venerdì 23 maggio 2014

Cronache d’autore




Il  tweet di Papa Francesco: "Vivere con fede vuole dire mettere tutta la nostra vita nelle mani di Dio, specialmente nei momenti difficili." (23 maggio 2014)

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Kairos: Massimo Camisasca Paolo Cremonesi - "Viaggio in ...

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Kairos. mercoledì 14 maggio 2014. Massimo Camisasca Paolo Cremonesi - "Viaggio in Terra Santa". Pubblicato da vito luigi valente a 11:00 · Invia tramite ..

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Gerusalemme: papa Francesco incontra il patriarca Bartholomeos
Domenica 25 maggio 2014 alle 19 nella basilica del santo sepolcro a Gerusalemme, a 50 anni dallo storico incontro tra il patriarca di Costantinopoli Athenagoras e papa Paolo VI (5 gennaio 1964 , fu la prima volta dal 1439 che i primati della chiesa di Roma e della chiesa di Costantinopoli si incontrarono, e fu l'inizio del dialogo che prosegue fino ad oggi!), avverrà l'incontro tra papa Francesco e il patriarca Bartholomeos, fortemente voluto e desiderato da entrambi, una nuova importante tappa sul cammino dell'unità dei cristiani.

Il patriarca Bartholomeos ha recentemente dichiarato:
"Finora dalla diaconia pubblica del Papa Francesco sono rimasti impressionati persino i non cristiani. L’ethos di semplicità e di affetto nei confronti di ogni persona umana, soprattutto verso i sofferenti e i poveri, che distingue la predicazione e il modo di vivere del Papa Francesco, corrisponde allo spirito evangelico e quindi alle esigenze del tempo presente, e facilita enormemente il dialogo ecumenico. Gli ortodossi non percepiscono ora nell’istituzione papale nessun tratto di prepotenza, quella che in passato aveva molto ostacolato i rapporti tra cattolici e ortodossi. Pertanto, l’esempio di Papa Francesco pone su basi nuove l’intero cammino del dialogo ecumenico."
"Attribuisco un gran rilievo all’incontro con Papa Francesco a Gerusalemme, che, peraltro, avevo personalmente proposto, nel nostro primo colloquio il giorno dell’inizio del suo pontificato. Il carattere di questo incontro sarà, innanzitutto, celebrativo, in quanto coincide con il 50° anniversario dello storico incontro tra il Papa Paolo VI e il mio compianto predecessore Atenagora, nella città di Gerusalemme nel 1964. Non dobbiamo sottovalutare questo carattere celebrativo dell’incontro. La storia non deve essere dimenticata, perché può diventare maestra nel presente. Quell’incontro, allora, richiedeva non poca ispirazione e coraggio, e ciò va riconosciuto con gratitudine da noi successori. Alquanto significativa è la forza anche simbolica del luogo nel quale si realizzò quel incontro, che avvenne proprio lì dove il Nostro Signore pregò il Padre Suo per l’unità di tutti coloro che credono in Lui. La preghiera e il comandamento del Signore «che tutti siano una sola cosa», ci interroga sempre e ci ricorda un dovere che, purtroppo, spesso dimentichiamo. Pertanto, l’incontro del prossimo maggio darà un rinnovato impulso ai rapporti delle due Chiese, alla luce dei nuovi dati storici.Oggi il mondo affronta problemi, la cui soluzione impone la collaborazione fraterna e l’azione comune tra tutti i cristiani, sulla via verso la piena comunione, secondo la volontà di Nostro Signore."
Chiediamo ai nostri amici e ospiti di accompagnare questo incontro con la preghiera.
Per approfondire: Bartholomeos I, La via del dialogo e della pace , Edizioni Qiqajon. 

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Inviato speciale - Cronache d’autore per Paolo VI in Terra Santa - The plane, the plane!

Inviato speciale del «Corriere della Sera», Dino Buzzati seguì nel 1964 il viaggio di Paolo VI in Terra Santa. I suoi servizi sono stati raccolti nel libro Con il Papa in Terrasanta (a cura di Lorenzo Viganò, Milano, Henry Beyle 2014, pagine 131, Copyright Eredi Dino Buzzati. Tutti i diritti riservati trattati da Agenzia Letteraria Internazionale, Milano). Pubblichiamo brani dagli articoli usciti sul quotidiano del 20 dicembre 1963 e del 5 gennaio 1964.
Gli editoriali di Raimondo Manzini sull’Osservatore Romano. Bisogna andare
(Silvia Guidi) Cronaca di un’attesa annunciata, potrebbe essere il titolo dell’editoriale di Raimondo Manzini pubblicato sull’Osservatore Romano del 12 gennaio 1964, sei giorni dopo il rientro di Paolo VI dal viaggio in Terra Santa; «Viaggio in cui — sottolinea il direttore del giornale con giustificata solennità — il successore di Pietro dopo venti secoli e la venuta di Pietro a Roma torna sui luoghi della nostra Redenzione».

Manzini — prima di essere chiamato da Giovanni XXIII alla guida del quotidiano — era stato tra i fondatori della Democrazia cristiana emiliana, membro dell’Assemblea costituente della Repubblica italiana e poi deputato per cinque legislature consecutive. Era consapevole che il successore di Giovanni XXIII si era trovato a raccogliere l’eredità di un concilio promosso e avviato da Roncalli ma i cui esiti erano in là da venire: Papa Montini era esposto a malintesi e a fraintendimenti continui, facile bersaglio di recriminazioni e polemiche, considerato com’era troppo conservatore dai progressisti e troppo progressista dai conservatori. Forse per questo nei suoi commenti il direttore non perde occasione di sottolineare lo stretto nesso che lega il viaggio nei luoghi santi ai lavori conciliari. «Una tale latente e universale attesa — ribadisce Manzini nell’editoriale del 12 gennaio — è convergenza di spiriti, è segno di una situazione storica la quale ha trovato la sua ispirata risposta nel concilio».
Il pellegrinaggio palestinese e il concilio ecumenico Vaticano II — aveva scritto nell’editoriale del 2-3 gennaio — «diciamolo subito, sono due avvenimenti che si spiegano l’un l’altro e vicendevolmente si integrano, condizionandosi circa i motivi di cui il pellegrinaggio ai luoghi santi vuol essere un mezzo di attuazione e di impetrazione». Un atteggiamento interiore di domanda e di dialogo con Dio che ha ricadute molto concrete nella vita sociale e politica di una comunità.
«Ciò che oggi rende più accessibile al mondo l’ansia e il richiamo del cristianesimo — scrive Manzini analizzando con una lucidità che oggi potremmo definire profetica le cause della crisi, antropologica e etica prima che economica, in corso in questo inizio di secolo — è anche il rarefarsi di virtù essenziali oggi ripudiate od irrise in nome di una spietata logica materialista od esistenzialista; virtù senza delle quali la società diventa impraticabile, la convivenza dei popoli proibitiva».
Il mondo si è commosso — continua il direttore dell’Osservatore Romano — «di questo esempio: del vedere il Papa procedere solo tra la folla, senza protezione e senza onori. E c’è qualcosa che fa riflettere in questa ritornante sottolineatura della stampa mondiale. A chi sa ben vedere, il Papa è sempre povero, sempre solo, sempre umile, anche nella gloria della Basilica Vaticana. Ma non pochi si fermano al fenomenismo ma non al mistero della fede. Ma — continua Manzini — se si conoscesse meglio la Chiesa! Essa oggi deve “andare”, “peregrinare” per essere finalmente compresa. E il suo colloquio, onde farsi proficuo e intelligibile, si svolge sul terreno stesso dove gli uomini moderni amano situarsi e dal quale sarà più facile aiutarli a risalire alle verità trascendenti: il terreno della storia, della realtà temporale, del valore positivo del mondo»; il tante volte ripetuto, insistito, chiesto con accorata determinazione “andare nelle periferie” di Papa Francesco, con qualche decennio di anticipo.
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Cronache d’autore per Paolo VI in Terra Santa. Con la sola forza dello spirito. Il mondo sbalordito e commosso trattiene il respiro
(Dino Buzzati) L’ottava crociata sta per partire ma il porto è deserto, non ci sono galere e galeazze, non si vedono corazze né cavalli né archibugieri né fanti, le banchine sono deserte, il porto non esiste. Eppure la ottava crociata della storia comincia. La crociata è fatta da un uomo solo, l’erede di Pietro, il vescovo di Roma, un uomo non vecchio ma già avanti negli anni, dalla faccia intensa e scavata, che senza navi, né eserciti, né principi, né ammiragli va da solo a liberare il Sepolcro di Cristo.
Lo accompagnano dignitari e prelati, una bene organizzata corte lo segue, ma per combattere questa corte non serve, è come se non esistesse. L’uomo è davvero solo, Sua Santità è spaventosamente sola mentre spicca il volo a bordo del quadrigetto in direzione dell’oriente per andare a liberare il Sepolcro di Cristo. E il mondo intero lo guarda. Attraverso la televisione, la radio e i giornali, gli uomini di ogni continente, cristiani e non cristiani, lo seguono, e sospendono il fiato abbacinati dalla grandezza della battaglia.
Contro chi va a misurarsi l’uomo vestito di bianco che non porta la croce sulla spalla destra come Goffredo di Buglione bensì la porta sul petto? I ricognitori hanno esplorato Gerusalemme e i Luoghi Santi, non hanno visto traccia di turchi, di mori, di saraceni, di infedeli; non un turbante, non una scimitarra, non un ordigno di tortura, non fumi di accampamenti, non assembramenti di giannizzeri: tutto può sembrare rassicurante e pacifico. Tuttavia questa crociata lampo, a ottocento e più chilometri all’ora, va incontro a un nemico più duro e pauroso del feroce Saladino. Esso sbarra la via al Sepolcro di Cristo, alla culla del Bambino Gesù, alla strada che Cristo percorse sotto il peso della croce, al monticolo dove la croce venne innalzata e dove Cristo fu crocefisso. Chi è dunque il nemico?
Il maledetto nemico, al paragone dei quali i tetri e crudeli tiranni dell’Asia sono tenere pecorelle, il nemico, oggi, siamo noi che ci siamo stancati di credere.
Il progresso, la tecnica, la scienza, il furore della vita, l’indifferenza, l’apatia, il vuoto, la morte lenta degli animi hanno innalzato intorno al Sepolcro di Cristo una gelida muraglia e l’uomo partito da Roma vi si avventerà contro per squarciarla. Mai da che è cominciato il mondo, si è vista una simile sfida.
Ma dove sono i cannoni, le spingarde, gli attrezzi d’assedio, le polveri, la pece ardente? Niente. L’uomo che parte da Roma non è armato di eserciti e di morte. La sua forza, con la quale confida di vincere, è fatta di una cosa che non si vede e non si tocca, una cosa oggi comunemente derisa e non quotata in borsa: lo spirito.
Le sue artiglierie sono fatte di spirito, di spirito semplicemente sono fatte le sue catapulte, i suoi arieti, i suoi meccanismi di battaglia. Ed egli non parte col petto in fuori coperto di armature d’argento, egli parte col capo chino, in umiltà.
Attonito, il mondo ristà a guardare questo incredibile duello tra l’uomo armato solo di luce, di mansuetudine e di bontà, e il ghiaccio spirituale degli uomini di oggi, che purtroppo è una forza spaventosa. Il mondo sbalordito e commosso, trattiene il respiro. Chi vincerà?
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The plane, the plane!
Chi reca quassù in questo riposto e abbastanza misterioso angolo di mondo, il quadrigetto bianco che sibilando si posa con estrema dolcezza sul pavimento dell’aeroporto di Amman? Siamo qui in centinaia, in migliaia anzi, perché al di là degli sbarramenti e delle terrazze dell’aerostazione, una variopinta folla si pigia, siamo qui in centinaia a bocca aperta, come se dovesse essere scoperta l’America o conquistata la Luna. E invece è un Dc-8 come tanti altri, con dentro un uomo, come noi, pur se vestito di bianco. Che strano.
Invece strano non è. La faccenda merita una attenzione tremenda. Noi stiamo assistendo a uno dei fatti più commoventi della storia. Così commovente e intimo che sarebbe stato meglio se fosse avvenuto all’improvviso in segreto, senza questo clamore, senza queste turbe di giornalisti, senza telecamere. Questo sì.
Se il Papa viene per la prima volta da che esiste la Chiesa, viene in pellegrinaggio alla terra dove la Chiesa fu creata. Certo è così. Eppure a me sembra ci sia ancora di più. «The plane, the plane», esclama improvvisamente al mio fianco un collega americano, piccolo e grassoccio, con tre macchine fotografiche a tracolla, che fino adesso ha tremato dal freddo, vestito come è di una giacchetta di tela turchina. Fa segno a mezz’aria, laggiù a sud-ovest, verso le aride e fulve lontananze: verso il brumoso sipario di nebbia.
Un accenno di trepidazione. Che ha visto, che ha udito il collega americano, il quale continua a sorridere apparentemente pago e felice nonostante il freddo? Tutti guardiamo nella stessa direzione, c’è anche uno fornito di binocolo: niente. Il cielo non si vede. La cupola di grigia bruma è silenziosa. Un poco mortificato il simpatico americano abbassa il braccio lentamente.
La scena è pronta intorno a me, la scena per il fatto più fantasioso e straordinario di questi anni, finalmente un fatto grandissimo che non significhi morte, disastri, devastazioni, lutti, ma non è la scena che si sperava. Sembra di essere su un altipiano delle nostre montagne in un giorno di novembre. Nebbia, vento, freddo. Quando leggerete queste righe la scena l’avrete già vista tutti per televisione. Saprete già il posto, gli uomini, le uniformi, le bandiere, le macchine. Ma il video non potrà dirvi, probabilmente, ciò che sta accadendo nel disadorno aeroporto di Amman, prima ancora che lui sia arrivato. È una cosa difficile da esprimere, le parole è tanto facile che qui si trasformino in retorica. (...)
«The plane, the plane» esclama ancora il collega americano. E alza il braccio come prima e come prima tutti insieme guardiamo dalla stessa parte, ma adesso non c’è più trepidazione, sappiamo tutti che questa è la volta buona e tutto, come sempre nelle cose grandi, succede semplicemente, con le apparenze innocue di una consueta realtà: così durante i bombardamenti, quando da lontano si vedeva scoppiare una bomba e tutto poteva sembrare un giochetto e non si capiva finché non vedevamo i morti.
Il quadrigetto percorse fino in fondo la pista, quindi fece ritorno lentissimo, girando a semicerchio verso l’aerostazione. Da dietro il muricciolo parte il primo dei ventun colpi di cannone. Il jet adesso era fermo dinanzi a noi a una cinquantina di metri. Il suo sibilo sordo cessò.
Mentre l’aereo del Pontefice si avvicinava ad Amman, re Hussein, preoccupato delle condizioni del tempo e del persistere della nebbia, è salito sulla torre di controllo dell’aeroporto, ha preso il microfono e ha personalmente parlato con il pilota del Dc-8, guidandone l’atterraggio.
A me sembra che questo viaggio faccia tanta impressione per il motivo seguente. Il Papa come Papa a un certo momento passa in seconda linea. È Gesù dopo duemila anni che ritorna alla terra sua. È il Papa, suo vicario, che lo porta con sé. Perché Dio è in ciascuno di noi, forse, ma non c’è nessuno in cui ci sia tanto Dio come nel Papa. Il Papa è una sua vivente abitazione.
L'Osservatore Romano