martedì 18 marzo 2014

Tutte le sorprese di Francesco



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Parla il portavoce dell’arcivescovo Bergoglio. «C’è il festeggiato?»

(Angel Sastre) Guillermo Marcó è stato per otto anni il portavoce e il braccio destro di Jorge Mario Bergoglio, quando quest’ultimo era arcivescovo della diocesi di Buenos Aires. L’attuale direttore della pastorale universitaria dell’arcivescovado della capitale argentina ha ben chiaro che la traversata intrapresa da Papa Francesco in Vaticano segue la direzione fissata in Argentina. 
Quando è stata l’ultima volta che ha visto Papa Francesco?
Ci ha ricevuti lo scorso 27 febbraio. Poi, nella residenza di Santa Marta, siamo stati da soli per un’ora; eravamo appena ritornati da un viaggio per preparare il suo viaggio in Terra Santa. Eravamo una delegazione di 45 persone, composta da 15 ebrei, 15 musulmani e 15 cattolici.
Abbiamo visitato gli stessi luoghi in cui si recherà lui: Betlemme, Gerusalemme e la Giordania. Abbiamo incontrato il presidente israeliano, Shimon Peres, e le autorità palestinesi. Già a Buenos Aires ci preoccupavamo di conoscere gente di altre religioni. Per questo ci riunivamo con personalità del centro islamico, ma anche con la delegazione delle associazioni israelitiche argentine. L’obiettivo di Bergoglio era quello di realizzare azioni congiunte, e non tanto discutere di teologia. Papa Francesco sa bene che le relazioni s’impantanano se si discute di politica o di teologia, e avanzano se si parla dal cuore. Sarà questa la sua premessa per il viaggio in Terra Santa.
Ci racconti qualcosa del suo incontro personale con lui.
È felice. Non riesce a credere a quanto sta facendo. È vero che è sorpreso dalle ripercussioni che ha ogni sua azione, per quanto comune, come per esempio salire sull’aereo con una ventiquattrore, cose che vengono poi riportate in tutto il mondo. E, anche se non lo dice, so che ha nostalgia della libertà e vorrebbe parlare di più con sua sorella; in fin dei conti lui continua a essere la stessa persona. Quando esci, lui ti aspetta sulla porta; cerca una borsa per darmi le cose, mi accompagna. È prima di tutto una persona affettuosa. La differenza è che prima camminavo tranquillamente fino a San Pietro per vederlo e ora devo passare tre controlli di polizia per arrivare da lui.
Com’è la giornata di Papa Francesco?
Si sveglia alle quattro e mezza del mattino, si prepara, prega fino alle sette a Santa Marta e poi celebra la messa. Quindi fa colazione e riceve in udienza nel Palazzo Apostolico fino a mezzogiorno. Il pomeriggio lo passa a Santa Marta, fino alle nove, quando va a dormire. Santa Marta è una residenza costruita originariamente perché i cardinali potessero stare comodi durante il conclave. Francesco vive lì con i suoi segretari. Nella sua stanza ci sono uno studio e un bagno. Non usa il computer, ma solo una macchina da scrivere. Commenta scherzosamente che gli argentini gli hanno fatto una specie di corralito [accerchiamento] perché non smettono di chiedergli udienza. Mi risulta che in Vaticano sono sorpresi dalla sua capacità di lavoro. Ricordo una frase che mi ha detto prima che andassi via: «Non ho mai perso la pace».
Quest’anno quali cambiamenti si susseguiranno? Quale crede che sarà la priorità del Santo Padre?
Sta insistendo molto sul tema della misericordia, che in effetti è nel suo stemma episcopale. Non intende cambiare la dottrina, è un uomo conservatore, ma cambierà i modi di avvicinarsi a un problema. La condanna di per sé non serve, bisogna avvicinarsi alla gente senza essere troppo rigidi né permissivi.
Le ha rivelato di aver percepito una certa reticenza da parte di alcuni settori verso i cambiamenti intrapresi?
Il Papa è il massimo potere all’interno della Chiesa, è una persona che ha autorità e sa come imporla. In effetti, ciò che sta facendo ora lo ha già fatto durante il suo passaggio nell’arcivescovado di Buenos Aires. Iniziative come il fare verifiche contabili attraverso compagnie straniere o il centralizzare l’economia. Per esempio, quando ha nominato i nuovi cardinali, ha detto loro di ricordarsi che non erano principi, ma servitori. Essere cardinale non è un privilegio, ma un impegno maggiore, con una maggiore responsabilità e lavoro. Io ero con lui quando lo hanno fatto cardinale. C’erano grandi delegazioni che giungevano con un grande seguito. E poi le feste, che erano maestose. Ma questo Papa sta segnando la fine della corte pontificia.
Mi hanno detto che Francesco le ha telefonato il giorno del suo compleanno.
Sì, Jorge Bergoglio mi chiamava ogni anno per il mio compleanno. E alle 11.30 dello scorso 29 gennaio è squillato il cellulare, ed è apparso un numero sconosciuto. Ho risposto e con la sua inconfondibile voce mi ha detto: «C’è il festeggiato?». Io sono rimasto sorpreso e gli ho detto: «Jorge!». 


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Incontro della Pontificia Commissione per l’America latina nel primo anniversario di pontificato. 

Tre parole chiave per leggere il primo anno di pontificato di Francesco: poveri, famiglie, giovani. Le ha suggerite il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per vescovi, aprendo martedì pomeriggio, 18 marzo, all’auditorium romano San Pio X, la conferenza promossa dalla Pontificia Commissione per l’America latina (Cal) in segno di «omaggio e impegno» verso il Pontefice argentino in occasione dell’anniversario dell’elezione.

Durante l’incontro il porporato, che è anche presidente della Cal, ha ripercorso «la testimonianza e il magistero» del vescovo di Roma con particolare riferimento all’esortazione apostolica Evangelii gaudium. Riflettendo su quella che ha indicato come prima priorità del pontificato, i poveri, ha fatto notare che «l’ampiezza» del progetto del Papa ha «di che stupire e nello stesso tempo inquietare certi ambienti, che l’hanno accusato di marxismo». In realtà, con la sua visione della Chiesa come «ospedale da campo» che «cura i feriti sparsi a terra dopo un’aspra battaglia», il Pontefice «è guidato dalla convinzione che solo il Cristo salvatore risponde veramente alle sfide della povertà e dell’ingiustizia».
Quanto alla seconda priorità, la famiglia, il cardinale ha rilevato che anche in questo caso la riflessione messa in moto in vista del Sinodo dei vescovi «solleva delle controversie e crea delle attese», a rischio forse «di qualche delusione». Ma «ne vale la pena — ha aggiunto — dal momento che occorre riprendere la presentazione completa dell’antropologia biblica e teologica per dare risposta sul lungo termine alle sfide attuali dell’evangelizzazione». Per questo, ha detto, «sono fiducioso che con la sua capacità d’ascolto, di decisione e di rinnovamento, Papa Francesco saprà discernere i mezzi adeguati per rilanciare non solo la pastorale della famiglia, ma l’intera pastorale della Chiesa».
La terza priorità evidenziata dal porporato è quella dei giovani, che oggi, ha osservato, «abitano un nuovo mondo, il continente digitale, di cui loro sono originari poiché conoscono e utilizzano spontaneamente le tecnologie di comunicazione». Un continente nel quale, ha ammesso, «le persone della mia generazione si sentono piuttosto come degli immigrati o dei profughi». Eppure Papa Francesco si è rapidamente ambientato in questo nuovo mondo, e «la sua rete di followers diventa a sua volta trasmettitrice e moltiplicatrice del suo messaggio evangelico». Infatti, il Pontefice ha la capacità di adattare «il proprio linguaggio alla cultura virtuale dei giovani, pur testimoniando senza ambiguità che Gesù non è un’idea, un sogno o un idolo virtuale ma invece una persona reale con cui si può vivere un’amicizia che cambia la vita».
Facendo riferimento alla Evangelii gaudium, il prefetto del dicastero per i vescovi ha poi invitato a riflettere sul fatto che Papa Francesco «coniuga due visioni in apparenza opposte ma che in effetti sono complementari». Da un lato «l’idea conciliare di popolo di Dio, che egli riprende in tutta la sua densità storica e misterica: un popolo in cammino nella storia sotto la spinta dello Spirito»; dall’altro, l’immagine della «nostra santa madre Chiesa, gerarchica e mariana, che differenzia e personalizza i membri di questo popolo di Dio, senza stabilire tra loro una differenza in dignità». Richiamando le parole del Papa, il porporato ha ricordato che «di fatto, una donna, Maria, è più importante dei vescovi», e anche quando la funzione del sacerdozio ministeriale si considera “gerarchica”, occorre tener presente che «è ordinata totalmente alla santità delle membra di Cristo».
In effetti, ha sottolineato, questa ecclesiologia comporta delle conseguenze spirituali e missionarie. «Essa — ha detto — impegna a servire in spirito di umiltà, di misericordia e di compassione. Decentra da se stessi tutti i battezzati in virtù proprio della loro dignità di figli di Dio e li invia a condividere con l’umanità intera la gioia del Vangelo di salvezza». Questo appello alla missione rivolto da Papa Francesco a tutta la Chiesa non può lasciarci indifferenti. «Tutte le sorprese — ha detto — che ci ha riservato nel corso del suo primo anno di pontificato avevano come scopo di risvegliare tutta la Chiesa alla missione».
Di questa nel contesto particolare dell’America latina ha poi parlato Guzmán Carriquiry, segretario della Pontificia Commissione, il quale ha evidenziato come l’elezione di Papa Francesco interpelli in maniera diretta le comunità del continente americano. Come già faceva il documento di Aparecida, così Papa Francesco chiama i fedeli a essere «buoni samaritani», a chinarsi sugli esclusi, su quanti vivono nell’emarginazione, nella schiavitù, e sono vittime «degli idoli del denaro, del potere, del piacere effimero». Li chiama a essere protagonisti della carità politica e lavorare in collaborazione con tutti gli uomini di buona volontà «per la trasformazione delle strutture socio-economiche, delle attività politiche e delle legislazioni che attentino contro la dignità umana, e per il bene comune della società».
C’è una dimensione sociale e politica del Vangelo, ha detto, che esige impegni «intelligenti e coraggiosi». Molte sono le sfide che attendono i cristiani latinoamericani. Tra queste, il segretario della Cal ha elencato «una rivoluzione educativa e un investimento nel capitale umano, una ricostruzione del tessuto familiare e sociale, una seria politica di infrastrutture materiali, energetiche e finanziarie»; ma anche «un investimento di forti valori aggiunti alle nostre ricchezze naturali» e «uno sviluppo economico con equità per una maggiore distribuzione di introiti e benefici». Senza dimenticare «una lotta contro la povertà che non si riduca ad assistenzialismo» e «una pacifica convivenza che sia muro contro la violenza», soprattutto quella legata al narcotraffico e alla diffusione delle droghe. Occorre in sostanza «un cammino verso una maggiore maturità democratica» per compiere «un salto qualitativo nei processi di integrazione» tra Paesi e popoli sudamericani.
L'Osservatore Romano

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“il foglio” - Rassegna "Fine settimana" 
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