martedì 27 maggio 2014

Mercoledì della VI settimana del Tempo di Pasqua



"Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.
Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future.
Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l'annunzierà.
Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l'annunzierà".
 (Dal Vangelo secondo Giovanni 16, 12-15)


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La Verità pesa. La conoscenza della verità, infatti, spesso appare come un peso difficile da portare, quando non è vista come un deragliamento verso il fondamentalismo intollerante che attenta alla libertà altrui: "La non verità, il restare lontani dalla verità, sarebbe per l’uomo meglio della verità. Non è la verità a liberarlo, anzi egli dovrebbe piuttosto esserne liberato. L’uomo sta a suo agio più nelle tenebre che nella luce; la fede non è un bel dono del buon Dio, ma piuttosto una maledizione. Stando così le cose, come dalla fede potrebbe provenire gioia? Chi potrebbe avere addirittura il coraggio di trasmettere la fede ad altri? Essa sembra essere piuttosto il guscio della soggettività, in cui l’uomo può sfuggire alla realtà e nascondersi ad essa." (Joseph Ratzinger, Coscienza e verità, Conferenza a Dallas e a Siena, in La chiesa. Una comunità sempre in cammino). Occorre vivere secondo coscienza, viene ripetuto; scriveva J.G.Fichte: “La coscienza non erra mai e non può mai errare”, poiché è “essa stessa giudice di ogni convinzione, non conosce alcun giudice sopra di sé”. La coscienza decide in ultima istanza, ed è per natura inappellabile (System der Sittenlehre). "Dal momento che i giudizi di coscienza si contraddicono, ci sarebbe dunque solo una verità del soggetto, che si ridurrebbe alla sua sincerità. Non ci sarebbe nessuna porta e nessuna finestra che potrebbe condurre dal soggetto al mondo circostante e alla comunione degli uomini... la coscienza è l’istanza che ci dispensa dalla verità, essa si trasforma nella giustificazione della soggettività, che non si lascia più mettere in questione, così come nella giustificazione del conformismo sociale, che, come minimo denominatore comune tra le diverse soggettività, ha il compito di rendere possibile la vita nella società. Il dovere di cercare la verità viene meno, così come vengono meno i dubbi sulle tendenze generali predominanti, nella società e su quanto in essa è diventato abitudine." (J. Ratzinger, ibid.). Si tratta anche della nostra esperienza, la superficialità del "carpe diem", del cogliere l'attimo, da cui speriamo illusoriamente l'antidoto all'infelicità, alla depressione, al vuoto che incombe sulle nostre ore. Si vive rinunciando ad ammettere la possibilità di conoscere la verità, e così le parole e i contenuti che esse dovrebbero esprimere, si riducono a pura forma: "L'ha detto la televisione", "l'ho letto sul giornale", "me l'ha detto Paolo", "lo hanno postato in tanti (su Facebook)": frasi ricorrenti che dovrebbero dare un fondamento "inattaccabile" alle parole, alle idee e ai comportamenti. E così anche i giudizi, i criteri che orientano la vita, il discernimento degli eventi, divengono qualcosa di formale, pre-compreso nelle categorie che etichettano le idee e i comportamenti: conservatore, reazionario, fondamentalista, progressista, rivoluzionario, cattolico, comunista, fascista, e poi "rock" o "lento", e molte altre. La "dittatura della coscienza" che si risolve nella cosiddetta "dittatura del relativismo", lungi dall'aver liberato l'uomo, in ultima istanza lo costringe in nuove e più schiavizzanti catalogazioni, marchi ideologici indelebili a cui e di cui dar conto. Per liberare l'Io si diviene suoi schiavi, servi della sua forma di apparire, di stare al mondo, e l'ambiente circostante - sia esso familiare, culturale, politico, di lavoro, scolastico, o semplicemente il gruppo di amici - si trasforma in uno spietato aguzzino che esige la coerenza del proprio status, pena il rifiuto, l'esclusione e l'espulsione. Quando si cade, infrangendo le dure regole tracciate dalla tolleranza che non tollera sbandamenti da quanto ha stabilito sia tollerabile, è già troppo tardi, non si hanno vie d'uscita. Di norma l'intollerabile del tollerante è Gesù Cristo, con la sua Croce e la sua risurrezione, e il pensiero, le parole e la vita di coloro che gli appartengono. La coscienza collettiva moderna tollera tutto, ma non la Croce. La tolleranza intollerante è l'abito culturale indossato dall'Anticristo, l'anti-verità: "Ogni spirito che non riconosce Gesù non è da Dio. Questo è lo spirito dell'Anticristo che, come avete udito, viene, anzi è già nel mondo (1 Gv. 4,3). Molti sono i seduttori che sono apparsi nel mondo, i quali non riconoscono Gesù venuto nella carne. Ecco il seduttore e l'Anticristo! (2 Gv. 1,7). Nessuna menzogna viene dalla verità. Chi è il menzognero se non colui che nega che Gesù è il Cristo? L'anticristo è colui che nega il Padre e il Figlio. Chiunque nega il Figlio, non possiede nemmeno il Padre; chi professa la sua fede nel Figlio possiede anche il Padre" (1 Gv. 2, 16ss). Vladimir Sergeevic Solovev ne “I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo”, l'ultimo libro scritto nel 1900 poco prima della morte, scriveva: "Il Cristo col suo moralismo ha diviso gli uomini secondo il bene e il male, mentre io li unirò coi benefici che sono ugualmente necessari ai buoni e ai cattivi”. L'Anticristo aborriva “l'assoluta unicità” di Cristo: "Egli è uno dei tanti; o meglio è stato il mio precursore, perché il salvatore perfetto e definitivo sono io, che ho purificato il suo messaggio da ciò che è inaccettabile all’uomo d’oggi". E non accettava che Cristo fosse vivo: “Lui non è tra i vivi e non lo sarà mai. Non è risorto, non è risorto, non è risorto. È marcito, è marcito nel sepolcro...”. La "coscienza tollerante" moderna parte da qui: Cristo è marcito nel sepolcro, e con Lui ogni pretesa di verità. Per questo essa diviene un peso difficile da portare e l'uomo, nella sua debolezza, preferisce disfarsene. Scopriamo qui il senso profondo delle parole di Gesù: con le proprie forze, anche con le sole esperienze acquisite, non si può portare il peso della verità. La verità che libera in ciascuno quanto di originario vi è in lui, il seme di amore deposto dal Creatore che lo ha plasmato a sua immagine, perché l'uomo è «un es­sere che ha bisogno dell'aiuto di altri per diventare ciò che è in sé stesso» (R. Spaemann). L'aiuto dello Spirito Santo che è "per sua natura verità. Qui non si tratta di quante cose si possano sapere di lui; si tratta piuttosto dell'unica e decisiva cosa che viene detta nella professione di fede della Chiesa: chi è Dio. «Gesù è il Signore.» Ciò significa: così è Dio. Questo è il suo volto. Dio si mostra in Gesù e con ciò ci concede la verità essenziale -con la conoscenza di Dio la verità su noi stessi" (J. Ratzinger). E' lo Spirito Santo dunque che ci svela la menzogna dell'Anticristo, e che attesta al nostro spirito la verità, che Gesù è il Signore, qui ed ora, della storia, dei grandi eventi come di quelli che affrontiamo ogni giorno. Perché la verità appare nella storia concreta e reale, nella carne mia e tua, e non è relegata e imprigionata in un sistema filosofico o ad un'ideologia. Per questo, senza lo Spirito Santo Paraclito, la verità è un peso insostenibile, perché deflagra come una bomba all'irrompere del peccato, ovvero del fallimento, secondo l'etimologia ebraica del termine. Per non restare vittima dell'esplosione, l'uomo ha cancellato il peccato e il male dall'orizzonte culturale e antropologico, e con esso, di conseguenza, il bene, suo opposto. Immediatamente, sotto i colpi ideologici della tolleranza e del relativismo, sono caduti la verità e la menzogna. Se non esiste il peccato, perché ogni coscienza ha la sua particella di verità tollerata, non esiste neanche una verità oggettiva, la "verità tutta intera" di cui ci parla oggi il Signore. Alla fine, a farne le spese è la libertà, mutilata delle diverse opzioni su cui poter essere esercitata. E l'uomo si è ritrovato più schiavo che mai, preda del caos primordiale, obbligato a scegliere l'unica opzione rimasta, seguire il proprio istinto, e farlo parossisticamente, per evitare di cadere nei sensi di colpa che minerebbero l'architettura su cui poggia l'ideologia mondana: "Görres mostra che il senso di colpa, la capacità di riconoscere la colpa appartiene all’essenza stessa della struttura psicologica dell’uomo. Il senso di colpa, che rompe una falsa serenità di coscienza e che può esser definito come una protesta della coscienza contro l’esistenza soddisfatta di sé, è altrettanto necessario per l’uomo quanto il dolore fisico, quale sintomo che permette di riconoscere i disturbi alle normali funzioni dell’organismo. Chi non è più capace di percepire la colpa è spiritualmente ammalato, è “un cadavere vivente, una maschera da teatro”, come dice Görres” (J. Ratzinger). Ma questo bisogno definisce un bisogno ancor più grande, per non soccombere di fronte alla rivelazione della colpa: il bisogno dello Spirito Santo Paraclito, l'avvocato consolatore, colui che, all'apparire della nostra debolezza manifestata nel peccato, ci difenda dall'accusatore, dal demonio che vuole indurci alla disperazione. Il Paraclito ci guida, ci educa e ci introduce, passo dopo passo, come in un catecumenato, nella verità piena, tutta intera. Essa si manifesta proprio dinanzi al peccato dell'uomo, perché essa ha un nome, essa è Gesù Cristo. Lui è via alla verità che dona la vita. Cristo crocifisso per i nostri peccati e risorto per la nostra giustificazione. Esiste dunque una verità tutta intera, che abbraccia completamente Dio e l'uomo, l'amore infinito nel quale il primo ha creato e ricreato il secondo. Una verità che precede e fonda ogni dogma, ogni precetto morale, come l'azione liberatrice di Dio precede il Decalogo. La Verità tutta intera è Cristo vivo oggi, che si fa carne nell'esistenza di ciascuno. La verità non è marcita nel sepolcro! Lo Spirito Santo effuso nei nostri cuori ce la svela compiendola, perché Egli insegna difendendo, perdonando. La verità tutta intera è essenzialmente perdono, quello che il mondo non conosce, la salvezza che l'Anticristo, il padre della menzogna, vuole sottrarre all'umanità. In ebraico la parola verità è 'emet, derivato dalla stessa radice da cui la parola fede. La radice 'mn ha il significato fondamentale di sicuro, attendibile, capace di portare un peso. In questa luce si comprendono le parole di Gesù: è la stessa verità che porta il suo stesso peso. E' la verità che, svelandosi, porta la sua drammatica e liberante oggettività. In altre parole significa che mentre il peccato è smascherato appare simultaneamente il perdono capace di distruggerlo e di consegnare la possibilità di una vita nuova. Quando incontriamo il Signore, quando lo conosciamo profondamente, quando Egli prende dimora in noi nel suo stesso Spirito, si svela anche tutto ciò che non gli appartiene, come quando si accende la luce in una stanza. Ma in quella stanza piena di disordine e polvere e spazzatura che è la nostra vita c'è Lui, c'è il suo perdono a raccogliere quel veleno che alberga in noi. Non sono i soli esiti del peccato ad apparire, per schiacciare e spingere al suicido, dell'anima e del corpo. Il peccato, apparendo accanto a Cristo, come suo nemico, si manifesta come il nostro stesso nemico, dal quale lo Spirito Santo ci difende, come ha difeso il Signore sulla Croce e nel sepolcro. Per questo la verità tutta intera cui conduce lo Spirito Santo è capace di liberare davvero, di sconfiggere il male, estirpandolo alla radice, che è la menzogna del demonio. Scriveva Sant'Agostino che "Non c’è vera confessione dei peccati che non sia lode di Dio, non c’è vera lode di Dio che non sia anche confessione dei peccati. "Non si ha nessuna pia e salutare confessione dei peccati se non si rende lode a Dio con il cuore, o anche con la bocca e la parola" (S. Agostino, Enarratio in Ps. 105, 2). Nella confessione dei propri peccati l'uomo può dar gloria a Dio, può portare il peso (significato del termine gloria) della verità perché ne è partecipe per aver ricevuto lo Spirito Santo, la stessa vita di Dio. Confessare i peccati, infatti, è testimoniare il suo amore, il "mio" di Gesù che lo Spirito prende da Lui per annunciarlo ai suoi discepoli, a ciascuno di noi. Il Paraclito ci difende e consola annunciandoci e compiendo in noi il cuore misericordioso di Dio, quanto è proprio del Padre, il perdono rigenerante di Cristo. "Due noti psicologi hanno parlato di «incapacità di portare il lutto», vale a dire di incapacità di pentirsi; dell'incapacità di riconoscere che siamo noi stessi, non gli altri né le strutture sociali, a non farci vivere più giustamente. Ma possiamo riconoscere la verità della colpa - del nostro peccato - solo se ci viene concesso dal miracoloso amore di Gesù Cristo quel perdono che ha il potere di trasformare. Esso ci rigenera" (J. Ratzinger, Omelia nel Duomo di Regensbrurg, 14 Maggio 1989). La verità tutta intera ci fa dunque liberi di riconoscerci tali e quali siamo, con le nostre debolezze, con le nostre contraddizioni, unici e irripetibili, anche nei difetti perché riconosciamo in Cristo il nostro Signore, Colui che ci sostiene, perdona e vivifica nel suo Spirito; siamo liberi di non lasciarci trascinare dal fiume di perdizione della società che ha rinnegato Dio e il suo amore. Lo Spirito cura, educa, istruisce e conduce la nostra coscienza sui sentieri del bello, del buono, del vero, anche in contrasto con la cultura dominante e i suoi modelli. Lo Spirito ci fa liberi di essere quello per cui siamo stati creati, immagine della Verità tutta intera che, nonostante tutto, risiede in ogni uomo: "Proprio questo è il dramma dello Spirito Santo, il dramma della Chiesa e anche il nostro: lo sforzo di trarre lo Spirito dal fango. E non è rifuggendo il fango che ci facciamo Spirito, ma solo sopportando il fango che è in noi e negli altri; sottoponendolo alla nuova forza vitale, al respiro di Gesù Cristo, nello Spirito Santo che ancora oggi trasforma il mondo." (J. Ratzinger).