martedì 25 marzo 2014

Presentazione del tema del XII Convegno Liturgico internazionale


XII Convegno liturgico internazionale

LITURGIA E COSMO


FONDAMENTI COSMOLOGICI
DELL'ARCHITETTURA LITURGICA

Monastero di Bose
29 30 31 maggio 2014
Organizzato dal Monastero di Bose
in collaborazione con l'Ufficio Nazionale per i Beni Culturali

Ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana

PROGRAMMA DEL CONVEGNO

PRESENTAZIONE DEL TEMA

Organizzato dal Monastero di Bose e dall’Ufficio Nazionale per i Beni Culturali Ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana, il XII Convegno Liturgico Internazionale di Bose sarà consacrato al tema: Liturgia e cosmo e allo studio dei fondamenti cosmologici dell’architettura liturgica. Il rapporto tra l’edificio-chiesa e la creazione, infatti, non può limitarsi alla pur decisiva problematica dell’ecosostenibilità ma domanda un approfondimento delle ragioni teologiche e antropologiche. Si avvia un trittico che porterà le due prossime edizioni ad affrontare il tema della luce nello spazio liturgico e successivamente il tema della voce e del suono.

Naturalizzazione e umanizzazione reciproca
tra uomo e cosmo

Un nuovo e diverso rapporto tra l’uomo e il cosmo è la domanda che proviene dall’attuale sensibilità ecologica. Non è infatti possibile pensare l’umano senza radicarlo nei grandi flussi della vita e, più globalmente, in relazione all’intero universo. In effetti, “l’uomo e la natura possono essere introdotti in un movimento di naturalizzazione, di umanizzazione reciproca se si abbandona l’idea di un unico centro” (J. Moltmann).
Rinnovare il legame tra l’umano e la natura necessita anche di una dimensione spirituale e non solo biologica e scientifica. La crisi ecologica invita a cambiare il paradigma: l’antropocentrismo della modernità ha condotto l’umanità e la terra ai limiti del sostenibile. In un movimento di regressione verso il caos il pianeta è sfigurato perché la moderna umanità occidentale manca di una “cosmologia vivente”, in altre parole di una rappresentazione del mondo che integri scienza, religione e arte, cioè sapere, spiritualità ed estetica.
È più che mai necessario passare da una visione frantumata di un cosmo in preda al potere dell’uomo alla visione totale indicata al contempo dalle nuove teorie scientifiche e dalle tradizioni filosofiche e religiose.
Molte correnti ecologiche ricercano una sorta di “comunione” con la terra e, attraverso di essa, con il cosmo intero, mettendosi spesso alla scuola della sapienza tradizionale dei popoli e delle religioni. Tra quest’ultime il cristianesimo occidentale è spesso accusato di essere all’origine della modernità tecnoscientifica. “Nella pietà popolare e in molti scritti di teologia, la fede cristiana appare, se non ostile, perlomeno estranea a una considerazione positiva della natura” (John McCarthy).
In questo orizzonte, ritrovare la dimensione cosmica della fede cristiana appare urgente e per fare questo occorre vedere con chiarezza gli effetti quantomeno problematici della riduzione antropologica del messaggio cristiano operato dal cristianesimo occidentale. Una riduzione antropologica che è giunta a segnare in profondità anche la comprensione teoretica della liturgia e la sua stessa esperienza e, di conseguenza, non ha risparmiato neppure l’architettura liturgica anch’essa sostanzialmente antropocentrica.

  La liturgia cristiana nel circolo cosmico

La millenaria tradizione liturgica mostra chiaramente che la fede creduta e celebrata nella Chiesa è attraversata da un legame inestricabile che unisce Dio, l’uomo e il cosmo: “Il circolo cosmico e quello storico rimangono, malgrado la loro differenza, in definitiva l’unico circolo dell’essere: la liturgia storica del Cristianesimo è e resta – inseparabilmente e inconfondibilmente – cosmica, e solo così essa sussiste in tutta la sua grandezza” (J. Ratzinger).
 Teo-logia, antropo-logia e cosmo-logia si danno, quindi, in un’unità sinfonica e trovano espressione nell’”urgia”, nell’azione liturgica, che abita il tempo e lo spazio, e che dà forma, voce, suono e gesto alla materia del creato: “È cosa degna e giusta lodare te, benedire te, glorificare te, rendere grazie a te creatore di tutta la creazione visibile e invisibile, Dio e Signore di tutte le cose, al quale inneggiano i cieli e i cieli dei cieli e tutte le loro potenze, il sole e la luna e tutto il coro delle stelle, la terra, il mare e ogni cosa in essi, la Gerusalemme celeste, l’assemblea degli eletti, chiesa dei primogeniti iscritti nei cieli, le anime di martiri e apostoli, angeli, arcangeli, con voci incessanti, con lodi divine …” (Anafora di san Giacomo).
Il “fare” dell’uomo, la “poetica” dell’architettura, sono allora un agire responsoriale della creatività umana, in risposta e risonanza all’operare del Creatore che, nell’esamerone, ha fatto del cháos informe unkósmos plasmato “per mezzo del Cristo e in vista di lui” (Col 1,16). Fra natura e cultura, fra tecnica e ispirazione, fra hýbris della torre di Babele e l’umiltà della Tenda dell’Incontro, fra iniziativa umana e ordine divino, fra spazio e tempo, il costruire si rivela così opera “dialogica”: dialogo tra l’eterna Sapienza e gli abitatori del tempo, tra l’uomo creato e il cosmo; dialogo silenzioso, sine voce, tra le fibre stesse degli elementi cosmici; tra resistenza e resa della materia chiamata a divenire diafania, alla ricerca di un luogo per Dio e per l’uomo.
Progettare e costruire appaiono dunque il prototipo di quell’agire umano che ponga, quale chiave di volta dell’intero edificio, il Cristo Cosmocratore e Pantocratore che, quando furono disposte le fondamenta della terra, stava con il Padre come architetto, dilettandosi sul globo terrestre (cf. Pr 8,29-31).
  Architettura e cosmo
E mentre la Chiesa in preghiera assume e trasfigura il cosmo nell’azione liturgica, l’architettura, le arti e le scienze vengono interpellate non solo a proposito delle trasformazioni da esse operate sul creato, ma anche sui propri statuti disciplinari. Il senso del fare architettonico– prima ancora che le singole architetture, o le architetture per il culto in particolare – interroga la cultura dell’artefice, chiamato ad individuare le radici profonde del proprio agire: i materiali, le forme, le relazioni, gli orientamenti e ogni aspetto del costruire implicano un riferimento a sorgenti “altre”, possedute solo in modo limitato e temporaneo dal costruttore, per quanto avveduto e previdente sia (cf. Lc 14,28). Nella storia della cultura architettonica, diverse tensioni hanno attraversato il rapporto tra costruzione e contesti, considerati nella dialettica bipolare tra natura e antropizzazione.
Il paesaggio è diventato il quadro, polisemico e interdisciplinare, in cui le culture dialogano con le espressioni formali della natura, mentre il riferimento all’ambiente o all’ecologia sottintende un’attenzione alle componenti fisiche della natura stessa: quale spazio è però lasciato alla ricerca di senso sulla natura intesa come cosmo, o come creatura? Tale orizzonte intercetta, in qualche modo, l’agire architettonico, o ne costituisce semplicemente un presupposto remoto, affidato alla cultura dell’artefice? La riapertura di tale orizzonte cosmico può assumere valenze compositive, o si traduce solo in istanze etiche?
Non si può infatti negare che l’attenzione alle risorse sia diventato un tema condiviso e sempre più transculturale: ma, dietro alle doverose istanze di risparmio e sostenibilità, o di rispetto dell’autenticità dei materiali e delle strutture, riusciamo ad individuare percorsi più profondi, che sappiano mettere in dialogo questioni etiche e scelte formali? La sostenibilità è un termine su cui si sono certamente fondate prassi tecnico-operative efficaci, meno certamente etiche condivise, ma probabilmente assai pochi orizzonti di senso, di poetica o di ricerca formale.
Le Chiese, negli ultimi decenni, hanno esplorato itinerari di ricerca volti a mettere in dialogo teologie del creato, etiche della sostenibilità e prassi costruttive. Alcune ricadute della riflessione teologica sono state anche orientate verso l’agire architettonico delle Chiese stesse: se è ormai assodato che la coerenza etica deve innervare la realizzazione di nuovi edifici di culto e il recupero dell’architettura ecclesiale storica, pare ancora ampio il margine per orientare tale attenzione verso una ricerca poetica.
La cura del creato e la cura delle comunità sono dunque poste di fronte a una duplice sfida: rendere l’architettura per il culto non solo sobria, sostenibile e rispettosa dell’ambiente e del paesaggio, ma significante in un orizzonte di senso in cui l’estetica liturgica sappia arricchirsi con una ritrovata estetica cosmica.

Il Comitato scientifico
Enzo Bianchi (Bose), Stefano Russo (Roma),
Emanuele Borsotti (Bose), Goffredo Boselli (Bose),
François Cassingena-Trévedy (Paris),
Albert Gerhards (Bonn), Angelo Lameri (Roma),
Andrea Longhi (Torino), Keith Pecklers (New York - Roma).