domenica 25 maggio 2014

Lunedì della VI settimana del Tempo di Pasqua



Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio. Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi. Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, verrà l'ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma io vi ho detto queste cose perché, quando giungerà la loro ora, ricordiate che ve ne ho parlato. Non ve le ho dette dal principio, perché ero con voi. (Dal Vangelo secondo Giovanni 15,26-27.16,1-4)
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Vi è una certa religiosità che non può accettare l'annuncio del Vangelo. Una forma di intendere e vivere la religione che non ha mai conosciuto Dio e il suo Figlio Gesù Cristo, e "lo vuole uccidere, credendo così di rendere culto a Dio". E' fin troppo facile pensare all'Islam e all'Induismo nelle loro versioni più violente. Ma Gesù non parla di questi. Gesù parla di sinagoghe, e quindi di rabbini, e quindi dei suoi fratelli. Non era prevista, in quel momento, alcuna fondazione di una nuova religione. San Paolo scrive nel capitolo 8 della Lettera ai Romani che "chi non ha lo Spirito di Cristo non gli appartiene". Esiste dunque un solo Spirito, ed è quello del Padre e del Figlio, e solo colui che lo ha ricevuto appartiene a Cristo, e, in Lui, al Padre. Non conta essere circonciso e appartenere al Popolo eletto. Lo ha ripetuto anche Gesù, e lo avevano annunciato molte volte i profeti. Come non basta essere battezzato. Appartenere a qualcuno implica la sua conoscenza, che, secondo la Scrittura, significa una rapporto esistenziale profondo, quale è l’amore sponsale: una conoscenza che coinvolge l'intero essere. Lo Spirito Santo Consolatore inviato da Cristo dischiude la soglia di questa conoscenza e rivela così la Verità: uno Spirito, una Verità. Conoscere la Verità significa essere ricolmi del Consolatore e permanere nell'intimità divina. E' questa la Verità fondamentale, un'esperienza esistenziale, una conoscenza da cui sgorgano, naturalmente, una visione delle cose, un discernimento e un agire conseguenti. Chi non ha lo Spirito di Cristo non lo conosce e quindi non conosce neanche il Padre. Anche se profondamente religioso, anche se teologo o impegnato come nessun altro nel sociale. Anche se anima le messe parrocchiali e fa catechismo ai bambini. Anche se scrive cose ragionevoli sui giornali, le più ragionevoli. Anche se è onesto, e paga le tasse, e rispetta il codice della strada. Anche se è fedele a sua moglie e dialoga con i suoi figli. Conoscere il Padre e il Figlio implica qualcosa di diverso e di più: aver ricevuto dall'alto lo Spirito Consolatore e vivere nella Verità, la più assurda, quella sulla quale tutti inciampano e si scandalizzano, la Croce Gloriosa del Signore. La sua cruda realtà. La Verità è l'amore rivelato in Cristo crocifisso. Chi dimora in Lui, chi lo conosce, chi ha il suo Spirito, vive crocifisso, sempre. Solo chi "è stato con Cristo sin dal principio", solo chi lo ha conosciuto nel suo intimo - il principio che fonda la sua natura - può riconoscere la Verità della Croce; solo chi è stato ferito dalla spada dello Spirito, dalla Parola di Dio penetrata in lui sino "al punto di divisione dell'anima e dello spirito, nelle giunture e nelle midolla", solo chi ha accolto, per pura Grazia, l'annuncio del Vangelo e da esso si è lasciato giudicare e amare, solo chi ha sigillata la Verità nel proprio spirito, può vivere crocifisso, testimone della Verità. Si tratta infatti di una sapienza che il mondo non può conoscere, è scandalo per i religiosi e stoltezza per gli atei e pagani. La sapienza della Croce è il dono dello Spirito Consolatore che testimonia allo spirito di chi appartiene a Cristo, la sua adozione a figlio. La croce è l'amore che giunge al nemico, la Parola che Gesù ha annunciato nel Discorso della montagna: essa invita a non resistere al male, a lasciarsi defraudare sul lavoro, a non opporsi all'ingiustizia, a non difendere il proprio onore, a non rifiutare il disprezzo, ad occupare l'ultimo posto. La Croce è la vita di Cristo, e chi gli appartiene vive con Lui crocifisso, come un morto in questo mondo, e la sua vita è nascosta con il Signore in Dio. Chi è di Cristo conosce intimamente la Verità della Croce, il segreto di un'intimità che ogni istante vince la morte, che fa vivere ogni situazione, anche le più terribili, dolorose e fallimentari, come un passo al Cielo. Chi appartiene a Cristo ripete nel suo intimo l'Abbà, Papà pieno di confidenza, sgorgato all'apice dell'angoscia del Getsemani. Ciascuno di noi è stato scelto per appartenere a Cristo e vivere la sua vita, che non è più quella della carne: "Lo Spirito Santo, che è Dio insieme col Padre e col Figlio, ci libera dal peccato e dalla morte, e da terreni che siamo, cioè fatti di polvere e terra, ci rende spirituali, ci permette di partecipare alla gloria, divina, di essere figli ed eredi di Dio Padre, di renderci conformi all'immagine del Figlio suo, suoi fratelli e coeredi. Invece della terra ci dà generosamente il cielo e il paradiso" (Didimo di Alessandria,Trattato «Sulla Trinità»). Lo Spirito Santo, che ha spinto Gesù nel deserto, è Colui che ha condotto la sua natura umana a compiere la volontà del Padre, custodendo in essa l'intimità con Lui; è in questa volontà paterna che risiede la Verità, ed essa prevedeva la Croce. Si tratta dunque di una conoscenza reale, esistenziale che si realizza sull'aspro terreno del Giardino degli Ulivi, il crinale decisivo, la soglia fondamentale che Gesù ha attraversato con la sua carne, introducendola nell'obbedienza alla volontà di Dio, diversa e in antitesi a quella umana, pienezza dell'intimità di amore con suo Padre"Questo entrare nella volontà di Dio non è un’opposizione a sé, non è una schiavitù che violenta la mia volontà, ma è entrare nella verità e nell'amore, nel bene. E Gesù tira la nostra volontà, che si oppone alla volontà di Dio, che cerca l'autonomia, tira questa nostra volontà in alto, verso la volontà di Dio. Questo è il dramma della nostra redenzione, che Gesù tira in alto la nostra volontà, tutta la nostra avversione contro la volontà di Dio e la nostra avversione contro la morte e il peccato, e la unisce con la volontà del Padre: “Non la mia volontà ma la tua”. In questa trasformazione del “no” in “sì”, in questo inserimento della volontà creaturale nella volontà del Padre, Egli trasforma l'umanità e ci redime. E ci invita a entrare in questo suo movimento: uscire dal nostro “no” ed entrare nel “sì” del Figlio. La mia volontà c'è, ma decisiva è la volontà del Padre, perché questa è la verità e l'amore" (Benedetto XVI). Possiamo oggi entrare in questo "movimento" del Signore, passare dal nostro "no" al "si" del Figlio alla volontà del Padre, perché questa è la verità e l'amore, e così, pur non avendo conosciuto Cristo secondo la carne, essere "tirati verso l'alto", verso il principio, e sperimentare d'essere stati con Lui sin dal principio, di conoscerlo intimamente, e in Lui, il Padre. La libertà di una Verità che ci fa assaporare l'amore infinito di Dio, nella tribolazione, nel rifiuto, nello scatenarsi del male. Vedremo certo coloro che si dicono religiosi, i clericali travestiti da progressisti come i moralisti e legalisti, fremere contro di noi, ucciderci in mille modi, mondanità e incenso a braccetto, e sarà perché non conoscono né il Padre né il Figlio. Sarà scandalo sul luogo di lavoro, in famiglia, a scuola, con gli amici, con il fidanzato; forse anche lui ci lascerà, spaventato dalla Croce. Sarà lo scandalo di imbattersi in chi vive crocifisso con Cristo nella Grazia dello Spirito Santo, amando i nemici, pagando le tasse per chi non le paga e senza giudicare, lasciando che ci rubino dallo stipendio e facciano ingiustizia nel condominio, perdonando le ingiurie e non difendendosi dalle calunnie, prendendo su di sé il rifiuto di chi non comprende e disprezza e vuol cancellare dalla propria vista una "religione" tanto diversa da quella che fabbricata con le proprie mani e i propri criteri. Condividere il destino del Signore e dei suoi piccoli discepoli all'alba della Chiesa, la via che gli zelanti custodi dell'ortodossia e della tradizione ebraica consideravano un'eresia da estirpare, così come avevano fatto con quel blasfemo del suo iniziatore, Gesù il Nazareno. Così chi si oppone al nostro modo vivere il matrimonio, il rapporto con il denaro, il primato di Dio nella gerarchia dei valori - al di sopra di tutto, del lavoro, della scuola, degli stessi affetti - chi ravvede nel nostro camminare con Cristo un'eresia dell'autentica religione moralistica, legalistica e di facciata, anche nelle parrocchie, anche in famiglia, le tenterà tutte pur di dissuaderci, ci getterà fuori, illudendosi di dar culto a Dio. Non sia questo per noi motivo di scandalo e di scrupoli. Non sia questo il motivo per nascondere il talento sotto terra, e rinunciare alla primogenitura. Il Signore ce lo annuncia e profetizza prima che avvenga proprio per testimoniare l'autenticità della nostra elezione, la bellezza e la pienezza dell'appartenere a Lui. Lo Spirito Santo che ci lega alla Croce, lo stesso che faceva pregare Isacco a suo Padre con quell'Aqedà (legami) così pieno di intimità e confidenza, ci testimonia nel profondo del nostro cuore la Verità di questa elezione: nell'amore incondizionato del Signore, crocifissi con Lui, morendo della sua stessa morte, come Stefano protomartire, guadagneremo a Cristo i tanti Paolo che, ora accecati, attendono l'unica via di salvezza, la misericordia che brilla nell'umile agnello immolato, la Verità che ci ha liberato e che offre a tutti le chiavi del Paradiso. Stefano, tu ed io; Paolo, i nostri amici, i colleghi, il fidanzato che ci ha lasciato, la suocera che non ci accetta, il collega che ci deride, il figlio che è scappato di casa: tutti in attesa della rivelazione dei figli di Dio, dello splendore della Gloria di Dio sui nostri volti crocifissi per amore, uno spicchio di Cielo dischiuso su tutti loro.