giovedì 26 giugno 2014

Sacratissimo Cuore di Gesù. Anno A

In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te.
Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare». Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero» 
(Dal Vangelo secondo Matteo 11, 25-30)
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Le parole oranti del Signore che si rivolgono al Padre in un'estatica benedizione ci schiudono oggi una finestra sui sentimenti più intimi di Dio. Possiamo avventurarci nel cuore del Padre e conoscere quello di cui si compiace; scoprire la relazione di profonda comunione tra Padre e Figlio, la conoscenza reciproca che è, secondo il linguaggio della Scrittura, un' unione profonda e indissolubile. Il Padre e il Figlio uniti nell'esultanza e nella gioia di fronte al Mistero rivelato ai piccoli. Mistero nel mistero. I piccoli sono gli infanti secondo la traduzione in latino della Vulgata, coloro che non ha ancora l'uso della parola, i fanciulli. Dio rivela il Suo cuore a chi ancora non sa parlare. Le Sue parole sono per chi non ha parole. E invece noi siamo imbottiti di parole. Parole spesso vuote a cercare di razionalizzare pensieri irrazionali. Non abbiamo posto per le parole di Dio. La sapienza e l'intelligenza mondane, figlie del principe di questo mondo, affogano il nostro cuore e strozzano la nostra mente. Siamo impermeabili alla Parola fatta carne. Ci crediamo adulti perchè presumiamo di condurre le nostre esistenze attraverso le parole. Chiacchiere, per giustificare, per legare, per sciogliere, per ingannare, per sedurre, per vincere, per vendicare, per uccidere. La Scrittura mette in guardia dal troppo e dal vano parlare: "Le parole della bocca dell'uomo sono acqua profonda... con la bocca l'uomo sazia il suo stomaco, egli si sazia con il prodotto delle sue labbra. Morte e vita sono in potere della lingua, e chi l'accarezza ne mangerà i frutti" (Pr. 18, 4. 20-21). C'è come un'ingordigia nelle nostre parole, non ce ne diamo conto, ma le accarezziamo credendo di trovarne beneficio, per gustarne i frutti amari: divisioni, liti, invidie, passioni. Un laccio è la nostra lingua e ci tiene imprigionati. E' questa una delle radici più profonde della nostra infelicità, siamo schiavi delle nostre parole. E siamo stanchi dei nostri sforzi, dei tentativi, delle sfide, oppressi da leggi e moralismi. Non ce la facciamo più. Ma il Signore viene anche oggi al nostro incontro, la Sua preghiera illumina la nostra tenebra, e ci chiama a conversione. Ci prende per mano come ha fatto con Giobbe, intrappolato anch'egli nella rete delle sue troppe parole e nei lacci delle insensate parole dei suoi amici pseudo-sapienti. Il Signore ci prende per mano e ci conduce in un cammino di verità. Ci "rivela i misteri del Regno", ci fa conoscere Suo Padre, ci mostra la Croce dove ci ha amati sino alla fine. In essa risplende la verità, l'amore inaudito di Dio. Eccoci oggi, celebrando questa Solennità, sotto la Croce. Contempliamo oggi il cuore di Dio, "l'uomo dei dolori", l'Agnello senza macchia. Contempliamo il Suo amore per riconoscere i nostri peccati. Come Giobbe mettiamo la mano sulla bocca, impariamo il silenzio stupito dell'infante. E' tutto troppo più grande di noi. Non sappiamo. Non conosciamo. Non capiamo. Accettiamolo. Abbiamo conosciuto Dio per sentito dire, impariamo a conoscerlo attraverso gli occhi di un cuore puro, piccolo, infante. Rimaniamo nel Suo amore come Maria, ad imparare ascoltando le Sue Parole. Lasciamo che la vita e la storia che il Padre traccia per noi distrugga le sicurezze, gli schemi, i criteri. Lasciamo che la Croce di oggi sia il crogiuolo dove bruciare quello che di noi appartiene alla carne a al mondo. Lasciamoci purificare. Lasciamo che Dio ci faccia piccoli, cioè autentici. Chiediamo con il Salmo che Dio metta una sentinella alla porta delle nostre labbra, che il Suo Spirito ci difenda da inutili parole. Che Dio faccia oggi, e ogni giorno, il miracoli di ricrearci piccoli, infanti appena divezzati in braccio alla madre, abbandonati nelle viscere di misericordia del Padre. E lì, tra le Sue braccia, tranquilli e sereni senza aspirare a cose troppo alte, senza pretendere nulla, saziarci delle Sue Parole, miele dolcissimo, le uniche parole di vita. Lui ci chiama attraverso la Chiesa, per imparare la mitezza e l'umiltà, toccando il suo cuore. "Ascoltare e andare": è questa la volontà di Dio per noi, oggi e sempre. Sino all'ultima chiamata, quella per le nozze eterne. Andare e fermarsi presso di Lui. Vedere dove Lui abita, stare con Lui, e imparare, con l'orecchio aperto come un discepolo. In questo atteggiamento del cuore, e solo in esso, troveremo "ristoro, riposo per il nostro intimo, per le nostre anime", perché è il Suo riposo.Ciò significa, concretamente, accettare la precarietà, economica, affettiva, spirituale. Lottare con essa ci "affatica e opprime", ed è opera del moralismo inculcato dal demonio, che ci allontana da Cristo rendendoci a poco a poco nemici del suo "Giogo", della Croce che ci salva. Ci accompagna piano piano sui sentieri superbi dello sforzo, che si trasforma in legalismo, per finire in una frustrazione insaziabile, che cerca sempre di rifarsi. Come chi è schiavo del gioco, che vive ossessionato dalla prossima partita nella quale rifarsi di tutte le sconfitte. Per questo siamo stanchi, delusi, depressi: siamo diventati nemici dell'unica salvezza, della Croce. Mentre è proprio nella precarietà che la Croce ci dona che si può davvero sperimentare l'opera di Dio, la sua prossimità, il suo amore. E' al centro della propria umiltà che Dio è presente e operante, nella verità che è la nostra totale precarietà. La storia ci ha fatti piccoli, poveri, "tapini", ultimi, secondo l'accezione del termine "umile" che compare nel Vangelo. Nella terra, nell'humus dove ci troviamo, possiamo raggiungere, o meglio, possiamo essere accolti nel riposo vero, perché è esattamente il luogo dove Cristo è disceso. Il Signore s'è abbassato sino a noi, umiliato nella morte, mite come un agnellino condotto al macello. Lui s'è offerto volontariamente laddove noi dobbiamo andare senza nessuna voglia. Mite dove noi recalcitriamo. Lui stesso, pur essendo Figlio, ha "imparato" l'obbedienza dalle cose che patì. Ecco, celebrare il Sacro Cuore di Gesù è accettare la nostra precarietà, la terra arida dove viviamo, per accogliere Cristo che viene a visitarla e a renderla un giardino di delizie, una anticipo del Paradiso, una profezia viva del riposo eterno che ci attende. Accettare, dopo tanti sforzi vani e frustranti, di essere piccoli, senza parole per rispondere alle grandi e alle piccole questioni della vita. E restare ai suoi piedi, cercando e desiderando, negli eventi che feriscono il matrimonio, che ci svelano inermi di fronte alla vita e alle debolezze dei figli, che ci umiliano sul lavoro, in ogni circostanza, l'unica cosa buona e necessaria, la sua Parola, la sua vita, il suo amore. In questo atteggiamento del cuore, e solo in esso, troveremo ristoro, riposo per il nostro intimo, per le nostre anime. Attraverso la storia di ogni giorno il Signore ci chiama ad entrare nel suo riposo, nello shabbat preparato per noi, e a nasconderci nella fenditura della roccia, nel suo cuore squarciato dalla lama malvagia dei nostri peccati, nel "tutto" del Padre consegnato al Figlio, la sua misericordia infinita. Solo nell'anfratto che ci unisce a Cristo potremo imparare la "mitezza""Mite" è "colui che è stato domato", che ha "imparato" ad obbedire. Etimologicamente la mansuetudine, o la mitezza, è la caratteristica dell'animale ammansito perché sia docile nel sottoporsi al giogo. Siamo stati creati per imparare da Lui l'autentica umanità, attraverso il suo giogo soave che rende soave la carne, per natura così simile a quella di un animale selvatico. Per questo, proprio la Croce è l'unica scuola adatta a noi; ciò che ci sembra assurdo e inaccettabile nella nostra vita è l'unico giogo adeguato alla nostra carne indomabile. Tutto il resto, i nostri e gli altrui pensieri, i criteri e i regolamenti, ci schiacciano rendendoci ogni volta più orgogliosi. Andare al Signore significa dunque lasciarsi abbracciare dal suo giogo, e stare crocifissi con Cristo. "Imparate da me" dice il Signore. Il termine adottato rimanda a un rapporto e a una relazione profonde, ben al di là di una conoscenza superficiale: a quella tra Didaskalo e Discepolo, tra il Maestro e l'allievo. "Imparare", dunque, è la coniugazione di un'intimità che si realizza pienamente solo dove il Signore si consegna amandoci "sino alla fine", sulla sua Croce gloriosa. Così potremo "conoscere" Lui perché Lui si è voluto "rivelare" a noi, non con una speculazione filosofica, con libri e spot pubblicitari, ma con la Parola annunciata dalla Chiesa, la predicazione di Cristo e Cristo crocifisso, incarnato nei suoi apostoli e martiri. "Venite a me" significa allora ascoltare e così accogliere il suo giogo come una Buona Notizia; aprire il cuore e lasciarsi amare da Gesù, per diventare miti e umili di fronte a persone e fatti della storiaE il mite possiede la terra: vive nel mondo una porzione di Cielo, perché dalla Croce, ben piantata nel suolo ma puntata verso l'alto, abbraccia uomini ed eventi nell'amore che discerne e "conosce" il Padre che in essi si "rivela" guidando la storia con la sua volontà provvidente. Per il mite la terra promessa nella quale il Signore lo invia è la giornata di oggi, la famiglia con tutte le difficoltà e preoccupazioni, il lavoro e la scuola, l'altro così com'è, e anche noi stessi, con le contraddizioni e le insicurezze, i dolori e i pure i peccati. Come fece con Giosuè, ci invita a non temere e a farci forza e coraggio, perché Lui sarà con noi ovunque e sempre, portando con noi il giogo soave e dolce della volontà di Dio che si fa croce quotidiana. E' vero che ci sono popoli più forti di noi, i demoni che ci insidiano per cacciarci dalla terra che ci appartiene. Ma nascosti nel cuore di Cristo impareremo la mitezza e l'umiltà che, sole, possono avere ragione del male e del suo artefice. Non gli stratagemmi del cuore carnale, non le tattiche escogitate dalla mente mondana, non la superbia e l'arroganza, ma il giogo di Cristo sconfiggerà anche oggi il potere di satana. Il mite, l'umile, come Mosè, conosce la propria debolezza, sa da dove è stato tratto, ma non se ne scandalizza: ha conosciuto l'amore di Dio che lo ha chiamato da un roveto che non si consumava, il suo cuore ardente che non si spegne neanche dinanzi al peggior peccato. Il mite e l'umile sa che in quel fuoco d'amore è vivo Dio, Colui che è, sempre e ovunque, per farci essere con Lui. Per questo, chi ha imparato la mitezza e l'umiltà alla scuola del cuore di Cristo, si lascia condurre. Sa che la lotta d'ogni giorno non è contro le creature di carne, contro suocere o mariti o mogli o figli o colleghi di lavoro o coinquilini di condominio, ma contro il demonio, il padre della menzogna e dell'orgoglio. Per questo segue le orme di Cristo lasciate laddove Lui stesso ha imparato, la via del Calvario. La Croce è l'unico giogo che non pesa, l'unico carico leggero, l'unico adatto a noi, perché Gesù Cristo è l'unico che si è adeguato a noi, "facendosi peccato perché i peccati non ci allontanassero da Lui" (Ode VII di Salomone). Carne, mondo, desideri, progetti, leggi, tutto è per noi troppo pesante, inadeguato. Tutto troppo terreno. Siamo fatti per Dio, siamo suoi. Per questo non v'è altro giogo perfetto per noi se non il giogo di Cristo. La Croce, dove siamo figli nel Figlio nel compiere la volontà dello stesso Padre, l'unica pace, il vero riposo. Le nostre braccia distese con le sue, per la moglie, il marito, i figli, per ogni uomo. Oggi, nella semplicità delle ore che ci accolgono, negli incontri, nelle cose da fare e ripetere mille volte, si compie una liturgia d'amore. La nostra vita è il dono del Figlio al Padre. Siamo il tesoro di Dio, il frutto dell'intimità divina. Siamo chiamati per andare a Cristo: solo così potremo essere veramente noi stessi, laddove Lui è divenuto ciascuno di noi, per farci, in Lui, figli amatissimi. Istante dopo istante conformati alla sua immagine, e così accolti nel riposo che solo un cuore docile e obbediente può gustare, anche se nulla nella nostra vita riposa, né il male, né il dolore, né le avversità. Un riposo crocifisso, un ristoro nel mezzo della battaglia. Immersi con Cristo nella sua preghiera di lode e benedizione, che si compie ogni istante reclinando il capo sulla Croce, spirando vita per riaverla piena e compiuta. Ecco, Gesù ci chiama oggi a deporre la nostra mente, il nostro cuore e le nostre forze nel cuore di Gesù. Ad affidare a Lui ogni situazione e ogni persona, nella certezza che solo in Lui vi sono riposo e ristoro autentici, antipasti succulenti della Vita eterna.