lunedì 30 giugno 2014

Come ai tempi di Elia



Per trasmettere la fede nell’età dell’effimero. 

(Walter Kasper)
La trasmissione della fede, specialmente alle nuove generazioni, appare oggi una sfida tutt’altro che facile, così inizia il nuovo libro di Bruno Forte La trasmissione della fede (Brescia, Queriniana, 2014, pagine 256, euro 18). Ci sono già tantissime pubblicazioni su questo tema, fondamentale per Chiesa e divenuto particolarmente urgente nel contesto della nuova evangelizzazione, a cui anche il prossimo Sinodo sulla famiglia è dedicato. Però il libro di Bruno Forte offre un contributo particolare. Da teologo egli va alle radici del problema e presenta un approfondimento teologico e filosofico arricchito da bellissimi testi letterari molto stimolanti. Perché per lui c’è anche la via della bellezza per la trasmissione della fede. Già nell’introduzione l’arcivescovo spiega la situazione attuale, dove nel contesto culturale il fruibile e l’immediato appaiono importanti e l’indifferenza alle grandi domande è diffusa. L’effimero sembra prevalere sull’intero orizzonte e l’eterno impallidire davanti all’attimo che fugge. Come ai tempi del profeta Elia la vera tentazione dell’uomo non è l’ateismo ma l’idolatria. Così l’esperienza di questo profeta di stampo arcaico e il suo cammino di fede diventano per così dire il filo conduttore di tutto il libro.
All’inizio Forte spiega la fede come l’esperienza di un incontro, la cui trasmissione è inseparabile dalla kènosi e dallo splendore dello Spirito. Poi il libro parla dell’educazione alla fede, la professione, la celebrazione e la vita della fede, dove parla inoltre delle donne come protagoniste della fede e dei giovani come testimoni della speranza, della famiglia come ambito vitale della trasmissione della fede. Particolarmente interessanti sono i capitoli sulla fede in dialogo, sulla fede in cammino e il sorprendente capitolo conclusivo sul sorriso di Dio. Segue ancora un’appendice su fede e annuncio, dall’enciclica Lumen fidei all’esortazione apostolica Evangelii gaudium.
La ricchezza di questi capitoli è difficile da riassumere. Pertanto riferiamo solo alcuni aspetti particolarmente interessanti dal capitolo dedicato al dialogo con chi non crede, un titolo che ricorda immediatamente il famoso titolo di un libro del compianto cardinale Carlo Maria Martini, a cui Bruno Forte si è sempre sentito molto vicino.
Secondo Forte la fede non è mai scontata; il credente non ha una comprensione totalizzante, luminosa su tutto, ma vive in una sorta di pensiero aurorale, carico di attesa. Però alla creatura, che nel più profondo del suo essere è desiderio d’infinito, Dio viene incontro come Dio che ha tempo per l’uomo. L’incontro dell’umano andare e del divino venire, l’alleanza dell’esodo e dell’avvento, è la fede. E la fede è lotta, agonia, non il riposo tranquillo di una certezza posseduta. Chi pensa di aver fede senza lottare, non crede più in nulla.
Diversamente da ogni posizione ideologica, la fede è un continuo convertirsi a Dio, un continuo consegnargli il cuore, cominciando ogni giorno, in modo nuovo, la lotta per credere, sperare e amare. Se però il credente è un ateo che ogni giorno si sforza di cominciare a credere, non sarà forse l’ateo — certo non l’ateo volgare stolto o indifferente — il non credente pensoso, un credente che ogni giorno vive la lotta inversa, la lotta di cominciare a non credere? Il credente responsabile si sentirà stimolato dal non credente, purché non sia chi a buon mercato voglia vivere etsi Deus non daretur, ma chi sia pronto a rischiare veluti Deus daretur. «Su questi presupposti — così finisce il capitolo — il dialogo fra i due sarà un comune servizio alla Verità, che entrambi chiama, e proprio per questo una testimonianza condivisa della salutare Trascendenza da cui tutto è illuminato, agli occhi di chi vuole cercare con umile amore, pur nella notte del mondo».
In questo contesto Forte cita san Bernardo di Chiaravalle: «L’amarezza della Chiesa è amara quando la Chiesa è perseguitata, è più amara quando la Chiesa è divisa, ma è amarissima quando la Chiesa se ne sta tranquilla e in pace». Forse quest’affermazione sarà un conforto per chi cammina tribolato e inquinato da una situazione poco pacifica, dove la trasmissione della fede specialmente alle nuove generazioni attraversa difficoltà. Forse proprio questa situazione è un kairòs, cioè un’ora di grazia in cui Dio ci viene incontro per purificare e approfondire la nostra fede spesso troppo paurosa perché paradossalmente spesso troppo sicura di se stessa.
L'Osservatore Romano