sabato 1 marzo 2014

VIII Domenica del Tempo Ordinario. Anno A



Nell'ottava Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il Vangelo in cui Gesù invita ad affidarsi alla Provvidenza e a non attaccare il cuore al denaro, perché non si può servire Dio e la ricchezza nello stesso tempo. Quindi conclude:

“Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena”.


Alla base del Vangelo di oggi c’è una parola del Signore che impegna tutta la sua autorità divina: “Io vi dico”. Questo richiede da noi un ascolto particolarmente attento: “Nessuno può servire due padroni... Non potete servire Dio e la ricchezza”. I discepoli debbono decidersi una volta per sempre. “Questa sorda lotta si può ridurre di fatto a due contendenti, come due poli che dirigono tutta la vita umana: servire Dio oppure servire mammona” (T. Federici), dove l’aramaico “mamona” significa “lucro”, “denaro”. A riprova della verità della sua parola, il Signore offre due brevi immagini: guardare gli uccelli del cielo e i gigli del campo: non ammassano in granai, non filano…, eppure il Padre vostro celeste li nutre e li veste gloriosamente come neppure Salomone, in tutta la sua gloria, fu mai rivestito. E se Dio – si noti “il vostro Padre” – fa questo con delle piccole creature, non farà assai più per voi, Egli che sa che ne avete bisogno? Già nel profeta Isaia troviamo una parola forte (cf la prima lettura di questa domenica): “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai. Ecco, sulle palme delle mie mani ti ho disegnato, le tue mura sono sempre davanti a me (Is 49, 15-16). La parola conclusiva del Vangelo ci svela il senso radicale di questa parola: “Cercate, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”. Il Signore ci vuole strappare dall’ansia per il domani: ci ama e ci vuole far vivere in pace.
 (don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma)

*
Di seguito i testi della Liturgia e i commenti

MESSALE
Antifona d'Ingresso  Sal 17,19-20
Il Signore è mio sostegno,
mi ha liberato e mi ha portato al largo,
è stato lui la mia salvezza perché mi vuole bene.
 

Colletta
Concedi, Signore, che il corso degli eventi nel mondo si svolga secondo la tua volontà nella giustizia e nella pace, e la tua Chiesa si dedichi con serena fiducia al tuo servizio. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
 
Oppure: 
Padre santo, che vedi e provvedi a tutte le creature, sostienici con la forza del tuo Spirito, perché in mezzo alle fatiche e alle preoccupazioni di ogni giorno non ci lasciamo dominare dall'avidità e dall'egoismo, ma operiamo con piena fiducia per la libertà e la giustizia del tuo regno. Per il nostro Signore Gesù Cristo...


LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura
  Is 49, 14-15Io non ti dimenticherò mai.

Dal libro del profeta Isaìa
Sion ha detto: «Il Signore mi ha abbandonato,
il Signore mi ha dimenticato».
Si dimentica forse una donna del suo bambino,
così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se costoro si dimenticassero,
io invece non ti dimenticherò mai.

    

Salmo Responsoriale
   Dal Salmo 61
Solo in Dio riposa l’anima mia.
Solo in Dio riposa l’anima mia:
da lui la mia salvezza.
Lui solo è mia roccia e mia salvezza,
mia difesa: mai potrò vacillare.

Solo in Dio riposa l’anima mia:
da lui la mia speranza.
Lui solo è mia roccia e mia salvezza,
mia difesa: non potrò vacillare.

In Dio è la mia salvezza e la mia gloria;
il mio riparo sicuro, il mio rifugio è in Dio.
Confida in lui, o popolo, in ogni tempo;
davanti a lui aprite il vostro cuore.

     

Seconda Lettura
  1 Cor 4, 1-5Il Signore manifesterà le intenzioni dei cuori. 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
Fratelli, ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, ciò che si richiede agli amministratori è che ognuno risulti fedele.
A me però importa assai poco di venire giudicato da voi o da un tribunale umano; anzi, io non giudico neppure me stesso, perché, anche se non sono consapevole di alcuna colpa, non per questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore!
Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, fino a quando il Signore verrà. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno riceverà da Dio la lode.

  

Canto al Vangelo
   Eb 4,12
Alleluia, alleluia.

La parola di Dio è viva ed efficace,
discerne i sentimenti e i pensieri del cuore.

Alleluia.

   
   
Vangelo 
 
Mt 6, 24-34Non preoccupatevi del domani.
Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:
«Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza.
Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?
Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?
E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede?
Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno.
Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.
Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena».

*

"Ma la vita, crediamo davvero che ci appartenga?"


Il Vangelo di questa domenica non è una romantica e commovente pagina edificante; non racconta di figli dei fiori alla ricerca di se stessi. Non è nemmeno un trattato di economia, niente pauperismo buonista. E’ in gioco il rapporto che ciascuno di noi ha con Dio. Quindi la felicità e la salvezza.
Per capire il posto che riserviamo a Dio, Gesù ci conduce a scoprire quello di mammona. E' la via più semplice.
Eccola in trono, nelle piazze, nei parlamenti, in Tv, alla radio e al cinema, sui giornali e internet, e nei cuori, nel tuo e nel mio. E’ mammona  l’assoluta protagonista, ci chiede tutto. Per questo “non possiamo servire due padroni, Dio e il denaro”. O rivoluzioni o Croce, niente compromessi.
“Non possiamo” perché uno dei due padroni è un tiranno feroce, mentre l'Altro ci ha chiamato amici, e si è donato a noi con amore infinito. “Non possiamo servire” chi ci strappa dalla realtà in nome di una ipotetica da costruirci e, contemporaneamente, mettere la nostra vita nelle mani di Chi, con la sua, è entrato nella storia concreta di ogni peccatore.
“Non possiamo” amare il denaro che ci spinge a “pre-occuparci” e, nello stesso tempo, “non affannarci di quello che mangeremo o berremo, di come vestiremo”. Per i beni, infatti, siamo sempre occupati previamente. La chiamiamo previdenza e oculatezza, è solo incredulità.
Ci abbiamo mai pensato? Occupiamo il tempo, le energie, il cuore e la mente per un futuro che non ci appartiene. Eppure viviamo come fosse vero il contrario, arbitri del nostro destino. Se anziani, siamo preoccupati per l’eventuale necessità di un ospizio prima e del funerale più certo poi.
Se giovani, abbiamo messo in un cantuccio il pensiero di sposarci perché poi come faremo ad andare avanti? Se sposati, l’ansia per il denaro ci ha chiusi alla vita; un figlio è più che sufficiente, due poi, di più neanche parlarne. E la settimana bianca, e le scarpe, lo studio, come faremo con uno stipendio da fame e un lavoro a tempo determinato?
Ma la vita, crediamo davvero che ci appartenga? Il futuro, siamo così sicuri di poterlo gestire come fosse il gioco di una consolle? “Chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita?”.
Dovremmo rispondere, con la cultura nella quale siamo immersi, che tutti noi possono aggiungere o togliere un’ora alla propria vita…
La menzogna che sedusse Adamo ed Eva è proprio questa. Oggi si insinua nei Parlamenti che credono di poter decidere perfino della vita e della morte dei bambini. Ma ha sedotto anche noi: “non morireste affatto”. Capito? Altro che Dio e la sua gelosia.
E abbiamo creduto che allungare la mano e mangiare di quell’albero ci avrebbe dato saggezza e potere e che saremmo diventati come Dio… Come accumulare denaro, feticcio di ogni superbia, amuleto per ottenere potere e prestigio, riempire la pancia e saziare gli appetiti.
Il denaro per non morire, insomma, esattamente come abbiamo pensato stamattina: un altro paio di scarpe? Siamo matti? Se continuiamo cosi moriremo di fame…
Ma, invece, ci ritroviamo sempre più poveri e nudi, impauriti e tristi, come Adamo ed Eva; finalmente autodeterminati, come si dice oggi, crediamo orgogliosamente in noi stessi, ma ci ritroviamo soli. Liti e giudizi senza fine, la famiglia sfregiata dall’avarizia, un morbo maligno che si espande e infetta tutti.
L'attaccamento al denaro, infatti, è la radice di tutti i mali. Attraverso di esso il demonio ci manovra a suo piacimento. E chi ama il denaro “odia” Dio: troppo duro Signore… No invece, è la verità. Chiediamoci oggi se per caso non odiamo Dio, pur andando a messa e frequentando la parrocchia, pur impegnandoci per i poveri e lottando contro le ingiustizie.
Vediamo se, per amore al denaro, magari camuffato da parsimonia, non stia per caso crescendo in  noi e attorno a noi l’antagonismo, il rancore e la mormorazione, il giudizio, l’invidia, la gelosia e infine l’odio. Da quanto tempo non parliamo con quel cugino che sospettiamo ci abbia sottratto venti euro?
Chi ama il denaro ha consegnato il cuore a un patrigno, il demonio, e vive seguendone i desideri. Per questo chi serve mammona è un orfano; non ha conosciuto suo Padre, è come se avesse vissuto sempre per strada, costretto a cercarsi il pane, a lottare per conquistarne un tozzo.
E il mondo è pieno di orfani che si affannano e angosciano perché hanno tagliato con il Padre e non sanno che, comunque sia, Egli “sa di cosa hanno bisogno”. Anche di preti e suore, catechisti e cristiani “di poca fede” che si affannano e preoccupano come i “pagani.  
Ma Dio si è fatto carne proprio per i suoi figli dispersi, per ciascuno di noi impigliato nelle maglie della schiavitù al denaro. E viene con questa parte del Discorso della Montagna che ci mostra il cuore del Figlio. Gesù ha odiato mammona perché amava il Padre.
Gesù non ha vissuto un’ora sola per se stesso, ma in ogni istante si è donato senza affannarsi e preoccuparsi; Non aveva dove reclinare il capo perché lo ha deposto sul legno della Croce.
Libero come un “uccello del cielo” non ha lavorato per “ammassare nei granai” ma ha perduto la vita per annunciare il Vangelo. Per questo suo Padre lo ha nutrito di vita eterna.
Come un “giglio del campo” non ha tessuto e filato per vestirsi e farsi bello, ma ha lasciato che, nudo sulla Croce,  il Padre lo rivestisse della sua santità.
Ha sempre “cercato prima il Regno di Dio e la sua Giustizia”, seguendone le orme sino alla morte. Per questo il Padre gli ha “dato in aggiunta” la risurrezione e la vittoria sul peccato, e tutti i beni incorruttibili perché li doni a ogni uomo.
Accogliamo allora oggi questo Vangelo di verità e libertà. Lasciamoci illuminare sul nostro attaccamento ai beni e convertiamoci per vivere in Cristo. Consegniamogli noi stessi e le nostre famiglie, la missione, le parrocchie, le attività, la vecchiaia e la gioventù: “la sua vita in noi vale più del cibo, e il corpo suo tempio vale più del vestito”.  
Il Regno di Dio che abbiamo spesso scambiato con un sofà e una televisione al plasma è invece pienezza, gioia e pace nello Spirito Santo. E’ l’antipasto del Cielo, è già un pezzo di Paradiso qui in terra. Non è lontano, è nascosto nella nostra storia: “cerchiamolo prima” del vestito, del cibo e del denaro, della salute e del lavoro.
I beni arriveranno come e quando Dio vorrà, perché è nel deserto che si impara che l’uomo non vive di solo pane ma di ogni Parola che esce dalla bocca di Dio .  
“Cerchiamolo” e ascoltiamolo allora in ogni evento, soprattutto in quelli che ci fanno paura, nella precarietà e nelle “pene” di oggi. “A ciascun giorno”, infatti, “basta” la Croce dove Cristo si dona a noi senza riserve per colmarci e darci pace alle inquietudini, e dove anche noi potremo donarci.

*
COMMENTO DELLA CONGREGAZIONE PER IL CLERO

«Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato». Con queste parole tante volte sentiamo esprimere la sofferenza di chi, in momenti di particolare fatica, ha smarrito il riferimento al Signore ed avverte il senso di vuoto che la Sua assenza – o la percezione di essa – inevitabilmente genera. Ma quel Dio che ha creato l’uomo per amore e che per il medesimo amore gli si è fatto incontro in maniera unica nel Suo Figlio, Gesù, non ci abbandona mai, o, con un’espressione usata da Papa Francesco (omelia a Santa Marta, 24 febbraio 2014), «mai ci lascia sulla strada da soli». Non sono queste parole consolatorie, ma vuote, quanto piuttosto la “sintesi” di tutta la Sacra Scrittura e della vita della Chiesa: Dio ama l’uomo, di un amore eterno ed instancabile, Dio ama ognuno di noi in questo modo.

A volte tuttavia può accadere che qualcosa ci distragga, che la tentazione riesca a farci credere che Dio non sia davvero presente accanto a noi, come è accaduto anche a Pietro, quando ha cercato di raggiungere Gesù camminando sulle acque (Mt 14, 28-31). Come può succedere? Ad esempio, per dimenticanza; dimenticando chi è Dio per me, chi sono io per Lui. Se indeboliamo la vita di preghiera, se, pur potendo farlo, trascuriamo di accostarci ai sacramenti, se non viviamo un’attenzione concreta ai più poveri ed ai più deboli, allora non ricordiamo più chi è Dio, perché «il credente è fondamentalmente “uno che fa memoria”» (Evangelii gaudium, n. 13). Il medesimo senso di distanza può sorgere, inoltre, se smettiamo di ascoltare, se pretendiamo di tirare Dio dalla nostra parte, di piegarLo al nostro volere, un po’ come se la preghiera fosse il nostro “bancomat”, che subito deve ottenerci ciò che vogliamo, invece di metterci sulla stessa lunghezza d’onda di Dio.

La seconda lettura, quindi, richiama la “virtù” che spesso e volentieri è la condizione perché tutte le virtù possano davvero fiorire in noi e perché Dio possa prendere stabile dimora nella nostra vita, nelle scelte che accompagnano le nostre giornate: la fedeltà. Essa consiste in un’attesa amorosa, piena di una serena gioia, anche nella fatica, fatta di parole e gesti che ci richiamano costantemente alla presenza del Signore. È sempre un utile esercizio spirituale, che può accompagnare il nostro quotidiano esame di coscienza, chiederci se abbiamo vissuto la giornata nell’attesa di Dio, se con le nostre parole e le nostre azioni abbiamo testimoniato che Lo stiamo aspettando.

Un’attesa fedele del futuro, per vivere pienamente il presente. Le parole del Vangelo ci portano a soffermarci sull’oggi, per recuperare una sana lista di priorità. Corriamo, spesso assai più del necessario, come se il mondo dovessimo salvarlo noi e così facendo, contrariamente alle nostre intenzioni, finiamo per trascurare quelle persone e quelle situazioni che in teoria vorremmo curare di più. Ci affanniamo per guadagnare tempo, ma in realtà finiamo per essere dominato noi dalle realtà quotidiane che vorremmo gestire a nostro piacimento. La nostra salvezza, eterna, ma anche presente, non consiste certo nel guadagnare il mondo, ma nel lasciarsi amare da Dio, nel farsi prendere per mano da Lui, che tanto bene sa condurci. Basta pensare a quel prodigio di Dio che è la natura; quando è Lui a guidarLa, tutto funziona armoniosamente, quando l’uomo da amministratore, si fa padrone, la natura soffre, geme e si ribella. La grande forza dell’uomo non è nel dominare, nel sopraffare, ma nell’amare e nel lasciarsi amare. Ci ha ricordato, infatti, Papa Francesco che, «non c’è maggior libertà che quella di lasciarsi portare dallo Spirito, rinunciando a calcolare e a controllare tutto, e permettere che Egli ci illumini, ci guidi, ci orienti, ci spinga dove Lui desidera. Egli sa bene ciò di cui c’è bisogno in ogni epoca e in ogni momento. Questo si chiama essere misteriosamente fecondi!» (Evangelii gaudium, n. 280).

Prendendo a modello Maria Santissima, e per Sua intercessione, chiediamo al Signore che ci aiuti a vivere da sinceri “cercatori” del Suo Regno, che è già presente in mezzo a noi ed attende che lo rendiamo presente nella nostra vita, perché ogni nostra giornata sia un piccolo, deciso passo verso l’eterno amore del Padre.

 *

Provvidenza: la tenerezza dell'Amore

Lectio Divina per la VIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)


Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture liturgiche per la VIII domenica del Tempo Ordinario (Anno A).
Come di consueto, il presule offre anche una lettura patristica.
***
LECTIO DIVINA         
            1) La fede[1]sconfigge la preoccupazione[2]
            La liturgia di questa domenica ci propone come prima lettura un brano del profeta Isaia che ci assicura che Dio non ci dimentica mai e come Vangelo un brano del Discorso della Montagna, in cui Gesù invita a non confidare nella ricchezza chiamata mammona[3], ma in Dio provvidente, che ha cura del creato e della creatura per eccellenza: l’uomo.
 
       Il rischio evidente che Gesù denuncia è quello di confidare nella forza del denaro per garantirsi la vita, magari tenendo il piede in due scarpe. Questo atteggiamento denota di una vita ambigua, condotta senza la piena adesione a Dio e priva di un'incondizionata dedizione al suo servizio, che è per la vita senza fine, mentre il servizio alle cose materiali è una risposta finita al nostro desiderio di infinito.
E’ significativo che Gesù presenti l'alternativa tra Dio e la ricchezza con il termine servire. In effetti se non ci serviamo del denaro in modo intelligente ed evangelico, c’è il rischio serio e sicuro di diventare servi del denaro, preoccupati solo di accumularlo e immiserendo per questo motivo i nostri rapporti personali, compreso quello con Dio.

Abbiamo in questo versetto (Mt 6, 24) una variazione sul tema della beatitudine dei poveri (cfr Mt 5,3) che il testo che segue declina in un modo nuovo, nella linea della fiducia nella provvidenza di Dio. Infatti in Mt 6. 26 e ss, Gesù descrive il giardino del mondo e ci invita a guardare al mondo con occhi di fede. Con la fede si vede in azione la sollecitudine del Padre per ogni cosa: Egli ha cura di tutto anche dei gigli del campo e degli uccelli del cielo e, ancora di più, è provvidente verso gli uomini, figli amati, fatti a sua immagine.
            Dunque, la fede, vale a dire l'intelligenza umana riempita da un Altro (al quale ci si abbandona liberamente, volontariamente ed intelligentemente), è la condizione per capire e vivere il Vangelo di oggi. Da un punto di vista puramente terreno alla domanda: “E’ vero che gli uccelli del cielo sono nutriti dal padre celeste (Mt 5,26)?” la risposta è “No”, perché anche loro devono faticare e volare per trovare erbe e insetti per nutrirsi. Come, materialmente parlando, non è vero che i gigli del campo non lavorano, perché dentro la pianta c'è un lavorio enorme. 
Anche il mangiare e bere non pare che ci siano dati in aggiunta, perché il cibo e l'acqua non cadono dal cielo. 

            Da un punto di vista materiale tutto dipende da noi. In effetti se non ci si dà da fare, non si mangia e non si beve. 
Ma dal punto di vista della fede, tutto dipende da Dio: “Gli uccelli sono nutriti dal Padre celeste”? “Certo”. E i gigli sono vestiti meglio di Salomone? Certamente (cfr. Mt 5, 28.31-33).
            Eppure, nonostante i tanti segni della provvidenza amorosa del Padre, l'uomo spesso viene meno nella fiducia in Dio e non si abbandona al Suo amore. Come ci ricorda la Scrittura, fin dall'inizio del tempo, l'uomo sceglie di fare piuttosto la sua volontà staccandosi così dall'Autore Eterno. Creato con una scintilla di divino nel suo spirito profondo, promessa di vita eterna, l'uomo nella sua libertà ha davanti a sè la scelta: “La vita o la morte, a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà” (Sir 15,17).
            2) La Provvidenza è tenerezza.
            Saggezza vorrebbe che noi scegliessimo Dio confidando nella sua Provvidenza. Ma a questo proposito dobbiamo ricordare che Dio è davvero Provvidenza[4], ma non nel senso che comunemente si dà a questa parola. E’ troppo poco e quasi offensivo ridurre il Suo rapporto con noi alla sola provvidenza ridotta a “previdenza sociale”. Egli si è impegnato con noi fino alla morte e come dice Gesù non vi è amore più grande che dare la vita per i propri amici. Come possiamo dubitare di questo Amore? Siamo il termine ultimo dell'amore di Dio; Egli nasce, vive e muore per noi, Dio non ci dona solo le cose di cui abbiamo bisogno, ma ci dà Se stesso. Deve essere la nostra massima aspirazione e gioia fare quello che ci chiede.
            Se crediamo veramente, non dovremmo essere tristi, perché la tristezza è negazione della fede. Lasciamoci portare da Dio e quello che avverrà in modo non preordinato dalla nostra volontà sarà sicuramente disposto da Colui, che conosce le nostre capacità e agisce per il nostro bene.
            A Lui, Sole eterno e luminoso della nostra vita, volgiamoci costantemente come i girasoli lo fanno verso il sole che illumina e dà vita alla terra.
            Ogni fiume si dirige necessariamente verso il mare, dove trova il suo sbocco naturale, unendosi e perdendosi in questo. Così avviene per ogni uomo nel mare della misericordia di Dio, la cui provvidenza è come l’alveo in cui il fiume della nostra vita scorre.
            Dio è provvidente con la sua Presenza, Lui è il Principio che sostiene ogni essere, da Lui plasmato, nel suo esistere e nel suo agire. La sua Sapienza e la sua Provvidenza governano ogni creatura.  L’uomo, però, per scoprire e percepire tale Presenza, deve usare i doni che Dio gli ha dato: l’intelligenza, la volontà e la coscienza, e aprirsi al suo mistero di Amore, nell’umiltà e nella sincerità del cuore. Soltanto se l’uomo riconosce Dio come principio del proprio essere, incontra in Lui la verità luminosa: Il salmo lo esprime molto bene: “E’ in te la sorgente della vita, alla tua luce noi vediamo la luce”. (Sal. 36,10).
            Dio è provvidente con la sua tenerezza. Il nostro Padre celeste sa di che cosa abbiamo bisogno (cfr Mt 6.,32) e si prende cura di noi teneramente. Non preoccupiamoci di che cosa mangeremo, berremo o indosseremo. Non dobbiamo aver cura di noi, dobbiamo lasciare che di noi abbia cura il Signore.
            La nostra sola preoccupazione sia il Regno di Dio e la sua giustizia e tutto il resto ci sarà dato in sovrappiù (cfr Mt 6, 33). 
Un'ansia eccessiva per le piccole o grandi necessità quotidiane offusca l'interesse e il ricordo per lo scopo, il fine della vita e toglie senso all’esistenza, può perfino annullare il nostro rapporto con Dio, che teneramente ci chiama.
            Il cuore del cristianesimo è la croce e la risurrezione di Cristo, vertice della tenerezza della Trinità e rivelazione della tenerezza di Dio all’uomo. Grazie a Cristo, il cui cuore è stato aperto da una lancia, possiamo dire che siamo nel cuore di Dio.  Un cuore accogliente, capace di compassione, di benevolenza infinita e di amore davvero gratuito.
            Per essere fedele al Vangelo e al Comandamento nuovo, la Chiesa deve presentarsi al mondo come il “sacramento della tenerezza di Dio”, di un Dio di bontà e di grazia e non di punizione e paura.    La teologia della tenerezza deve diventare la pratica della tenerezza e questo mette in discussione e in crisi tutto un modo superficiale e mediocre di essere cristiani, un modo di vivere senza slancio ed entusiasmo. Senza il Vangelo della tenerezza non si può vivere pienamente il vangelo dell’amore, che è Cristo in persona, e non si è capaci di portare agli uomini il lieto annunzio della grazia.
            Il Dio di Gesù Cristo chiede a tutti noi di farci evangelizzatori della sua tenerezza, facendo la rivoluzione della tenerezza (Papa Francesco, Es. Ap. Post-sin. Evangelii gaudium, n. 88). Solo in Cristo l’uomo ha la possibilità di vincere la tentazione dell’orgoglio e realizzare il senso della tenerezza come evento di grazia per sé, per la Chiesa e per l’umanità.
            In modo particolare sono chiamate a questa tenerezza le Vergini consacrate, che si donano interamente a Cristo non rimuovendo o annullando gli affetti umani, ma radicandoli nel cuore di cristo. La verginità consacrata è la ragione di una tenerezza vera e casta e segno della carità di Dio: “Nella verginità liberamente scelta la donna conferma se stessa come persona, ossia come essere che il Creatore sin dall'inizio ha voluto per se stesso(41), e contemporaneamente realizza il valore personale della propria femminilità, diventando «un dono sincero» per Dio che si è rivelato in Cristo, un dono per Cristo Redentore dell'uomo e Sposo delle anime: un dono «sponsale». Non si può comprendere rettamente la verginità, la consacrazione della donna nella verginità, senza far ricorso all'amore sponsale: è, infatti, in un simile amore che la persona diventa un dono per l'altro” (Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem, n. 20.
LETTURA PATRISTICA
San Giovanni Crisostomo
In Epist. I ad Timoth. 3
1. Possesso e uso delle ricchezze 
       Disprezza le ricchezze, se vuoi possedere le ricchezze; sii povero, se vuoi essere ricco. Tali sono infatti gli inattesi beni di Dio, egli vuole che non per tuo studio, bensì per sua grazia, tu diventi ricco. Lascia a me - egli dice - codeste cose: tu cura le cose dello spirito, per apprendere la mia potenza: fuggi dal giogo e dalla schiavitù delle ricchezze. Fintanto che le tratterrai in tal modo, sarai povero: allorché invece le disprezzerai, sarai doppiamente ricco; e perché ti perverranno da ogni dove, e perché nulla ti mancherà di quanto invece sono carenti i più. Non è infatti il possedere a dismisura che fa ricco, bensì il non mancare di troppe cose. Perciò, quando c’è l’indigenza, il re in nulla differisce dal povero: la povertà infatti è questo aver bisogno degli altri: proprio per questa ragione il re sia povero, poiché necessita del servizio dei sudditi. Non così per chi è stato crocifisso: di nessuno ha bisogno; al vinto sono sufficienti le proprie mani: "Alle mie necessità, infatti" - egli dice -, "ed a quelle di coloro che sono con me, hanno provveduto queste mie mani" (Ac 20,34). Queste cose dice chi, altrove, afferma: "Quasi come chi non ha nulla, e tutto possiede" (2Co 6,10); proprio lui che a Listra ritenevano che fosse un dio. Se vuoi conseguire le cose del mondo, cerca il cielo se vuoi fruire delle cose presenti, disprezzale: senza equivoci, infatti, dice [Gesù]: "Cercate prima di tutto il regno di Dio, e tutto il resto vi sarà dato in aggiunta" (Mt 6,33). Perché ti soffermi sulle piccole cose? Perché resti a bocca aperta davanti a cose di nessun valore? Fino a quando sarai povero e mendico? Guarda il cielo pensa alle ricchezze di lassù: fatti beffe dell’oro, apprendi quale sia il suo vero uso. Nella vita presente - che scorre come rena -, fruiamo soltanto di esso, perciò quasi goccia in paragone all’immensità dell’abisso, di tanto si differenziano le cose presenti in raffronto alle future. Qui non si tratta di possesso, ma di uso, e non neppure possesso in senso proprio: Come mai, infatti, al momento del tuo estremo respiro, che tu lo voglia o no, altri ricevono tutto, e questi a loro volta danno ad altri, che poi daranno ad altri ancora? Tutti in effetti siamo di passaggio, e il padrone di casa è necessariamente più privilegiato del servo: spesso peraltro, morto quegli, il servo rimane, e si gode la casa molto più a lungo di lui. Ma se questi con mercede, anche quello in precedenza con mercede: costruì infatti, mettendo pietra su pietra con grande fatica e impegno. Solo al Verbo appartengono i domini: infatti nella verità della cosa tutti siamo padroni degli altri. Sono nostre solo quelle cose che abbiamo mandato lassù innanzi a noi: quelle che sono quaggiù, non sono nostre bensì dei viventi; anzi ci lasciano quando siamo ancora vivi. Sono nostre soltanto quelle cose che sono opere d’un’anima nobile quale l’elemosina, la benignità. 
       Queste cose son dette esterne anche tra gli stranieri: infatti sono fuori di noi. Dunque facciamo in modo che stiano dentro. Non possiamo infatti partire da qui portandoci dietro le ricchezze, però possiamo emigrare portando con noi l’elemosina: anzi, a dire il vero, la mandiamo innanzi, per prepararci un abitacolo nella dimora eterna. 
2. La fede nella Provvidenza 
       Come la retta educazione dell’individuo così anche quella del genere umano, per quanto riguarda il popolo di Dio, progredì attraverso traguardi di tempi, in analogia allo sviluppo delle età, affinché si formasse dalle cose divenienti all’apprendimento delle cose eterne e dalle visibili a quello delle invisibili. Quindi anche in quel tempo in cui da Dio si promettevano ricompense visibili, si inculcava che si deve adorare un solo Dio. Così l’intelligenza umana, anche per quanto riguarda gli stessi beni terreni della vita che fugge, si doveva sottomettere soltanto al vero Creatore e Signore dell’anima. È irragionevole infatti chi nega che tutte le cose, che gli angeli e gli uomini possano concedere agli uomini, sono in potere di un solo Onnipotente. Il platonico Plotino ammette senza esitazione la provvidenza e dimostra dalla bellezza dei fiori e delle piante che essa dal sommo Dio, che ha bellezza ineffabilmente intelligibile, giunge fino alle cose più basse della terra. Dichiara che tutte queste cose spregevoli ed estremamente precarie possono avere i gradi convenienti delle proprie forme soltanto se le ricevono dall’essere in cui permane la forma intelligibile e non diveniente che ha in atto la totalità dell’essere. Gesù lo dichiara con le parole: "Osservate i gigli del campo, non lavorano e non tessono. Ma io vi dico che neanche Salomone in tutta la sua gloria vestiva come uno di loro. Se dunque Dio veste così un’erba del campo che oggi è e domani si getta nel braciere, quanto più voi, uomini di poca fede?" (Mt 6,28-29). Giustamente quindi l’anima ancora legata ai terreni desideri si abitua ad attendere soltanto dall’unico Dio i beni infiniti della terra che desidera nel tempo, perch‚ indispensabili alla vita che fugge, ma spregevoli al confronto con i beni della vita eterna. Così, pur nel desiderio dei beni terreni, non si allontana dal culto a lui che deve raggiungere disprezzandoli e volgendosi in senso contrario ad essi.
*
NOTE
[1] 
 “La fede è fondamento - cioè certezza - delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono” (Eb 11,1). Fede vuol dire che la vita è più di quello che si vede. Fede è riconoscere una Presenza e il cristiano è colui che vive o, almeno, tende a vivere i rapporti alla luce della fede, cioè con la coscienza di questa Presenza.
[2] Il concetto di preoccupazione. Il termine greco “merimnao” (preoccuparsi, affannarsi, darsi preoccupazione, angustiarsi) ricorre ben quattro volte (Mt 5,25.31.34 (due volte)). Ma il concetto di preoccupazione degli antichi e della Bibbia non è il nostro. 
Noi ci preoccupiamo perché nostro figlio è in ritardo di mezz'ora: poi arriva e la preoccupazione se ne va via. Ci preoccupiamo per l'esame o perché abbiamo degli ospiti e vogliamo fare bella figura, ecc. La preoccupazione riguarda un aspetto della nostra vita. 
Ma quando il Vangelo parla di preoccupazione non intende una parte, un aspetto, ma la totalità. Preoccupazione è qualcosa a cui si pensa sempre, che prende tutto il nostro pensiero e che assorbe tutto il resto. 
Il testo parallelo di Lc 12,22-31, infatti, è proprio preceduto da un uomo che è tutto preoccupato (cioè pensa solo a quello, è sempre lì, è tutto focalizzato lì) dai suoi raccolti “troppo” abbondanti, per cui pensa a come fare e a dove mettere i suoi raccolti. Ma vivere così fa morire (cf Lc 12,20) perché esiste solo quello e nient'altro.
[3] La radice del termine ebraico “mammonà” è “‘mn” da prendere nel senso di “ciò in cui si ripone la propria fiducia”, si capisce quindi perché Gesù ammonisca i suoi ascoltatori: se l'uomo ripone la sua fiducia, la sua fede nella ricchezza, Dio per lui non significa più nulla.

[4] In sé Provvidenza significa il mistero del cuore di Cristo. Ma il linguaggio cristiano, le parole che contengono il mistero, le energie, le gioie e gli interessi di quell’esistenza, nel corso del tempo, specialmente degli ultimi tre secoli (1700 – 1900), hanno avuto una sorte sfortunata. L’esistenza cristiana è scivolata nella mondanità e ne ha assunto insieme le parole. Ora s’aggirano dappertutto nel nostro linguaggio quotidiano termini che derivano dall’ambito sacro della fede e dell’amore cristiani, ma non hanno più in sé molto della loro origine. Più volte un residuo, una vibrazione, un’aura – per il resto sono divenuti mondani, secolari. Così è accaduto anche alla sacra parola “Provvidenza”, che si è secolarizzata in “previdenza”.