martedì 22 aprile 2014

I Papi della Pace



Intervista al cardinale segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin,  in un libro sull’eredità dei pontificati di Roncalli e Wojtyła. Al lavoro per la pace

Le situazioni di povertà e di emarginazione costituiscono focolai di instabilità. «Su pochi temi i Papi degli ultimi centocinquanta anni hanno tanto insistito come su quello della pace, dedicando a esso una serie innumerevole di encicliche, documenti, messaggi, discorsi. Ciascuno lo ha fatto in determinate circostanze storiche e secondo la propria sensibilità, ma venendo incontro a un anelito perenne e insopprimibile del cuore umano. Del resto mai l’umanità aveva conosciuto una tale sequenza di guerre, conflitti, stragi, massacri, deportazioni in massa, genocidi, atti terroristici come nei decenni trascorsi».

Lo dice il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, in un’intervista pubblicata nel libro I Papi della pace. L’eredità dei santi Roncalli e Wojtyła per Papa Francesco di Nina Fabrizio e Fausto Gasparroni (Milano, Bur, 2014, euro 14, pagine 250). Il volume, che ripercorre la vita e l’opera del «prete buono e umile, con una grande santità», Giovanni XXIII, e del «grande missionario», Giovanni Paolo II, viene letto dal porporato con lo sguardo rivolto all’azione di Papa Francesco che, afferma il segretario di Stato, «agirà con la parola, intervenendo ogni volta che la pace è minacciata, senza curarsi del rischio di venire strumentalizzato, e soprattutto indicando le cause della violenza e delle guerre. Lo farà testimoniando l’amore alla pace anche con la sua eventuale presenza, magari improvvisata, sui luoghi dei conflitti. Papa Francesco seguirà la propria sensibilità e troverà anche in questo campo i gesti più efficaci e forse sorprendenti (per non dire “inquietanti” agli occhi di qualcuno, che amerebbe il “si è sempre fatto così”), per far sentire la sua presenza e la sua sollecitudine per la pace».
Da un punto di vista storico il cardinale sottolinea che «i due Papi citati sono passati alla storia per il loro impegno in favore della pace. Giovanni XXIII fu efficace nell’evitare il conflitto nel caso dei missili installati a Cuba dall’Unione Sovietica. Lo ricordava lo stesso Papa Francesco il 3 ottobre 2013, nella commemorazione del cinquantesimo anniversario della Pacem in terris, aggiungendo che, nonostante siano caduti muri e barriere, il mondo continua ad aver bisogno di pace e pertanto il richiamo di quell’enciclica rimane fortemente attuale». Da parte sua, aggiunge «Giovanni Paolo II scrisse molto in favore della pace, si recò di persona (almeno ogni volta che gli fu concesso) in tutti i luoghi colpiti dalle guerre e parlò instancabilmente denunciando quasi quotidianamente gli scontri e i massacri, ad esempio, nell’ex-Iugoslavia. Inoltre prese posizione contro l’attacco all’Iraq».
Ma non vanno dimenticati altri Papi che hanno agito sulla stessa linea. Tra questi, ricorda Parolin, non bisogna dimenticare «Benedetto XV, il Papa della prima guerra mondiale, criticato da entrambi gli schieramenti belligeranti per non aver preso posizione a loro favore benedicendo le loro armi contro quelle degli avversari, o Pio XII, che attraversò tutto il periodo della seconda guerra mondiale con uno sforzo ininterrotto a favore della pace e in difesa delle vittime dell’immane conflitto. Paolo VI parlò della pace all’Onu e “inventò” la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace, con un apposito messaggio. Papa Francesco, che rivela una particolare attenzione al tema della pace, continuerà certamente questa azione, seguendo la propria cultura e la propria sensibilità». Del resto, sottolinea ancora il segretario di Stato, «la Chiesa non si muove per tutelare i propri diritti o invocare privilegi per sé, ma per difendere i diritti di ogni uomo e di ogni donna, specialmente se violati. Credo che ciò susciterà anche oggi ampia risonanza positiva, in particolare per il linguaggio diretto e, diciamo “popolare” che ha sinora riscosso tanto successo».
Nell’intervista, inoltre, il porporato ricorda che «nella giornata di preghiera e di digiuno del 7 settembre 2013 quella piazza immensa, piena di gesti, riflessioni e parole, ha restituito ai credenti la convinzione della forza della preghiera, un loro specifico contributo alla pace. La diplomazia, gli appelli, le azioni dimostrative hanno lasciato spazio alla preghiera del popolo con il suo Pastore (che ha chiuso dicendo “grazie per avermi fatto compagnia”). Tale visibilità della preghiera ha, di fatto, scosso anche i potenti della terra e coloro che non credono».
Il Papa, aggiunge il segretario di Stato, «parla di perdono e di riconciliazione. Molto dipende anche da quanti soffiano sul fuoco, finanziando e armando le parti in lotta. Spesso lo fanno, purtroppo, in nome di Dio o del proprio credo religioso. In questo noi europei dovremmo ricordarci che per secoli ci siamo comportati allo stesso modo, anche se, per fortuna, non erano a disposizione le armi micidiali di oggi. L’Europa occidentale che ha provocato le due guerre più sanguinose della storia, sembra aver imparato la lezione. Speriamo lo facciano anche altri Paesi più giovani».
Quello del traffico di armi è uno dei problemi più sentiti. E in questo senso il cardinale ha sottolineato che «molti Paesi poveri o poverissimi e in via di sviluppo dedicano molta parte delle loro scarse risorse all’acquisto di armi. Ma questo è possibile anche perché altri le vendono loro. Un controllo efficace di questo tipo di commercio, che consente guadagni ingentissimi, è una delle esigenze inderogabili del nostro tempo». E «le situazioni di povertà e di emarginazione costituiscono certamente un focolaio di instabilità e di insoddisfazione, nel quale è facile attingere e arruolare persone da trascinare alla violenza. Oltre al fatto che l’inequità, come la chiama il Papa, è da sola una ingiustizia sociale che va eliminata perché iniqua, anche se non dovesse portare alla guerra o alla rivolta violenta».
Come già affermavano con forza Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, «oggi nessuno può in coscienza fare la guerra o usare la violenza in nome di Dio. Ma, oltre a questo, le grandi religioni, proprio perché si proclamano universali, sono portatrici di un disegno di Dio sull’umanità che può essere soltanto un disegno di pace. Ciascuna lo farà con le proprie motivazioni, ma il compito di operare per la pace è di tutti», rileva ancora il segretario di Stato.
Del resto, sottolinea il cardinale, «ogni Papa che si reca in Terrasanta lo fa come “pellegrino di pace” e non può essere diversamente. Evidentemente il viaggio verrà letto anche in chiave politica e non mancherà chi vorrà utilizzarlo per la propria causa. Ma pur usando tutta la prudenza possibile, non si deve aver paura che un segno di pace venga letto in modo deformato. Non si dice nulla di nuovo affermando che l’interminabile conflitto nella Terrasanta ha creato una situazione di perenne instabilità, non solo nella regione, simbolo di un’incapacità di realizzare una vera pace. Se il viaggio del Papa potesse aggiungere un tassello alla costruzione di questa pace, sarebbe già valsa la pena di recarsi in quella regione martoriata. Il nome di Gerusalemme significa “città della pace”. Purtroppo sembra essere diventata il simbolo di conflitti e di una guerra senza fine».
Da questo punto di vista, aggiunge, «l’Onu è un organismo benemerito e, nonostante i suoi limiti, è meglio che ci sia piuttosto che non ci sia». Ma, conclude il porporato, «avrebbe ormai bisogno di una riforma, da più parti invocata, ma non facile da realizzare. Il mondo è molto cambiato da quando venne creata alla fine della seconda guerra mondiale. Non è facile darle un potere effettivo per poter mantenere la pace (la sua missione fondamentale!), senza che il potere sia di fatto soltanto nelle mani di alcuni Paesi. Una vera Onu forte, ma democratica, sarebbe una benedizione per tutti».
L'Osservatore Romano

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La scelta di Francesco: riunire due Papi diversi in una festa storica per la Chiesa
La Repubblica
 
(Marco Ansaldo) Uno accanto all'altro: un pontefice emerito, uno in carica e due che diventano santi. Bergoglio ha deciso di celebrare insieme due figure che lasciano al mondo cattolico eredità differenti, sia sul piano morale che politico. Con una regia del tutto innovativa (...) 

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Briefing: i due Papi santi raccontati dai loro postulatori


Perché sono santi? Intorno a questo interrogativo si è svolto oggi in Sala stampa vaticana il primo dei numerosi briefing che ci accompagneranno fino a domenica prossima, giorno della Canonizzazione dei Beati Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. “E’ una strada fatta di tappe", ha spiegato il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, presentando gli approfondimenti quotidiani che saranno seguiti in settimana anche in lingua inglese e spagnola. Ospiti di oggi i postulatori delle Cause di canonizzazione dei due Beati: padre Giovangiuseppe Califano dei Frati Minori, per Papa Roncalli, e il presbitero polacco, mons. Slawomir Oder per Papa Woityla. 

La santità di due figure spirituali di grande rilievo: questo l’inizio e il cuore del cammino che porterà i credenti fino alla giornata di domenica. Santità di cui migliaia di fedeli nel mondo sentirono il profumo, per quanto riguarda Papa Roncalli, sin dalla sua morte, il 3 giugno 1963. Così, presentando il Beato Giovanni XXIII, dice il postulatore della sua Causa di canonizzazione, padre Giovan Giuseppe Califano. La santità di Roncalli era un proposito da lui coltivato in ogni stagione della vita, da sacerdote, da vescovo e da Papa, e sempre rinnovato attraverso quattro risoluzioni:

“Già da giovane seminarista, a 15 anni, scriveva: ‘Io rinnovo il proponimento di volermi fare santo davvero, e lo farò attraverso quattro risoluzioni che propongo di praticare: spirito di unione con Gesù, raccoglimento nel suo cuore, recita del Rosario, essere sempre in tutte le mie azioni presente a me stesso”.
Una santità, afferma padre Califano, caratterizzata da profonda umiltà e dall’abbandono alla provvidenza. Una santità semplice e coinvolgente, leggibile e mite. “Dio è tutto, io sono nulla: questo mi basta”: questo diceva Roncalli a fine giornata. Una gigantesca figura di Santo che padre Califano sintetizza attraverso due binomi. Il primo: pastore e padre, di una paternità, spiega, che commosse il mondo, fatta di letizia e cordialità, qualità che confluirono nella definizione di “Papa buono”:

“Aprì alla Chiesa nuovi orizzonti con l’indizione del Sinodo per la diocesi di Roma e il Concilio ecumenico. Fu capace di comunicare, prediligendo forme semplici e immediate, con immagini tratte dalla vita quotidiana, riuscendo ad entrare subito nel cuore delle persone”.
Ma l’espressione “Papa buono”, aggiunge padre Califano, è da intendersi come disse il successore di Roncalli, Papa Paolo VI:

“Non era un generico buonismo di facile applicazione, ma era sinonimo di amore, di genio pastorale, di comprensione, di perdono, di conforto. In pratica, come appare Gesù nel Vangelo”.
Altro binomio per sintetizzare la figura di Papa Roncalli è “obbedienza e pace”, motto episcopale ma anche sintesi di vita e di servizio alla Chiesa:

“Lasciare la propria terra, confrontarsi con mondi a lui sconosciuti anche in luoghi dove la presenza dei cattolici era scarsissima. E questa obbedienza gli consentì di abbandonarsi con fiducia alla Divina Provvidenza, per distaccarsi da se stesso e aderire completamente a Cristo. Qui sta la vera sorgente della bontà di Papa Giovanni, della pace che ha diffuso nel mondo. Qui si trova la radice della sua santità: nella obbedienza evangelica alla voce del suo Signore”.
Ricostruendo la prima intuizione della santità di Giovanni Paolo II, invece, mons. Slawomir Oder cita i compagni universitari che scrissero sulla stanza di Karol: “Futuro Santo”, colpiti dalla sua attitudine alla preghiera e alla riflessione sul valore della vita, legate – spiega mons. Oder – probabilmente a un’infanzia di sofferenza per la perdita, in poco tempo, di tutta la famiglia:

“Forse, proprio questo suo impegno di dare il peso qualitativo alla vita con un impegno di carità era il fatto che la gente percepiva come i tratti di santità nella sua vita”.
Tre le figure spirituali importanti, spiega mons. Oder, che forgiarono in Giovanni Paolo II una fede mariana e adulta: suo padre, il semplice sarto di Cracovia chiamato “l’apostolo”, e l’allora arcivescovo della città che lo accolse in seminario. A loro si deve la fede, semplice e popolare, tratto comune tra le due figure di Pontefici, domenica santi; la profondità mistica e il coraggio di affrontare la avversità con tenacia, leggendo sempre nella storia la presenza di Dio. Mons. Oder:

“Aveva bisogno della gente, della Chiesa vivente, semplice per sentire la loro fede e nutrirsi di questa fede. E la profondità mistica, invece, di Giovanni Paolo II lo spingeva a vivere il mistero di Dio in prima persona. E questo è il cuore di santità di Giovanni Paolo II. Se noi dovessimo cercare veramente la parola che caratterizzi un “santo”, è quello: “uomo di Dio”. Era un uomo che ha saputo trovare in Dio la fonte della vita. La preghiera per lui era il respiro, l’acqua, il pane quotidiano”.
Compito del Papa, come compito della Chiesa – ripeteva Giovanni Paolo II – è evangelizzare e portare tutti alla santità. Se in giovinezza Giovanni Paolo II aveva appreso il messaggio della Divina Misericordia – chiarisce mons. Oder – importante per lui fu il dovere di pagare il debito d’amore ricevuto. Questa è la chiave per capire tutta la sua vita.

 Radio Vaticana 

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OR: Edizione speciale per le canonizzazioni del 27 aprile




Per le canonizzazioni del 27 aprile L’Osservatore Romano ha realizzato in italiano e in polacco un numero speciale di cento pagine interamente a colori. Il fascicolo sarà in vendita al prezzo di 5 euro. Oltre ai profili biografici di Angelo Giuseppe Roncalli e di Karol Wojtyła, la rivista raccoglie testi poco conosciuti di Giovanni Battista Montini, Giovanni Paolo II, Joseph Ratzinger e Jorge Mario Bergoglio, con immagini inedite e rare.
Per informazioni e acquisti ci si può rivolgere all’Ufficio Abbonamenti e diffusione: 06 69899480; 06 69885164 (fax); info@ossrom.va