sabato 31 maggio 2014

Domenica dell'Ascensione - Anno A - 1 giugno 2014



Nella Solennità dell’Ascensione del Signore, la liturgia ci presenta il Vangelo in cui Gesù risorto, prima di salire nella gloria dei cieli, dice ai discepoli:
«Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato»
“L’Ascensione fa celebrare il Signore crocifisso e sepolto, risorto al terzo giorno, glorificato, esaltato alla destra del Padre dal quale è ‘assunto’ (ma anche ascende di sua divina potenza personale), al fine di esercitare il suo culto sacerdotale eterno di lode e di azione di grazie, ma anche di intercessione epicletica; questa, intesa ad ottenere lo Spirito Santo del Padre e suo per gli uomini redenti” (T. Federici). Il brano del Vangelo, la conclusione del Vangelo di Matteo, esalta cinque momenti che danno senso a tutta l’opera compiuta dal Signore. Innanzitutto, afferma che il Padre ha messo nelle sue mani la missione salvifica: “A me è stato dato ogni potere in cielo e in terra”; e questa missione ora egli consegna ai suoi discepoli: “Andate”, si tratta di rompere ogni barriera culturale e religiosa; “Fate discepoli tutti i popoli”, si tratta di formare un “nuovo popolo di popoli”; “Battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”, gli apostoli portano con sé la rivelazione di questo nome divino di Dio: Padre, Figlio e Spirito Santo; “Insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato”, annunciano agli uomini tutta la rivelazione di Dio, che porta con sé anche la stessa rivelazione dell’uomo. Si può intuire ciò che l’uomo è per davvero solo alla luce questa rivelazione di Dio: solo nel mistero del Verbo incarnato, proclama la Gaudium et Spes (n. 22), si “illumina veramente” il mistero dell’uomo. E il Signore lascia ai suoi apostoli il sigillo divino della sua presenza accanto ad essi e in essi: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. (don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma).

MESSALE
Antifona d'Ingresso  At 1,11
«Uomini di Galilea,
perché fissate nel cielo lo sguardo?
Come l'avete visto salire al cielo,
così il Signore ritornerà». Alleluia.

 
Colletta

Esulti di santa gioia la tua Chiesa, o Padre, per il mistero che celebra in questa liturgia di lode, poiché nel tuo Figlio asceso al cielo la nostra umanità è innalzata accanto a te, e noi, membra del suo corpo, viviamo nella speranza di raggiungere Cristo, nostro capo, nella gloria. Egli è Dio...


 
LITURGIA DELLA PAROLA
Prima Lettura  
At 1,1-11
Fu elevato in alto sotto i loro occhi.

Dagli atti degli apostoli

Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo.
Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo».
Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra».
Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».


Salmo Responsoriale  
Dal Salmo 46
Ascende il Signore tra canti di gioia.Oppure:
Alleluia, alleluia, alleluia.
Popoli tutti, battete le mani!
Acclamate Dio con grida di gioia,
perché terribile è il Signore, l’Altissimo,
grande re su tutta la terra.

Ascende Dio tra le acclamazioni,
il Signore al suono di tromba.
Cantate inni a Dio, cantate inni,
cantate inni al nostro re, cantate inni.

Perché Dio è re di tutta la terra,
cantate inni con arte.
Dio regna sulle genti,
Dio siede sul suo trono santo. 

 

Seconda Lettura
  Ef 1, 17-23
Lo fece sedere alla sua destra nei cieli. 

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni
Fratelli, il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che crediamo, secondo l’efficacia della sua forza e del suo vigore.
Egli la manifestò in Cristo,
quando lo risuscitò dai morti
e lo fece sedere alla sua destra nei cieli,
al di sopra di ogni Principato e Potenza,
al di sopra di ogni Forza e Dominazione
e di ogni nome che viene nominato
non solo nel tempo presente ma anche in quello futuro.
Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi
e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose:
essa è il corpo di lui,
la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose.


Canto al Vangelo
  Mt 28,19.20
Alleluia, alleluia.

Andate e fate discepoli tutti i popoli, dice il Signore.
Ecco, io sono con voi tutti i giorni,
fino alla fine del mondo.

Alleluia.

  
  
Vangelo  Mt 28, 16-20
Mi è stato ogni potere in cielo e in terra.
Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

   
*

Il fallimento umano ha dischiuso la vittoria divina

Commento al Vangelo dell'Ascensione

La Solennità odierna esprime il paradosso più grande, quello che caratterizza l'intera nostra vita: Cielo e terra, Spirito e carne, potenza e debolezza, già e non ancora. "È proprio all'interno dell'uomo che molti elementi si combattono a vicenda. Da una parte infatti, come creatura, esperimenta in mille modi i suoi limiti; d'altra parte sente di essere senza confini nelle sue aspirazioni e chiamato ad una vita superiore. Sollecitato da molte attrattive, è costretto sempre a sceglierne qualcuna e a rinunziare alle altre. Inoltre, debole e peccatore, non di rado fa quello che non vorrebbe e non fa quello che vorrebbe. Per cui soffre in se stesso una divisione, dalla quale provengono anche tante e così gravi discordie nella società." (Gaudium et Spes, n. 10).  
L'Ascensione di Gesù è il ponte tra la sua Pasqua e la Pentecoste della discesa dello Spirito Santo, esattamente come il Sabato Santo ha unito il Venerdì della Passione alla Domenica della resurrezione. Il Signore è sceso nella tomba con la nostra carne e con essa è risuscitato. Oggi, con la nostra carne ascende al Cielo, per assidersi alla destra del Padre. 
Oggi trova compimento il cammino intrapreso con l'Incarnazione, proseguito con la vita pubblica ed il suo esito drammatico della Croce e del sepolcro. 
Oggi Gesù risorto schiude a tutti noi la via di ritorno al Padre, e in lui tutti noi, figli prodighi e perduti, possiamo rientrare in noi stessi e convertirci, ritornare a casa, da nostro Padre: "il vostro ritorno sulla via del cielo è qualcosa che va preparato, in un luogo un tempo inaccessibile, da spianare. Il cielo infatti era assolutamente irraggiungibile per gli uomini, e mai prima di allora la natura umana era penetrata nel puro e santissimo luogo degli angeli. Cristo per primo ha inaugurato per noi quella via di accesso e ha dato all'uomo il modo di ascendervi, offrendo se stesso a Dio Padre quale primizia dei morti e di quelli che giacciono nella terra, e manifestandosi primo uomo agli spiriti celesti" (San Cirillo d'Alessandria, Commento sul vangelo di Giovanni, 9).
Ma tra noi e Gesù rimane una differenza sostanziale: Egli è asceso al Padre, noi siamo qui sulla terra. Gli occhi dei discepoli che non potevano staccarsi dalla figura del loro Maestro mentre sfuggiva al loro sguardo inabissandosi nelle altezze celesti, è l'immagine più autentica del nostro intimo. 
Al fondo di ogni desiderio, di ogni atto, anche al fondo dei nostri peccati vi è questo moto naturale, questa nostalgia, questo anelare al Cielo: lo struggimento per il compimento della nostra vita. 
Per questo nulla ci soddisfa, anche le gioie più grandi generano, immancabilmente, desideri ancor più grandi. Perchè tutto di noi è orientato al Cielo.
Come vivere allora questa precarietà spirituale, questa mancanza originaria, questa incompletezza? Come non soccombere nell'accidia, nella de-moralizzazione, nella disperazione? La risposta è nelle parole del Signore che appaiono nel Vangelo di oggi: "Mi è stato dato ogni potere, in Cielo ed in terra". 
Il potere di Gesù è identico lassù e quaggiù, in Dio e tra di noi. E' questo potere che risolve la contraddizione che viviamo quotidianamente. E' questo potere senza limiti che pacifica e riconcilia la nostra esistenza. Ogni potere, il che significa che non vi è aspetto della vita nel quale esso non sia illimitato. Lo possiamo vedere realizzato nella più piccola di tutte le creature, la più umile perchè la più semplice: Maria. In Lei Dio ha mostrato tutto il suo potere soprannaturale: in Lei il Cielo si è fatto terra e la terra si è fatta Cielo. Nella sua carne Dio si è fatto carne e la carne è divenuta dimora di Dio. 
Questo potere celeste è consegnato ai discepoli, a ciascuno di noi. Non è più necessario rimanere con gli occhi incollati al Cielo, la nostalgia del nostro compimento è la memoria che ci desta alla vita piena ed autentica: questa memoria che si fa memoriale, esperienza reale e attuale del ritorno di Gesù negli eventi di ogni giorno, fonda la speranza di rivedere, nel nostro ultimo istante di vita, Cristo vivo discendere dal Cielo per prenderci e portarci con Lui per sempre. 
Asceso al Cielo, il Signore dona alla sua Chiesa il suo stesso potere: la Chiesa può tutto; nella Chiesa noi possiamo tutto. Troppo spesso ce ne dimentichiamo, e viviamo come dei pezzenti, elemosinando le briciole di ciò che già ci è stato donato.
Esattamente come Adamo ed Eva che, pur avendo ricevuto il potere di dominare sui rettili, si lasciarono ingannare da un serpente. La Chiesa è il corpo di Cristo asceso al Cielo vivo su questa terra. La Chiesa ha la vita di Cristo. 
Ciascuno di noi ha il potere di compiere la volontà di amore di Dio nella storia: come in Cielo così in terra, la preghiera che si fa vita nella nostra esistenza. Possiamo vivere il Cielo nella nostra terra: siamo nel mondo ma non siamo del mondo, ed è proprio quando siamo più deboli che diveniamo più forti, perchè nella nostra debolezza si manifesta pienamente il potere di Cristo. 
Nella sessualità, nella lotta per difendere la castità, per non cedere alla pornografia su internet; nella fedeltà quotidiana alla moglie e ai figli; nell'obbedienza; nel rapporto con il denaro; sul lavoro, di fronte alle ingiustizie, al mobbing, alla routine e all'insoddisfazione; nello svago, nella malattia, nella precarietà economica.
In tutto si manifesta il potere di Gesù. Ed è necessario che si scateni in noi, contro la Chiesa e i suoi figli, il potere contrario a Cristo, l'Anticristo. E' necessario perchè il suo potere si manifesti pienamente di fronte ad ogni contro-potere. 
Come fu quella notte sulla barca, il vento contrario scatenato dal demonio che dominava nella Decapoli dove si stava dirigendo, e Gesù a dormire: tanto era più forte il suo potere da lasciarlo tranquillo, sino a dormire, come fu sulla Croce, quando non si difese e si abbandonò al sonno della morte: il potere del Padre lo avrebbe risvegliato eternamente, e questa certezza era un sigillo nel cuore. 
E' dunque necessario che il fuoco delle tentazioni, il male, le persecuzioni, le contrarietà si scatenino e si abbattano contro di noi. E' necessario per sperimentare il potere di Cristo e mostrare il Cielo al mondo. Perchè Lui ha vinto il mondo
E' questo il senso più profondo del cuore del Discorso della Montagna, quando Gesù dice di non resistere al male e di amare i nemici: è la giustizia più grande, il potere del Signore che si manifesta nella mansuetudine e nella mitezza di un Agnello condotto al macello. 
Nella debolezza crocifissa il potere del demonio è sconfitto. Laddove sembrava avesse vinto, la stoccata decisiva: l'amore totale ha fatto giustizia del peccato e della morte. Il fallimento umano ha dischiuso la vittoria divina: "Egli, con la propria morte, ha fatto morire quella morte, di cui il peccato era stato l’inizio...  “Il mondo”, sotto il soffio della Menzogna originale, divenne nel cuore dell’uomo l’avversario di Dio. E benché il tentatore ripeta sin dal principio: “Sarete come Dio”, questo mondo non è mai capace di offrire, in fin dei conti, all’uomo niente di più, niente d’altro che la morte." (Giovanni Paolo II). 
Per vincere la Coppa del Mondo di calcio occorre affrontare la squadra più forte, per non avere dubbi sul proprio valore, e dimostrare così, inconfutabilmente, di essere i migliori. Altrimenti sorgerebbero dubbi, si addebiterebbe la vittoria alla fortuna, alle circostanze, ad imbrogli. 
Come Cristo ha dovuto affrontare il nemico più forte, il demonio, sul suo terreno, la morte, anche noi nella vita di ogni giorno siamo chiamati ad affrontare lo stesso combattimento, stimati come pecore da macello. Agnelli in mezzo ai lupi, perchè si compia in noi la vittoria dell'Agnello..
Così sarà evidente e credibile il Cielo, la speranza per noi e per ogni uomo. Perchè apparirà, nella nostra famiglia, al lavoro, ovunque e sempre, che in noi Cristo ha un potere illimitato. Il potere di offrire la vita, di amare sino alla fine, che significa all'infinito. In questa luce si comprendono le parole con le quali Gesù invia gli Apostoli. 
"Annunciare il Vangelo, battezzare, insegnare", non è altro che vivere la presenza di Gesù in questa terra, e mostrarla ad ogni creatura. Soprattutto nella persecuzione. 
Lui è con noi tutti i giorni: è asceso al Cielo ma è vivo con il suo potere nelle nostre parole, nei nostri atti, nella nostra vita. Io sono, il nome divino rivelato a Mosè, l'essere che smaschera il non essere, la Verità che svela la menzogna, il potere dell'amore che distrugge il potere del maligno: Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo.
Io sono, e per questo, in Lui, anche noi siamotutti i giorni con Lui, un frammento d'eternità deposto nel tempo, fragranza dell'incorruttibilità nello sbiadire della corruzione. 
La Chiesa, e noi in essa, è il corpo vivo di Cristo oggi qui sulla terra; è la caparra del Cielo offerta ad ogni uomo, la primizia del destino al quale tutti sono chiamati: "Per innalzare la nostra speranza al suo seguito, sollevò anzitutto la sua carne, e perché sperassimo che questo sarebbe toccato anche a noi, ci precedette con quella natura umana che aveva assunto da noi" (S. Agostino). 

*
Ascensione del Signore
Commento di Enzo Bianchi
Nelle celebrazioni dei cinquanta giorni dopo la grande festa di Pasqua siamo giunti alla contemplazione di un nuovo aspetto del mistero pasquale. L’ascensione di Gesù, cioè il momento in cui la chiesa prende consapevolezza nella fede che il Signore Gesù, il crocifisso risorto e vivente per sempre, ha ormai un’altra presenza sulla terra, tra i suoi discepoli, nella storia: non è più nella carne fragile e mortale in cui l’hanno conosciuto, ascoltato, visto e toccato (cf. 1Gv 1,1), ma è ormai un corpo glorioso, spirituale, in Dio.
È sempre uomo, ma la sua umanità, trasfigurata dalla potenza dello Spirito santo, è in Dio, totalmente partecipe della vita divina. Ecco perché i discepoli non devono “trattenere” Gesù (cf. Gv 20,17), non devono più decifrarlo in una “visione”, ma lo devono vedere, contemplare e confessare nel grembo del Padre, Dio vivente per sempre. La discesa del Figlio sulla terra, della Parola fattasi uomo (cf. Gv 1,14), è diventata, con la morte, ascensione al cielo, ripresa della condizione divina, come nell’in-principio.
Questo mistero ci appare quasi insostenibile: Dio, il Figlio in Dio, Gesù l’uomo risorto ma trafitto, con la sua umanità non più corruttibile in Dio, il Signore della chiesa nella gloria e sempre veniente per i suoi. Gesù risorto era stato visto dalle donne recatesi al sepolcro nell’alba del primo giorno della settimana, le quali avevano da lui ricevuto l’ordine di andare in Galilea, dove tutti i discepoli l’avrebbero visto (cf. Mt 28,7). Dunque gli Undici, cioè la comunità apostolica privata di Giuda, il traditore, e le donne discepole adempiono il comando di Gesù e vanno sul monte da lui indicato. 
La Galilea è la terra di Gesù, è il luogo nel quale ha messo le radici; con quella terra Gesù ha fatto corpo, quella terra l’ha amata perché non era solo il teatro del suo agire e parlare ma un vero e proprio partner nella sua opera di salvezza. Per questo egli chiede alla sua comunità di andare là dove ci sono le tracce umane della sua vita, per comprendere la nuova forma della sua presenza, nell’accettazione della sua assenza fisica. Il vangelo deve però constatare che anche quando i discepoli “videro” Gesù, dubitarono.
Qui è appena accennato il mistero della fede: quando il credente in Dio aderisce a lui, mette la fiducia in lui, egli crede, ma nello stesso tempo è assalito dal dubbio e nelle sue profondità scopre un non credere, un’incapacità di aderire, di mettere fiducia piena e totale in Dio. È una lotta nella quale segretamente agisce lo Spirito santo che soffia sui dubbi, sulle domande, non per spegnerle ma per renderle capaci di “vedere nella fede” ciò che non saremmo capaci di vedere con le nostre sole facoltà. E allora ecco che la fede può vincere sull’incredulità, la convinzione sulla nientità.
Il travaglio avvenuto nei discepoli di Gesù dopo la sua morte è stato lungo, faticoso, segnato da indietreggiamenti e regressioni. Il loro non è stato un cammino senza contraddizioni, ma la potenza dello Spirito santo lasciato in dono da Gesù li ha portati a contemplarlo risorto, a collocarlo nel grembo del Padre come Signore vivente per sempre. Dio ha aiutato questi poveri uomini e queste povere donne con il suo Soffio santo che – come ci testimoniano i racconti evangelici della resurrezione – essi hanno sentito in sé come un angelo, un giovinetto, due uomini, due angeli presso la tomba vuota: tutti interpreti dell’evento di salvezza con il quale Gesù ha vinto la morte per sempre e il Padre lo ha rialzato dai morti. Da allora i discepoli, i credenti in Gesù, adorano e dubitano, ma ecco che il Signore risorto viene, si avvicina e dona loro la sua parola: “Io sono il vostro Signore, sono il capo del corpo che voi siete, la chiesa, nella pienezza della signoria donatami dal Padre con la resurrezione da morte e l’ascensione alla sua destra.
Perciò la missione ora è vostra, o meglio spetta a voi continuare la mia missione tra tutte le genti, dove troverete nuovi miei discepoli. Io non vi abbandono, ma sono con voi fino alla fine della storia”. Così termina il vangelo: all’inizio alla vergine era stato annunciato che avrebbe dato alla luce un Figlio, il Dio-con-noi, l’Emmanuele (cf. Mt 1,23; Is 7,14); ora, anche se nel seno del Padre, nella gloria divina, Gesù resta il Dio-con-noi per sempre.

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Il Cielo: destino dell'uomo

Lectio Divina per la Domenica dell'Ascensione - Anno A - 1 giugno 2014


Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture liturgiche per l'Ascensione del Signore (Anno A).
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LECTIO DIVINA

1) L’ascensione non è un abbandono, è un Addio [1]
Il brano del Vangelo proposto oggi dalla liturgia romana termina con questa frase di Cristo: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).  Con una reazione immediata ed ispirata a quello che viene chiamato buon senso, verrebbe da dire che è un po’ paradossale scegliere questa affermazione di Gesù per la Sua ascensione al cielo. L’ascensione al cielo di Gesù manifesta il mistero della Croce quale trono di gloria, abisso dell’incontenibile tenerezza del Signore “inchiodato” dall’amore per i suoi fratelli e elevato dal Padre. L’ascensione svela il mistero dell'Uomo-Dio. Noi sappiamo da dove viene Gesù perché vediamo dove va: viene dal Padre e a Lui ritorna. La nostra vita non è sospesa nel nulla: Dio è nostro principio e fine. Salendo al cielo, Risorto ci porta nel suo cuore per metterci nel cuore del Padre.
Con l'ascensione Gesù scompare dalla vista, ma non ci lascia orfani. Ci apre la via del ritorno a casa [2].
Questa casa, questo paradiso aveva visto la fuga di Adamo, ma la storia continuò e si conclude con il Cristo, il nuovo Adamo che torna al Padre. Lui è il Figlio unigenito che, diventato uomo, si è fatto primogenito di molti fratelli. Dopo una lunga passione, Lui, il capo, è uscito alla luce. Questa storia continua ancora: è la nascita progressiva del suo corpo, costituito da tutti gli uomini, suoi fratelli. La sua ascensione al Paradiso è un vortice che ci assume con lui nella gloria.
Quando nel suo Vangelo descrive l’ascensione di Gesù, San Luca ripete quattro volte che i discepoli tenevano gli occhi fissi al cielo. Guardavano lì perché lì stava colui che li ama. Dove è il tesoro, lì è anche il cuore. Ognuno va dove già sta il suo cuore. Se il nostro cuore non ha il santo desiderio, resta immobile, come un morto. Se guardiamo in alto, verso le stelle con Maria, Stella del Mare, abbiamo un orientamento sulla terra. Non è un cordone ombelicale che lega, ma la bussola che nella libertà fa camminare verso l’alto.
Dunque l’“ascensione al cielo” non è la festa per un trasferimento di luogo, è un “adDio”: è la festa dell’elevazione di Cristo, essa indica l’insediamento dell’uomo crocifisso nella regalità di Dio sul mondo. E’ una festa perché Gesù ci ha preceduto per prepararci una dimora. Dunque anche per noi c’è un posto nella reggia paterna e che sono profondamente vere e attuali le parole di Tertulliano “Consolatevi, carne e sangue: in Cristo avete preso possesso del cielo e del regno di Dio!” (De car. Chr. 7).
Il Cristo è Colui che nella sua incarnazione ha unito cielo e terra. Lui ha realizzato l’unità degli estremi: la povertà dell'uomo con l'infinito di Dio. Dunque Il cielo non è un luogo lontano, al di sopra e al di là delle stelle più lontane, è qualcosa di molto più ardito e più grande: è il trovar posto dell'uomo in Dio e questo ha il suo fondamento nella compenetrazione di umanità e divinità nell'uomo Gesù crocifisso ed elevato. Cristo, l’uomo che è in Dio, è al tempo stesso il perpetuo essere aperto di Dio per l'uomo.
Cristo, “l'uomo che è in Dio, è al tempo stesso il perpetuo essere aperto di Dio per l'uomo. Egli stesso è, quindi, ciò che noi chiamiamo «cielo», poiché il cielo non è uno spazio, ma una persona, la persona di colui nel quale Dio e uomo sono per sempre inseparabilmente uniti. E noi ci avviciniamo al cielo, anzi, entriamo nel cielo, nella misura in cui ci avviciniamo a Gesù ed entriamo in lui.”  (J. Ratzinger, Predica per l’Ascensione 1975).
Se consideriamo tale avvenimento a partire da questa prospettiva, possiamo capire quello che San Luca scrive alla fine del suo Vangelo, quando narra che dopo l’Ascensione i discepoli tornarono a Gerusalemme “pieni di gioia” (24,52). Se si fosse trattato di un distacco, questi uomini di Cristo non sarebbero potuti essere “pieni di gioia”. Per loro l'ascensione e la resurrezione erano un medesimo evento: essi avevano la certezza che il Crocifisso viveva, che era vinta la morte che separa l’uomo da Dio, e che le porte della vita vera erano state per sempre aperte. Per loro, quindi, l'ascensione non ebbe quel significato errato che noi abitualmente le diamo, cioè quello della temporanea assenza di Cristo dal mondo. Significò piuttosto la nuova, definitiva ed insopprimibile forma della presenza di Gesù, grazie alla Sua partecipazione alla potenza regale di Dio. 
Risurrezione e ritorno di Cristo sono tra loro intrecciati, ed è chiaro che nella risurrezione di Gesù, grazie alla quale ora è per sempre in mezzo ai suoi, è già iniziato il suo ritorno. 
I cristiani, di allora e di oggi, non devono quindi fissarsi sul futuro e preoccuparsi di fare ipotesi circa il momento del ritorno di Cristo. Loro, e noi con loro, dobbiamo tener presente che Lui non ha mai cessato di essere presente. Anzi, per mezzo di loro e nostro, Lui vuole diventare sempre più presente: il dono dello Spirito ed il dovere della predicazione, testimonianza e della missione fino ai confine del mondo sono il modo in cui Cristo è già adesso presente.
 2) Testimoni della gioia
La festa dell'elevazione di Cristo, che oggi commemoriamo, è quindi una grande solennità e la sua nota caratteristica è la gioia. Dio ha spazio per l'uomo: a quest'annuncio ci deve succedere come ai discepoli che dal monte dell’Ascensione tornarono alle loro case “pieni di gioia”.
Nella prima lettura della Liturgia di oggi, San Luca racconta il fatto vero e proprio dell'Ascensione in una sola riga (Atti 1,9): “Fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo”. Preferisce soffermarsi sui discepoli, che chiedono al Signore: “È questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?”. Gesù li rimprovera. Il tempo è nelle mani di Dio. E questa certezza deve bastare: il resto è trascurabile curiosità.
L'importante è un'altra cosa: “Mi sarete testimoni a Gerusalemme... fino agli estremi confini della terra”. Compito dei discepoli è di testimoniare dovunque il loro Signore. Non sono i popoli che arrivano a Gerusalemme, ma sono i discepoli che sono inviati verso i popoli. E non ci sono confini, luoghi vietati, popoli o uomini ai quali il Signore non possa essere testimoniato.
Questa testimonianza va fatta nella gioia, la gioia di Cristo crocifisso e risorto, la gioia della certezza di un Dio vicino, sempre. Per avere questa gioia quindi dobbiamo toccare la Croce e questa ci toccherà, sanando il nostro male, facendoci entrare nella gioia della resurrezione, salendo in cielo con noi nel suo cuore.
L’Ascensione va vissuta da ciascuno di noi come invito ad essere testimoni del Vangelo
della gioia che penetra il cuore e lo conforta,della gioia che non viene mai meno perché nessuno può togliercela (cfr Gv 16,22),della “gioia missionaria, che va custodita da tre sorelle che la circondano, la proteggono, la difendono: sorella povertà, sorella fedeltà e sorella obbedienza”(Papa Francesco),
La gioia, in effetti, è un elemento centrale dell’esperienza cristiana ed ha una grande forza attrattiva, perché in un mondo spesso segnato da tristezza e inquietudini, è una testimonianza importante della bellezza e dell’affidabilità della fede cristiana. 
Le Vergini consacrate nel mondo, che appartengono all’Ordo Virginum [3], sono chiamate a testimoniare la gioia di appartenere solo a Cristo. Incontrandole il 15 maggio 2008, il Papa emerito Benedetto XVI disse loro: “Siate testimoni dell’attesa vigilante e operosa, della gioia, della pace che è propria di chi si abbandona all’amore di Dio. Siate presenti nel mondo e tuttavia pellegrine verso il Regno. La vergine consacrata, infatti, si identifica con quella sposa che, insieme allo Spirito, invoca la venuta del Signore: ‘Lo Spirito e la sposa dicono ‘Vieni’ (Ap 22,17)”.
La beata Madre Teresa di Calcutta ha vissuto così ed fra le belle cose che ha detto sulla gioia ha pronunciato anche queste parole: “Noi aspettiamo con impazienza il paradiso, dove c'è Dio, ma è in nostro potere stare in paradiso fin da quaggiù e fin da questo momento. Essere felici con Dio significa: amare come Lui, aiutare come Lui, dare come Lui, servire come Lui” (La gioia di darsi agli altri, Ed. Paoline, 1987, p. 143).
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NOTE
[1] In effetti “addio” viene da “ad Deum”, verso Dio. Quando ci si saluta così ci si impegna in un cammino, in un esodo che vuole dire in un ritorno alla casa di Dio e nostra. La nostra vita è tutta protesa verso un avvenimento: quello dell'incontro con Dio-Amore.
[2] E’ in questo senso che vanno intese le seguenti parole detta di Gesù nell’ultima Cena : “Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi” (Gv 14, 2-3).
[3] L’Ordo virginum ha le sue radici nei primi quattro secoli del Cristianesimo: fin dai tempi apostolici alcune donne seguirono l’invito di Gesù ed abbracciarono con gioia la verginità “per il regno dei cieli” (Mt 19,12), come attestano anche gli scritti paolini (1Cor 7,25.34) e gli Atti degli Apostoli (At 21,9).. Le figure delle prime vergini cristiane menzionate nel Canone Romano, Agata a Catania, Lucia a Siracusa, Agnese e Cecilia a Roma, Cristina a Bolsena, sono figure uniche e affascinanti di donne coltivate dallo Spirito. Molteplici fonti storiche attestano che la verginità ben presto divenne una scelta di vita operata da molte: Ignazio di Antiochia, Policarpo, Giustino testimoniano della presenza e del ruolo delle vergini nelle comunità e insieme a Cipriano, Ambrogio ed Agostino le istruiscono e le accompagnano con paterna premura. Con il passare dei secoli, però, la vita monastica divenne la modalità esclusiva per condurre un’esistenza dedicata a Dio e ciò comportò la progressiva scomparsa delle vergini consacrate.
Fu lo spirito del Concilio Vaticano II, caratterizzato dalla ricerca delle sorgenti della Chiesa, a dare frutti nuovi anche nell’ambito della vita consacrata, ripristinando quella che era stata la prima forma consacrazione femminile nella Chiesa, l’Ordo Virginum. Papa Paolo VI promulgò il 31 maggio 1970 il Rito della Consacrazione delle Vergini inserito nel Pontificale Romano, che disponeva potessero essere ammesse a questa consacrazione anche donne che intendevano vivere nel mondo il dono totale di sé a Cristo, al di fuori di ogni appartenenza a strutture di vita religiosa.

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"La fede autentica è quella che non contraddice con le opere le verità credute"


Lettura Patristica
San Gregorio Magno 
Omelia XXIX, 1. 2-4 in Evang. PL 76, 1213-1216. 
 
“I discepoli tardarono a credere nella risurrezione del Signore, e ciò va visto non come segno del loro vacillare ma come sostegno della fede a cui in futuro noi saremmo stati chiamati. A loro, ancora in preda ai dubbi, l'evento della risurrezione fu mostrato con molti argomenti. Ne leggiamo nelle testimonianze scritte, e non ci sentiamo forse confermati nella fede dai loro stessi dubbi? Mi dà minor aiuto Maria, giunta subito alla fede, di Tommaso che dubitò a lungo. Questi con la sua incertezza toccò le cicatrici delle ferite e allontanò dal nostro cuore la ferita dell'incredulità.
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> A conferma della risurrezione del Signore va anche notato ciò che scrive Luca: Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme. E poco dopo: Fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo. Notate le parole e il loro mistico significato: Mentre si trovava a tavola ... fu elevato in alto. Mangiò, salì, perché attraverso il prendere cibo risultasse evidente la realtà del suo corpo.

Marco ricorda anche che il Signore, prima di salire al cielo, rimproverò i discepoli per la durezza del loro cuore e per l'incredulità. In tutto ciò, cosa occorre mettere in evidenza se non che il Signore rimproverò i discepoli nell'atto di congedarsi con la sua presenza fisica da loro, perché le parole da lui pronunciate nel lasciarli restassero più saldamente impresse nel loro cuore mentre le udivano? Ascoltiamo cosa dice come esortazione dopo il rimprovero per la durezza del loro cuore: Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura.
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> Quando la Verità invia i discepoli a predicare, come interviene nel mondo se non spargendo seme? Sono disseminati pochi granelli, perché nascano frutti di messi abbondanti dalla nostra fede. Non potrebbe nascere in tutto il mondo una messe così ricca di fedeli, se quei grani scelti dei predicatori non raggiungessero, attraverso la mano del Signore, il terreno delle anime.

Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. Qualcuno forse dirà tra sé: Io ho già creduto e quindi avrò la salvezza. Costui dice bene se accompagna la fede con le opere, perché la fede autentica è quella che non contraddice con le opere le verità credute. Per questo Paolo scrive di alcuni falsi credenti: Dichiarano di conoscere Dio, ma lo rinnegano con i fatti. E Giovanni: Chi dice: "Lo conosco" e non osserva i suoi comandamenti è bugiardo.

A questo punto dobbiamo verificare l'autenticità della nostra fede con l'esame della nostra condotta, perché potremo dire di essere veri credenti se attuiamo con le opere le promesse fatte a parole. Nel giorno del battesimo ci siamo impegnati a rinunciare a tutte le opere e a tutte le pompe dell'Avversario antico. Ognuno di voi si esamini seriamente e se da dopo il battesimo compie ciò a cui si impegnò, si senta felice per la certezza di avere la vera fede.
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> E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro alcun danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno.

Forse, fratelli miei, dovete considerarvi senza fede perché non operate questi prodigi? Essi furono necessari ai primordi della Chiesa, perché la fede doveva essere alimentata dai miracoli per poter crescere. Anche noi, del resto, quando piantiamo alberi, dobbiamo annaffiarli finché non li vediamo ben solidi nel terreno, e appena hanno fissato le radici smettiamo di somministrare l'acqua. Per questo Paolo dice: Le lingue non sono un segno per i credenti ma per i non credenti.

Ci sono altre ulteriori considerazioni in ordine a questi segni e prodigi. La santa Chiesa compie ogni giorno in forma spirituale ciò che faceva allora concretamente mediante gli apostoli. Quando infatti i suoi sacerdoti con la grazia dell'esorcismo impongono le mani ai fedeli e impediscono agli spiriti maligni di prendere dimora nelle loro anime, cosa fanno se non scacciare i demoni? E i cristiani che abbandonano le dottrine mondane della vita di un tempo, che celebrano i santi misteri e annunciano con tutte le forze le lodi e la potenza del Creatore, che altro fanno se non esprimersi in lingue nuove? Quando poi con buone esortazioni spengono la malizia nel cuore degli altri, eliminano i serpenti. Quando sentono parole malvagie e suadenti senza farsi trascinare al male, prendono, sì, bevande mortifere, ma non ne subiscono danno.
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> Quando i credenti si accorgono che il prossimo vacilla nel compiere il bene, quando lo soccorrono con tutte le forze e l'esempio del proprio comportamento, sostengono la condotta di chi è incerto nelle scelte da compiere, altro non fanno se non imporre le mani sui malati perché ritrovino la salute. Questi prodigi sono ancora più grandi perché di ordine spirituale, e perché attraverso di essi vengono ricondotti alla vita non i corpi ma le anime.
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> Fratelli carissimi, voi pure potete compiere questi segni - se lo volete - con l'intervento di Dio. Si tratta di segni esterni e da essi non possono ottenere vita quelli che li compiono perché sono prodigi di natura corporea che mostrano talora la santità senza però esserne causa; invece questi prodigi spirituali compiuti nelle anime producono la realtà della vita, e non è loro compito semplicemente il mostrarla. Di essi possono fruire solo i giusti, mentre ai primi possono accedere anche i malvagi. Per questo la Verità dice di qualcuno: Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità.
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> Non vogliate perciò, fratelli, fare oggetto del vostro amore quei segni che potrebbero essere attribuiti anche ai reprobi, ma amate i prodigi della carità e del fervore, di cui ora abbiamo parlato, che sono veramente sicuri perché occulti; per essi è stabilita presso il Signore una ricompensa tanto più grande quanto minore è la loro gloria presso gli uomini.”