domenica 29 giugno 2014

Giovani e martiri in Asia: la missione di Papa Francesco in Corea



Pubblichiamo la prefazione scritta dal segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, per il libro di Vincenzo Faccioli Pintozzi «Giovani e martiri in Asia: la missione di Papa Francesco in Corea», edito da Cantagalli-- Quello di papa Francesco in Corea del Sud è il primo viaggio asiatico del Pontefice, con cui egli va incontro al continente più popoloso del pianeta, dove vive oltre la metà della popolazione mondiale, con tradizioni antichissime, etnie multiformi, città gigantesche e un’economia poderosa. Il Papa va ad incontrare questa realtà e altro ancora, perché in Asia — sembra quasi incredibile, conoscendo le cifre economiche dello sviluppo di alcuni di questi Paesi — vivono anche molti poveri, circa il 50% dei poveri del mondo.
Il Santo Padre va ad incontrare, soprattutto, i giovani di questo continente, radunati per la Giornata Asiatica della Gioventù a Daejeon. Egli potrà condividere la sua fede con i giovani delle ricche megalopoli, ma anche con quelli che vivono nella miseria e nelle baraccopoli, offrendo agli uni e agli altri la stessa radice della speranza, che è l’amore di Gesù Cristo, la Via che trasforma la vita e rende più umana ogni società.
Se vi è un Paese che può essere citato ad esempio di questa fecondità del Vangelo per l’uomo e per la società, è proprio la Corea. Anzitutto per la storia del cristianesimo nella penisola, per il modo in cui esso è penetrato in quelle terre.
Ciò è avvenuto nel XVIII secolo, quando alcuni eruditi coreani alla corte cinese sono entrati in contatto con i testi biblici e, tornati in patria, hanno iniziato a studiare autonomamente la dottrina cristiana. Nel 1784 uno di loro venne inviato a Pechino per essere battezzato dai sacerdoti cattolici; al suo rientro battezzò gli altri membri del gruppo. Fino all’arrivo dei primi missionari francesi nel 1836, la comunità si resse unicamente sulla fede e sulla testimonianza dei laici.
Del cristianesimo colpivano la verità, l’amore, una moralità e un impegno che potevano sanare la difficile situazione in cui stava sprofondando la società tradizionale, stratificata gerarchicamente.
Prima della venuta del Vangelo, era impensabile che i nobili e i padroni sedessero fianco a fianco con gli schiavi, che le persone di differenti classi sociali si volessero bene e fossero solidali nelle loro necessità, come invece è avvenuto all’interno delle prime comunità cristiane coreane. La Corea ha imparato l’uguaglianza fra gli esseri umani e la cultura dell’amore e del perdono attraverso il cristianesimo. Anche il periodo doloroso della persecuzione (secoli XVIII-XIX) non ha sradicato nei fedeli coreani né il coraggio della testimonianza, né l’amore al proprio popolo, come dimostra la vita dei martiri che papa Francesco va a beatificare, dopo quelli canonizzati dal santo Giovanni Paolo II.
L’amore a Cristo e l’amore al proprio popolo, la fede e la traduzione sociale di essa sono state le caratteristiche costanti della Chiesa coreana durante l’occupazione giapponese e durante la guerra coreana, che ha diviso in due la penisola.
La Chiesa ha sempre avuto a cuore il bene del Paese. E dopo il Concilio Vaticano II ha contributo allo sviluppo — con l’impulso verso la democrazia e la giustizia — in un modo ancora più evidente.
Ciò spiega come mai la Chiesa coreana è passata in meno di 50 anni dall’1 all’11 per cento della popolazione. Va pure rilevato che fra intellettuali, accademici, economisti, eccetera, tale percentuale è ancora maggiore. Come ha detto una volta il professor Thomas Han, ambasciatore presso la Santa Sede dal 2010 al 2013, «la Corea è forse l’unico Paese al mondo dove la Chiesa cattolica cresce di pari passo con lo sviluppo economico. Spesso si dice che, con l’aumento del benessere economico e del materialismo, la fede diminuisce. La Corea sfata questo binomio perché con la crescita economica è cresciuta anche la fede cristiana».
Si è appena conclusa la celebrazione dei 50 anni delle relazioni diplomatiche fra la Santa Sede e la Repubblica di Corea, stabilite l’11 dicembre 1963. In occasione della presentazione delle lettere credenziali al Papa, l’allora ambasciatore coreano Hahn Been Lee ebbe, tra l’altro, a dire: «Non vi è dubbio che se non ci fossero state le ondate di persecuzione contro i cattolici lungo il XIX secolo, la nazione coreana sarebbe giunta nel mondo moderno molto prima di quanto è avvenuto; (…) attraverso i secoli, il cattolicesimo ha offerto una serie di preziosi contributi alla società coreana nella sua strada verso la modernizzazione, e la Chiesa si è rivelata consolatrice dei carcerati, messaggera di luce e di scienza, buona notizia per i perseguitati, predicatrice di lealtà e intelligente cittadinanza. È mio gioioso dovere rendere omaggio alla Santa Sede per questi contributi».
A 50 anni di distanza da quella data, il granello di senape della comunità cristiana coreana, fecondato dal sangue dei martiri e grazie alla garanzia di una piena libertà religiosa, si è ormai trasformato in una pianta rigogliosa con tanti rami e la Corea, da terra di missione, è diventata a sua volta missionaria. Sacerdoti e laici coreani contribuiscono alla missione universale della Chiesa in America Latina, in Africa e in tutta l’Asia. È anche per questo che papa Francesco, nel suo invito ad «uscire verso le periferie esistenziali e geografiche», vuole incontrare la Corea e la Chiesa coreana, per coinvolgerle ancora più da vicino nell’opera dell’evangelizzazione e nell’impegno in favore della pace.
Continuiamo, a questo riguardo, a implorare con insistenza da Dio il dono della pace tra le due Coree, il dono di poter un giorno rallegrarci per il pieno rispetto dei diritti umani in ogni parte della penisola. Auspichiamo che si riaprano vie di dialogo, che non ci si stanchi di cercare punti d’incontro e soluzioni sempre possibili, che non cessino gli aiuti umanitari alle popolazioni colpite da forme di carestia e che prevalga in tutti la buona volontà di riconoscersi per ciò che si è, vale a dire fratelli di un unico popolo. Dobbiamo inoltre chiedere al Signore che non si abbia paura della sua presenza e della sua Parola, che non si tema il Vangelo, perché esso è solo amore, speranza vera e gioia, offerti nella mitezza e nel rispetto. Questo vale anche per altri Paesi asiatici, dove la fede cristiana incontra difficoltà ed ostacoli ed è ancora guardata come una religione straniera.
Il Vangelo in Corea non è stato portato da conquistatori o missionari stranieri: è un messaggio che gli stessi coreani hanno cercato e diffuso ed è divenuto la base di un grande sviluppo umano ed economico. Nella storia della Corea si tocca con mano che il Vangelo è capace di assimilarsi e maturare in qualunque cultura, rispondendo alle attese e alle aspirazioni più profonde dei popoli.
Lo vediamo, non da ultimo, anche dal modo in cui la testimonianza di papa Francesco viene accolta in Corea, in Cina e in tante parti dell’Asia e del mondo. Il Pontefice giunto dalla «fine del mondo» è amato in ogni terra. È impressionante constatare che, dopo averlo visto esprimere la sua carità, la sua gioia, l’amore ai malati e ai poveri, molti coreani (e non solo) si stanno interessando alla fede cattolica per farsi battezzare.


A metà agosto la visita del Pontefice. (M. Antonietta Calabrò)
Se non tutto, sicuramente l’essenziale, per aprirsi alla conoscenza di una realtà sorprendente. Il libro di Vincenzo Faccioli Pintozzi ha solo 148 pagine, ma è molto utile a tutti coloro che vogliono capire perché il futuro del cattolicesimo probabilmente sarà in Oriente. Nel Paese «del calmo mattino», dove Papa Francesco andrà a metà agosto, la fede cresce ad un ritmo pari allo sviluppo economico, che ha fatto della Corea una Tigre asiatica. «Il miracolo del fiume Han», che scorre attraverso Seul, non riguarda solo il successo mondiale della tecnologia di aziende come Samsung, LG e Hyundai, ma la vita di una comunità cattolica cresciuta con il sangue dei martiri e figure esemplari di pastori.
Ecco allora le statistiche sul numero dei fedeli (l’11 per cento della popolazione), dei seminari, dei preti. Ma soprattutto storie di persone. Storie di martiri, innanzitutto. Paolo Yun, che testimonia Cristo sotto la lama di un coltello, insieme al cugino Giacomo. Don Giacomo Zhou, apostolo della Cina. E Colomba Kang, catechista dei martiri. Alessio, che viene decapitato per aver cercato di inviare una lettera di seta con la quale chiede l’intercessione del Papa per ottenere la libertà religiosa. O la vita del cardinale Kim, creato da Paolo VI, il più giovane in assoluto nel sacro collegio, morto nel 2009. Di lui il coreano Ban Ki-moon, segretario dell’Onu, ha detto che è stato «la coscienza di un’era».
Una volta Kim affermò che, seppure molti credano che la Chiesa coreana sia cresciuta numericamente in virtù del suo impegno sociale, lui non era propenso a vederla così. «La ragione fondamentale va trovata nella grazia di Dio», disse, poiché il «popolo coreano porta in sé un’autentica fame di religione».
fonte: Corriere della Sera