso:
il martirio di san Giacomo, affresco del XIII sec.

*
Il modo di governare di Gesù non è quello del dominio, 
ma è l’umile ed amoroso servizio della Lavanda dei piedi, 
e la regalità di Cristo sull’universo non è un trionfo terreno, 
ma trova il suo culmine sul legno della Croce.

Benedetto XVI

Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli, e si prostrò per chiedergli qualcosa.
Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Dì che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno».
Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo».
Ed egli soggiunse: «Il mio calice lo berrete; però non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio».
Gli altri dieci, udito questo, si sdegnarono con i due fratelli;
ma Gesù, chiamatili a sé, disse: «I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere.
Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; appunto come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti». 
 (Dal Vangelo secondo Matteo 20, 20-28)


Il Signore aveva appena annunciato, per la terza volta, il suo destino: Passione, Croce e Resurrezione. Acqua fresca sui discepoli. I loro interessi, le loro aspirazioni più profonde soffocavano le parole serie e gravi del Maestro. Il cuore dei più intimi di Gesù era esattamente come il nostro. Vi albergava una perversione di fondo, la brama di potere, di prestigio, che significa l'invincibile desiderio di "essere". In tutto, anche nell'accompagnare il Signore, il nostro cuore è profondamente piagato di vanagloria e di egoismo. Un'inguaribile tendenza a fare di tutto quel che ci è dato di vivere, soprattutto delle nostre relazioni, qualcosa che ci sia propizio, che porti acqua al mulino dei nostri bisogni, affettivi e carnali, per poterci sentire vivi. Nulla in noi è gratuito, l'orizzonte dei nostri pensieri, dei nostri atti, anche quelli che paiono intessuti dell'amore più puro, è il nostro inaffondabile "io". Scambiamo Dio con "io", naturalmente, senza rendercene conto. Come Giacomo, come Giovanni. Proviamo a scandagliare il nostro cuore e ne vedremo delle belle. Nelle parole, lacci. Negli sguardi, ventose. Negli atteggiamenti, esche. Nelle opere, catene. La prova? Nelle delusioni che proviamo, nei rancori che ci prendono, nella gelosia che ci taglia il cuore. Ci diciamo pronti a qualsiasi cosa, a "bere qualunque calice", pur di s"edere alla destra e alla sinistra del più forte di tutti". Pur di essere come Dio. E, spesso, ci buttiamo davvero nel fuoco; le passioni, quando si scatenano, fanno fare cose irragionevoli. Ma l'orizzonte è sempre lo stesso che ci ha mostrato, subdolamente, il demonio, ovvero l'illusorio destino promesso ad Adamo e ad Eva: diventare come Dio. E, feriti dalla menzogna, ci ritroviamo a vivere come pesci sbattuti sulla battigia, ci dimeniamo e ci pare di morire: ogni circostanza ci è pesante, ogni relazione un peso insopportabile; cerchiamo l'aria perduta, mossi dal terrore di scomparire, di non essere importanti, di non valere. Avendo perduto il Paradiso e la comunione con Dio, siamo ormai senza radici e le giornate non hanno che obiettivi effimeri, che, una volta raggiunti, ci lasciano più vuoti di prima. Per questo, nella "madre dei figli di Zebedeo" possiamo rintracciare ogni nostra madre che, avendoci concepito nel peccato, ci ha trasmesso desideri e speranze limitati alla carne. L'uomo vecchio, infatti, non sa fare altro che bramare quello che la carne desidera, sempre in conflitto con i desideri dello Spirito. Eppure, anche sotto la coltre di concupiscenza che ricopre il cuore, anche in ciò che la madre ci ha insegnato a "volere che il Signore ci faccia", grida il desiderio inossidabile di Dio: è nascosto nella richiesta di partecipare a qualcosa che non muoia, che non ci faccia preda degli eventi; la speranza di avere il controllo delle situazioni, e il desiderio di relazioni stabili e durature. Ma tutto è malato di orgoglio ed egoismo, che scambiano il Cielo per la storia e i rapporti asserviti al nostro cuore. Per questo facciamo e disfiamo, costruiamo castelli di compromessi, impietriti dinanzi alla possibilità d'essere lasciati, abbandonati, rifiutati. L'odore della morte e della solitudine ci turba e atterrisce, e così ci illudiamo di scacciare i fantasmi con il fantasma più grande, la menzogna del mentitore. Ma "Gesù esaudisce le sue promesse, non le nostre attese" (S. Fausti), perché ci ama, davvero e sino in fondo. Gesù è Dio, quello vero a cui possiamo assomigliare, del quale possiamo acquisire la natura, l'essere vero, pieno, e perfetto. E' l'"ecce homo" nel quale tutti siamo stati creati e ricreati. Non il feticcio che ci siamo immaginato, come Giacomo e Giovanni, ovvero un regno umano che domina su tutto. Non il potere che esige di essere servito, ma quello scandaloso di servire. Gesù ci viene anche oggi a donare la Croce sulla quale sperimentare la vera gioia, che scaturisce solo da un cuore rigenerato e pronto al dono di se stessi: "Non è il potere che redime, ma l'amore! Questo e' il segno di Dio: Egli stesso e' amore. Quante volte noi desidereremmo che Dio si mostrasse piu' forte. Che Egli colpisse duramente, sconfiggesse il male e creasse un mondo migliore. Tutte le ideologie del potere si giustificano così, giustificano la distruzione di cio' che si opporrebbe al progresso e alla liberazione dell'umanita'. Noi soffriamo per la pazienza di Dio. E nondimeno abbiamo tutti bisogno della sua pazienza. Il Dio, che e' divenuto agnello, ci dice che il mondo viene salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori. Il mondo e' redento dalla pazienza di Dio e distrutto dall'impazienza degli uomini" (Benedetto XVI). Ecco l'eredità che Cristo risorto ha consegnato a Giacomo, la libertà sconfinata di chi possiede una vita senza fine. E la può donare, e in questo, gustare la pace, la gioia, l'essere più profondo, che davvero non passa, che riordina ogni cosa, ogni relazione. Dare la vita, amare, anche quando non si è amati, anche quando si è disprezzati. L'aveva compreso S. Francesco, e aveva vissuto sino in fondo la perfetta letizia del suo Signore. Così Giacomo, che ha offerto se stesso nel martirio d'amore, invece del primo che la carne desidera, ha occupato l'ultimo posto, il più bello, il più vero, il più felice. Il posto di Cristo. Il posto dell'amore infinito: "Quei discepoli che volevano sedersi uno alla sua destra e uno alla sua sinistra, cercavano anch'essi la gloria; miravano alla meta, ma non vedevano la via; il Signore li richiamava alla via, onde potessero con sicurezza raggiungere la patria. Eccelsa è la patria, umile è la via. La patria è la vita di Cristo, la via è la sua morte. La patria è lassù ove Cristo dimora con il Padre, la via è la sua passione. Chi ricusa la via, non cerca la patria" (S. Agostino). "Un calice" è pronto anche per noi: ti svegli e Cristo è a fianco a te porgendotelo. In esso è vi è il suo sangue sparso per amore di ogni uomo. E' amaro, se ne bevono le incomprensioni, i rifiuti, le calunnie, le frustrazioni, il male che scorre a fiumi intorno a noi. Il Signore ha bevuto sino in fondo quello che tu ed io gli abbiamo porto quando abbiamo peccato; e così ci ha salvato. Oggi lo stesso calice è "preparato" per noi, se davvero siamo rinati nel suo amore. E questo "calice" è proprio la chiave per accedere all'intimità con Gesù, non importa se "alla sua destra o alla sua sinistra"; importa essere una cosa sola con Lui, pace e allegria del cuore, partecipando alla sua stessa missione in ogni generazione. Ciò significa sperimentare il "suo Regno" già in mezzo al regno del demonio. In esso si vive la vita del Cielo, amore purissimo che non conosce ostacoli, perché la morte è vinta e non vi ha più potere. Per questo Gesù ci dice che "non così dovrà essere tra voi": la Chiesa è la comunità inviata a bere il calice di dolore e peccati del mondo. Non potrà compiere la sua missione se sperimenta, ogni giorno, che il veleno che lo colma non uccide; e dove e come lo sperimenta? Nell'amore e nell'unità tra i fratelli che Dio le dona. Per questo i primi che ci presenteranno un calice di debolezze e peccati saranno proprio i fratelli chiamati alla stessa nostra comunità: spesso insopportabili, pieni di difetti e fragilità, esattamente come te e come me. Ma "tra noi" c'è qualcosa che il mondo non conosce: la misericordia che appare in Cristo inginocchiato dinanzi a noi per lavarci i piedi e perdonarci ogni peccato. Lui si è fatto "l'ultimo e il servo di tutti" per "riscattarci" dall'egoismo. Non c'era altra via e Lui l'ha percorsa, sino all'ultimo nostro peccato. E chi sperimenta il suo amore infinito ha uno sguardo nuovo sulle cose e le persone; è incapace di "dominare" gli altri, sa che è stolto "esercitare il potere" sulle situazioni, perché "non così" è stato amato e liberato. "Non così" ha conosciuto la vera felicità. Allora si lascerà crocifiggere prendendo l'ultimo posto dove "servire" marito, moglie, figli, fidanzato, collega, anche e soprattutto il nemico. Siamo rinati ne battesimo per non vivere più seguendo i desideri della nostra "madre" nella carne, ma per "servire" ogni uomo, nella nuova natura che la "madre" Chiesa ci ha donato, e che continua ad alimentare con la Parola e i sacramenti. Come Giacomo siamo di Cristo e non del demonio; per questo la nostra vita non può essere che la sua. Tutte le altre sono solo illusioni, fantasie gravide di sofferenza. Lasciamoci attirare nella sua intimità; camminiamo stretti a Lui, sulla via che ci conduce al vero, al bello e al buono. La via stretta e dolorosa della storia pregna del Suo amore, orientata e sicura verso il suo Regno dove vivremo la pienezza del suo amore, la patria eterna per la quale siamo nati e al quale siamo chiamati a condurre il mondo.