mercoledì 25 giugno 2014

Una risorsa vitale...




Il «sensus fidei» nel documento della Commissione teologica internazionale. 

(Paul Mcpartlan)
Giovanni XXIII ha pregato perché il concilio Vaticano II, per grazia dello Spirito Santo, potesse essere una «nuova Pentecoste» per la Chiesa, ispirandola ed equipaggiandola per proclamare il Vangelo con rinnovato vigore nel mondo moderno. Il concilio ha opportunamente insegnato che il popolo di Dio, nella sua totalità, partecipa al ministero profetico di Cristo (Lumen gentium, n. 12). Tutti i fedeli, uniti in comunione dallo stesso Spirito Santo, danno attivamente testimonianza di Cristo nei loro rispettivi modi; nessuno è passivo. Lo spirito dona a tutti un «senso soprannaturale della fede», un istinto per ciò che davvero appartiene al Vangelo, vale a dire il sensus fidei, per mezzo del quale i fedeli nella loro totalità non solo aderiscono alla fede, ma penetrano in essa attraverso la riflessione e la preghiera e l’applicano nella vita quotidiana (Lumen gentium, n. 12). Il sensus fidei pertanto non va inteso solo reattivamente, come mezzo attraverso il quale i fedeli riconoscono la verità di Dio quando viene loro predicata, ma anche in modo proattivo: permette ai fedeli di approfondire e comprendere il Vangelo che vive nel loro cuore e li sprona a dare testimonianza con le parole e l’azione.
Come afferma la Commissione teologica internazionale nel suo nuovo documento Sensus fidei nella vita della Chiesa, il sensus fidei «anima la vita della fede e guida l’azione cristiana autentica» (n. 70). Correttamente inteso, è una risorsa vitale per la vita e la missione della Chiesa.
Il terzo capitolo del documento esamina vari aspetti del sensus fidei fidelium nella vita della Chiesa, ricordando anche l’insegnamento del Vaticano II in Dei Verbum, secondo cui la Scrittura e la tradizione formano «un solo sacro deposito della parola di Dio affidato alla Chiesa», vale a dire a «tutto il popolo santo, unito ai suoi Pastori» (n. 67; cfr. Dei Verbum, n. 10). È di particolare importanza comprendere la natura del rapporto che esiste tra pastori e fedeli per quanto riguarda la fede e l’insegnamento della Chiesa (senza mai dimenticare che i pastori fanno anch’essi parte dei fedeli). Il documento osserva che «i fedeli in generale, i pastori e i teologi, hanno tutti un proprio ruolo da svolgere», mentre la Chiesa compie il suo pellegrinaggio sulla terra, cercando di proclamare in ogni nuovo tempo la parola salvifica di Dio con il necessario discernimento, e che «occorrono pazienza e rispetto nella loro mutua interazione se il sensus fidei deve essere chiarito e se si vuole realizzare un’autentica conspiratio pastorum et fidelium» (n. 71).
Per quanto riguarda il rapporto tra il sensus fidei e il magistero, il documento ne sottolinea il duplice aspetto. Anzitutto, poiché tutti i fedeli ricevono dallo Spirito i doni per edificare la Chiesa, e poiché tutti insieme sono portatori della fede apostolica, il magistero «deve essere attento al sensus fidelium, la voce viva del popolo di Dio» (n. 74). Poi, in virtù del loro dono e della loro chiamata particolare in seno alla Chiesa, il Papa e i vescovi giustamente nutrono, educano, discernono e giudicano con autorità l’autenticità del sensus fidelium, vale a dire se le opinioni presenti tra i fedeli rispecchiano in maniera autentica il sensus fidelium e sono conformi alla tradizione apostolica (nn. 76-77).
Il sensus fidelium viene formato e modellato in particolare nell’Eucaristia. I vescovi la presiedono come sommi sacerdoti e maestri, e il mistero della fede viene celebrato da tutti. È inoltre qui che, in fondo, sin dai primordi del cristianesimo, l’insegnamento dei vescovi e dei concili, attraverso credi e formule, è stato «ricevuto» dai fedeli (n. 75). Il documento presta un’attenzione specifica alla questione fondamentale della «ricezione», per mezzo della quale i fedeli riconoscono e accettano l’insegnamento magisteriale, ed esamina gli sforzi necessari, da entrambe le parti, quando ci sono difficoltà nella ricezione (nn. 78-80).
Anche il rapporto tra il sensus fidei e la teologia è duplice. Il sensus fidei è in realtà un locus per la teologia; i teologi dipendono dal sensus fidelium poiché la fede studiata dalla teologia vive nel popolo di Dio. Tuttavia, i teologi servono anche il sensus fidelium, proponendo criteri (come nel presente documento) per il suo discernimento e aiutando i fedeli in vari modi a conoscere, comprendere e applicare la loro fede (nn. 81-84). Il terzo capitolo conclude riportando alcuni riferimenti specifici al sensus fidei in dichiarazioni ecumenicamente approvate degli ultimi decenni (nn. 85-86).
Riconoscendo quanto il sensus fidei sia «essenziale» per la vita della Chiesa, il quarto e ultimo capitolo del documento esamina come poter discernere le manifestazioni autentiche del sensus fidei, specialmente laddove esistono tensioni di vario genere e «occorre distinguere il sensus fidei autentico da semplici espressioni di opinione popolare, di interessi particolari o dello spirito del tempo» (n. 87). Il documento adotta una metodologia molto particolare. Poiché il sensus fidei è in primo luogo una realtà ecclesiale, vale a dire l’istinto per mezzo del quale la Chiesa stessa riconosce il suo Signore e vive conformemente al Vangelo nelle parole e nelle azioni, il documento identifica sei disposizioni che occorrono ai singoli fedeli per partecipare alla comunione della Chiesa e, in tal modo, al sensus fidei. La «prima e più fondamentale» di tali disposizioni è la partecipazione attiva alla vita della Chiesa, ovvero alla liturgia, alla missione e al servizio. I membri della Chiesa devono camminare insieme, con un atteggiamento comunemente espresso dalla frase «sentire cum ecclesia» (nn. 89-91). Altri criteri sono: l’ascolto attento della parola di Dio, in spirito di gratitudine e di lode (nn. 92-94); apertura alla ragione quale interlocutore fondamentale della fede (nn. 95-96); e una volenterosa attenzione per l’insegnamento del magistero della Chiesa (nn. 97-98). Come quinto criterio il documento indica la santità e i suoi elementi distintivi dell’umiltà, della libertà, della gioia e della pace, e identifica i santi, e in particolare Maria, come «portatori di luce del sensus fidei» (nn. 99-103). Il sesto criterio è l’edificazione della Chiesa, rafforzando gli altri ed evitando ciò che divide (nn. 104-105).
Sono diverse le questioni pratiche e pastorali che emergono riguardo al sensus fidei, e pertanto il documento integra il suo elenco di criteri con una ricca riflessione su tre aspetti specifici: il rapporto tra sensus fidei e pietà popolare; il rapporto tra sensus fidei e opinione pubblica; i modi per consultare i fedeli. Ricordando la descrizione che Papa Francesco offre della pietà popolare quale «manifestazione di una vita teologale animata dall’azione dello Spirito Santo che è stato riversato nei nostri cuori», il documento afferma che «la pietà popolare scaturisce dal sensus fidei e lo rende manifesto, e deve essere rispettata e alimentata» (nn. 109-110; cfr. Evangelii gaudium, n. 125), e interpreta l’insegnamento di Papa Francesco secondo cui nella «pietà popolare (…) è sottesa una forza attivamente evangelizzatrice che non possiamo sottovalutare» in quanto «opera dello Spirito Santo», proprio come un riferimento al sensus fidei (n. 112; cfr. Evangelii gaudium, n. 126). L’importanza del sensus fidei per la nuova evangelizzazione è di fatto un tema ricorrente nel documento della Commissione teologica internazionale.
La principale differenza tra il sensus fidei e l’opinione pubblica o maggioritaria è che, mentre quest’ultima è una realtà sociologica di importanza intrinseca per l’attività politica democratica, la prima è una realtà teologica intimamente collegata con il dono della fede e con la vita della Chiesa quale mistero di comunione che riceve la propria costituzione da Cristo (nn. 113-114). Occorre distinguere attentamente tra le due. Le voci laiche certamente devono essere rispettate; nella storia della Chiesa ci sono tempi in cui, più che la maggioranza dei vescovi o dei teologi, sono stati i laici a sostenere la vera fede (n. 119). Tuttavia, nella storia del popolo di Dio spesso è stata una minoranza più che una maggioranza a custodire la fede (n. 118). Poiché John Henry Newman ha affermato che «l’insieme dei fedeli è uno dei testimoni del fatto che esiste la tradizione di una fede rivelata», è giusto e opportuno che i pastori della Chiesa «consultino» i fedeli, nel senso di informarsi su ciò che in realtà credono. Il documento conclude incoraggiando tale consultazione e, di fatto, appoggiando l’«opinione pubblica», nel senso di uno scambio di pensiero libero, amorevole e reciprocamente rispettoso tra membri della Chiesa. Tale scambio è un mezzo eccellente per sondare il sensus fidelium, e occorrono strutture di consultazione adeguate perché la Chiesa sia «viva e vivace» (nn. 125-126).
L'Osservatore Romano