sabato 28 giugno 2014

La guerra globale alla coscienza


Dalla Svezia welfarista all’America privatistica è in corso una campagna internazionale per vietare l’obiezione sull’aborto. Il cardinal Müller: “E’ l’idea dominante che la legge è superiore alla morale”.
Roma. Il giurista francese Gérard Mémetau ha scritto che il processo di Norimberga avrebbe dovuto definitivamente sancire il diritto all’obiezione di coscienza, altrimenti dovremmo affrettarci a riabilitare i medici nazisti condannati al patibolo. Adesso è in corso una campagna internazionale contro i medici e i farmacisti obiettori (da ultimo il Lazio del governatore Zingaretti). Una campagna a colpi di sentenze nei tribunali, statuti universitari, protocolli sanitari.
In Inghilterra il prestigioso Royal College of Obstetricians and Gynaecologists, che forgia la classe dirigente medica del Regno Unito, ha appena stabilito che i medici e le infermiere che per ragioni di coscienza non vogliono prendere parte a procedure abortive non potranno più specializzarsi, anche se completano gli esami e i corsi previsti. Ecco le nuove linee guida. “I tirocinanti devono essere in grado di dimostrare la loro competenza nella consulenza sugli aborti”. “Ogni medico che si rifiuta di fornire qualsiasi servizio per motivi di obiezione di coscienza può trovarsi in violazione dei doveri del medico, con conseguenze potenzialmente gravi”. A livello globale, l’obiettore è chiamato “torturatore”, come nel “Rapporto del relatore speciale sulla tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti” presentato durante la 22esima sessione del Consiglio dei diritti umani dell’Onu. L’obiezione di coscienza all’aborto infliggerebbe “una forma di tortura alla donna”.
Di recente lo studioso americano Paul Coleman ha pubblicato un saggio in cui spiega che la guerra in occidente all’obiezione di coscienza fa parte di una forma di vessazione “bianca”, all’apparenza incruenta. “Ma non dovremo aspettare a lungo prima che la parola per descrivere questo fenomeno diventi persecuzione”.
La settimana scorsa persino in Polonia il premier Donald Tusk ha dichiarato che un medico non potrà obiettare sull’aborto. “Al di là di quello che dice la sua coscienza, un dottore deve seguire la legge”, ha detto il primo ministro a Polskie Radio. Il caso è scoppiato dopo la petizione di tremila medici che annunciavano che avrebbero violato la legge pur di rispettare la loro coscienza.
“Lo stato può costringere a uccidere”
L’iniziativa è di Wanda Poltawska, professoressa a Cracovia presso la Clinica psichiatrica dell’Accademia di Medicina, collaboratrice di Giovanni Paolo II sui temi della vita umana e superstite degli esperimenti medici nel campo di concentramento di Ravensbruck. A favore della petizione il cardinale Gerhard Müller, prefetto della congregazione per la Dottrina della fede. “La teoria dominante oggi vuole che la legge dello stato sia superiore alla morale o che si tratti di una fonte di etica, a prescindere dalla sua formulazione, e che, per esempio, lo stato può costringere un medico – contrariamente alla sua coscienza – a uccidere un bambino non ancora nato”, ha detto Müller. Il positivismo impera. E’ quanto è appena successo nella socialdemocratica Svezia, dove l’ostetrica Ellinor Grimmark è stata licenziata dall’ospedale di Eksjö per essersi rifiutata di praticare aborti.
Cercando lavoro in altre strutture, l’ostetrica Ellinor Grimmark si è vista chiudere diverse porte in faccia, nonostante nel sistema sanitario svedese ci sia carenza di ostetriche. Al quotidiano Aftonbladet la donna ha spiegato: “Come ostetrica voglio difendere e salvare a ogni costo la vita. Gli operatori sanitari in Svezia dovrebbero forse essere obbligati a prendere parte a procedure che eliminano la vita, al suo stadio iniziale o finale? Qualcuno deve mettersi dalla parte dei piccoli, qualcuno deve combattere per il loro diritto alla vita”. Se siete medici in Svezia, dimenticatevi il giuramento di Ippocrate: se vi rifiutaste di compiere un aborto, potreste essere anche imprigionati, in base a una legge del 1973. In Polonia nelle scorse settimane l’ostetrica Agata Rejman è stata sanzionata per diciassettemila dollari per essersi rifiutata di partecipare a un aborto in una clinica privata di Rzeszów. Tanto costa la verità?
Negli Stati Uniti si attende il pronunciamento della Corte suprema sul colosso Hobby Lobby, che rifiuta di fornire ai suoi dipendenti i contraccettivi gratuiti, così come impone l’Obamacare, e invoca l’obiezione di coscienza. Quest’ultima è assente dal progetto del Department of Health and Human Services, che impone a tutti i datori di lavoro, anche a quelli di ispirazione religiosa, di pagare ai dipendenti assicurazioni inclusive di coperture per contraccettivi e abortivi.
Anche nella Francia socialista c’è l’iniziativa parlamentare per proibire l’obiezione di coscienza. “Supprimer la clause de conscience spécifique à l’Ivg”, recita il testo di legge. Ovvero: “Sopprimere nell’articolo 2212-8 del codice della sanità pubblica la menzione esplicita dell’obiezione di coscienza formulata così: ‘Un medico non è mai tenuto a praticare un’interruzione volontaria di gravidanza’”. E’ una delle iniziative che l’Alto consiglio per l’uguaglianza tra uomini e donne (Hcefh) ha indicato al ministro Najat Vallaud-Belkacem per rendere “quello all’aborto un diritto un po’ più come tutti gli altri”. L’iniziativa si fa forte di una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Due farmacisti di nome Pichon e Sajous avevano rivendicato il diritto a negare la vendita di prodotti abortivi. Ma la Corte ha stabilito che l’obiezione non può prevalere su terzi. In Irlanda si discute di una norma secondo cui “nessuna istituzione, organizzazione o terza parte possa rifiutare di provvedere a una legittima interruzione di gravidanza a una donna sulla base di una obiezione di coscienza”. I medici in Norvegia sono sottoposti a pressione perché partecipino alle procedure abortiste contro la loro coscienza. Dal ministero della Salute, Robin Kass ha affermato che “se neghi a un paziente contraccezione o aborto non puoi essere un medico”. In Scozia, due ostetriche hanno fatto causa ai propri ospedali dopo che i manager avevano obbligato le due a supervisionare aborti contro la loro volontà. Il tribunale ha stabilito che “la clausola di coscienza non si applica alle ostetriche”.
Lo stato di New York ha stabilito che i medici che vogliono ottenere la licenza devono eseguire aborti nel loro training. Lo stesso ha deciso l’American College of Obstetricians and Gynecologists, che ha pubblicato il regolamento etico che nega ai suoi membri l’obiezione di coscienza. La vicenda è esplosa sul caso di Catherina DeCarlo, l’ostetrica del Mount Sinai Hospital di New York, costretta a partecipare all’aborto di un bambino di ventidue settimane nonostante avesse fatto obiezione di coscienza. Se non avesse preso parte alla “procedura”, la direzione dell’ospedale l’avrebbe accusata di “abbandono del paziente”, facendole perdere così la licenza.
Il National Health Service inglese ha diramato una direttiva in cui si chiede agli ospedali di fornire i nomi dei medici obiettori e ha imposto che queste strutture non possono assumere medici obiettori se non è presente un medico che esegue aborti. In Olanda l’obiezione di coscienza è stata impugnata da parte dei farmacisti che si rifiutavano di fornire i veleni per l’eutanasia. Sconfitti: “Una farmacia non è un negozio dove delle droghe mortali vengono consegnate”, ha detto il portavoce dell’associazione farmacisti. Ma la resistenza è subito rientrata, dopo che un gruppo di parlamentari ha ricordato loro che sono obbligati dalla legge a fornire i farmaci della morte. Si arriva, infine, all’abolizione del giuramento scritto nel V secolo a. C. da un medico greco di Cos, quell’Ippocrate ammirato da Platone, e che a generazioni di medici ha imposto il dovere, non l’obiezione, di non dare, nemmeno se richiesto, “farmaco mortale” o “rimedio abortivo”. Poche righe millenarie a protezione di tutta la vita nascente e terminale. La Cornell University ha per prima approvato una nuova versione del giuramento con cui si accede alla professione medica. Niente più riferimenti all’aborto, ma attenzione al “bene del malato”, fino alla sua eliminazione. La rivista inglese Lancet ha pubblicato la nuova “Carta dei doveri del medico”. Così negli Stati Uniti, come riporta l’American Medical News, “soltanto una facoltà di medicina cita ancora l’aborto nel giuramento ippocratico”. Tutte le altre lo hanno cancellato. Non esiste più. Non si vogliono più medici, ma esecutori in camice bianco.
(Fonte: Il Foglio)

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In Lazio gli obiettori sono costretti all'aborto
di Alfredo Mantovano
Non era difficile individuare nei medici obiettori il target di una rinnovata campagna ostile, per rimuovere in concreto un po’ di fastidi alla pratica abortiva e, in parallelo, per qualificare finalmente e senza infingimenti l’aborto come una scelta libera della donna, frutto della sua autodeterminazione (cf. la Nuova Bussola del 16 marzo).
L’8 marzo era stata resa pubblica la decisione del Ceds-Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa che, sul presupposto di un numero ritenuto elevato per l’Italia di medici obiettori, accusava il nostro Stato di violare i diritti delle donne che intendono abortire. Le pronunce del Ceds, che intervengono dopo articolate istruttorie, non hanno un immediato effetto vincolante, pari a quello di una sentenza di una delle due Corti europee. Se però lo Stato destinatario della decisione non vi si uniforma, ciò costituisce la premessa perché chi ha interesse si rivolga, in base al diritto che assume violato, o alla Corte di Giustizia o alla Corte dei diritti.
Sarà stato anche per questa sorta di scudo europeo che il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, nella sua veste di Commissario straordinario per la sanità, ha varato da qualche giorno un proprio decreto articolato in due punti: uno riguarda l’ammissibilità dell’obiezione a fronte di prodotti contraccettivi che funzionano pure come abortivi, l’altro riguarda l’estensione del diritto di obiezione per taluni atti previsti dalla legge 194 per realizzare una ivg. Sul primo punto il decreto viene qualificato vincolante, ed esclude apoditticamente qualsiasi ipotesi di richiamo alla coscienza; eppure la materia è controversa: se l’obiezione è un diritto, una elementare cautela raccomanda di non comprimerlo quando l’effetto abortivo di un composto chimico è eventuale e non sicuro. Se un cacciatore immagina che la lepre sia dietro la siepe, ma non esclude l’eventualità che quello che si muove sia un uomo, evita di sparare: perché il principio di precauzione non va riconosciuto permettendo di non sparare, cioè di non somministrare un prodotto letale, quando vi è l’eventualità che l’essere umano sia nella pancia, invece che nascosto da un cespuglio? È materia da lasciare alla discrezionalità di un Commissario ad acta o – essendo in discussione diritti codificati – è terreno di scelte del Parlamento? E, poiché la delega di Commissario viene al presidente Zingaretti dal governo nazionale, non è il caso che quest’ultimo lo richiami al rispetto dei propri confini?
Il secondo punto avrebbe già dovuto esigere l’intervento del governo; il decreto in questione afferma infatti che l’“esercizio dell’obiezione di coscienza” copre “l’attività degli operatori impegnati esclusivamente nel trattamento dell’interruzione volontaria della gravidanza”; esclude invece l’attività svolta nel consultorio, perché essa sarebbe coinvolta “solo nell’attività di certificazione”. La forzatura è grossa, e pare esserne consapevole la stessa Regione se si precisa che, mentre per Norlevo e spirale il decreto è vincolante, qui ci si trova di fronte a un “atto di indirizzo”. La qualifica di “atto di indirizzo” non toglie però carattere di evidente illegittimità al provvedimento. Illegittimità vuol dire contrarietà alla legge, che nella specie è la 194: quando l’art. 9 riconosce l’obiezione di coscienza al medico e al personale sanitario pone già le deroghe; anche l’obiettore – tolto l’intervento abortivo – è tenuto ad assistere la paziente quando è a rischio la sua salute, ma fra le deroghe alla copertura dell’obiezione di coscienza non vi è la certificazione. Si rileggano in proposito: il comma 3 dell’art. 9 “l’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario (…) dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento”; e il comma 5 “l’obiezione di coscienza non può essere invocato dal personale sanitario (…) quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo”.
Il testo è inequivocabile: non si parla solo di “attività” rispetto alle quali vale l’obiezione, ma anche di “procedure”. Alla stregua di una lettera così chiara, da quando esiste la 194, cioè da oltre 36 anni, nessuno ha mai dubitato che l’obiezione si estende anche al rilascio della certificazione alla gestante; per come è strutturata la legge (art. 5 comma 3), l’attestazione del medico in ordine all’esistenza di una gravidanza, al momento del suo inizio e alle “indicazioni” prospettate dalla donna per richiedere un aborto costituisce l’antecedente causale necessaria dell’ivg. Perfino se il medico non ravvisa “indicazioni”, il certificato da lui rilasciato rappresenta la premessa formale dell’aborto, poiché il decorso di sette giorni rende comunque possibile l’intervento abortivo (art. 5 comma 4). La certificazione non è un atto estraneo o marginale rispetto alla procedura abortiva: è il primo passaggio obbligatorio per chi intende abortire; stabilire che per tale atto non sia possibile il richiamo alla coscienza significa violare la legge. È un mistero che dalle parti del governo nazionale nessuno abbia sentito il dovere di ricordare al proprio Commissario ad acta per la sanità nel Lazio un dato così evidente.
È probabile che, mettendo a fianco la pronuncia del Ceds del Consiglio d’Europa e il decreto Zingaretti, il passaggio successivo sarà una pronuncia giudiziaria. In ossequio all’“atto di indirizzo”, qualche zelante direttore di Asl o qualche solerte dirigente di consultorio presenti nel Lazio riterrà non ammissibile l’obiezione da parte di un medico che rifiuta la certificazione; si aprirà un contenzioso: come andrà a finire? Su Questione giustizia, rivista on line di Magistratura democratica, compare una nota a margine della decisione del Ceds, a firma di Maurizio Di Masi, nella quale senza tante perifrasi si dice che il riferimento alla salute della gestante è stato in passato il “grimaldello” (si adopera proprio questo termine) per legalizzare l’aborto; ma si aggiunge che oggi la nuova frontiera è superare la c.d. “medicalizzazione” e collocare la scelta della donna nella categoria dell’autodeterminazione: se il parametro della salute costituiva approccio“condivisibile al momento dell’emanazione della legge 194 – si legge ancora nella rivista – non si può ritenere che lo sia ancora oggi, a distanza di 35 anni, quando ormai a livello europeo pare esserci un consenso generale nel riconoscere alla donna il diritto di abortire liberamente nei primi 3/5 mesi di gravidanza”. Non è tutto: poiché l’aborto viene “ricompreso tra le libertà fondamentali della donna, invece che in seno al suo diritto alla salute”, esso va inteso come una libertà personale, che per questo va esentata da restrizioni.
È l’orientamento già affermato in altre Nazioni, da organi giurisdizionali come la Corte suprema Usa, che inizia a trovare eco in Italia in talune pronunce della Consulta: la recente sentenza sul’eterologa, per esempio, collega proprio all’autodeterminazione il “diritto” di avere o non avere figli. De-sanitarizzato l’aborto, viene meno un ulteriore velo di ipocrisia sulla struttura della 194; ma viene nel contempo marginalizzata l’obiezione del medico: come osi, camice bianco, non dare seguito alla scelta libera della donna? La soluzione prospettata da Md è semplice: nell’ottica di ripensare il meccanismo dell’obiezione, al personale sanitario viene suggerita la “libertà” di optare per una specializzazione diversa da ginecologia! E se non accetti questo “consiglio che non si può rifiutare”, sarà il caso di passare a qualche provvedimento giudiziario ispirato da quella rivista … 
Più dell’enunciazione di queste tesi, che dai media di correnti della magistratura associata trasmigrano in atti amministrativi di un presidente di Regione, in attesa di diventare sentenze, preoccupa l’assenza di significative reazioni. I medici obiettori erano nel mirino già 35 anni fa, quando il loro rifiuto di uccidere la vita umana nascente costituiva la pietra di scandalo della 194, ed era già allora seguito da esortazioni a lasciare il campo. Se l’emarginazione non si è poi realizzata è perché l’obiezione di coscienza è stata sempre letta come una testimonianza di vita. Oggi dagli auspici discriminatori si è passa ai decreti: è perché si pensa di poterlo fare senza che nessuno protesti? È gradita la prova contraria.