mercoledì 26 marzo 2014

La “vera” politica di Bergoglio ignorata dai partiti


Dal Pd a Ncd, da Fi al M5s, le forze politiche sembrano incapaci di misurarsi con il papa argentino

Il Papa sta facendo politica a 365 gradi, all’interno della Chiesa e fuori dai suoi confini. E non solo, come c’era da attendersi, rispetto alle gravi crisi internazionali in atto, ma anche in riferimento alla situazione italiana. Anzi, è forse nel nostro Paese che Francesco ha lasciato il segno più forte in questo senso. Tanto che giovedì prossimo centinaia di parlamentari la mattina di buon’ora assisteranno alla messa celebrata da papa Bergoglio nella basilica vaticana. E se era prevedibile l’interesse del mondo politico per un pontefice che in modo così rapido ha saputo conquistare l’attenzione mediatica globale, sotto il profilo dei messaggi fin qui arrivati dalla cattedra di Pietro, le varie componenti della politica italiana, dal Pd al centrodestra di Alfano, da Forza Italia al Movimento 5 stelle, sono sembrate fino ad ora largamente poco reattive, tutto sommato incapaci si misurarsi con la novità del papa argentino.
E sì che Francesco ha toccato questioni note, nodi cruciali, sui quali il dibattito non inizia certo oggi. Certo il Papa non di rado prende posizioni nette, nitide, che per qualche partito potrebbero risultare impopolari. Ma il Papa, in definitiva, ha anche ricevuto la sua buona dose di critiche e non solo in Italia. Quando Francesco ha toccato in modo stringente il tema immigrazione con la visita a Lampedusa o recandosi al Centro Astalli di Roma dove approdano i profughi di mezzo mondo, la Lega nord ha aperto il fuoco della polemica; si è trattato in parte di un film già visto in passato con la differenza che questa volta le armi leghiste sono apparse spuntate a causa della crisi interna attraversata dal movimento fondato da Umberto Bossi. Quando poi il vescovo di Roma ha messo nero su bianco una lettura fortemente critica del capitalismo finanziario (nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium), ha suscitato molti consensi ma anche critiche aspre provenienti da settori importanti dell’establishment economico nordamericano e dalle correnti neoliberiste in generale.

L’Italia è però un caso a parte. Se negli ultimi decenni infatti il dibattito relativo al magistero della Chiesa è ruotato essenzialmente intorno a questioni come il fine-vita, il riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali, la procreazione assistita, questo improvviso cambiamento di rotta operato dalla Santa Sede per far fronte a un più generale scollamento nel rapporto fra Chiesa e società moderne, ha preso alla sprovvista la politica. Quest’ultima si era abituata ad assecondare le volontà vaticane in campo bioetico in cambio di qualche ‘benedizione’ pubblica. Così non solo Lampedusa e la critica al modello di sviluppo – temi sviluppati dal papa in termini evangelici ma pienamente politici - sono stati poco recepiti nel dibattito pubblico, ma anche quando Bergoglio ha affrontato questioni come il lavoro, la mafia, la corruzione, non si è sentita la voce dei leader di partito dei quali un tempo non si contavano le dichiarazioni a commento di ogni uscita pubblica del pontefice o di un cardinale di rango.
La recente celebrazione svoltasi nella Chiesa di San Gregorio VII con i familiari vittime della mafia è stata in questo senso esemplare. Solo pochi giorni prima, a Taranto, era rimasto ucciso in un agguato mafioso un bambino di poco più di tre anni; la notizia che in altri tempi sarebbe risultata inaudita per la sua gravità, è passata nel flusso della cronaca nera non suscitando, a parte qualche doverosa reazione ufficiale, nessun’altra riflessione. Così quando venerdì 21 marzo sono risuonati nella chiesa romana i nomi di 842 vittime della mafia pronunciati da molti dei familiari rimasti uccisi, è stato come se un Paese reale - ancora una volta tragicamente distante dal ‘palazzo’ - prendesse voce. In quei nomi scorreva infatti una parte non indifferente della storia nazionale, dalla fine dell’800 ad oggi: poliziotti, dirigenti politici, sindacalisti, magistrati, cittadini normali e ben 82 bambini.
Nel suo breve intervento il papa ha toccato anche il tema della corruzione, ha parlato del denaro e del potere insanguinati dei mafiosi. Tempo fa, ancora, aveva denunciato la “dea tangente”, il “pane sporco” portato a casa da chi si lasciava guidare dal démone del malaffare. Anche sotto questo profilo però il dibattito pubblico non sembra saper raccogliere la sfida lanciata dal papa e uscire da una contrapposizione asfittica fra giustizialismo e garantismo (che è la rappresentazione sotto altra forma del dualismo berlusconismo-antiberlusconismo) per arrivare a toccare la questione centrale di un’economia e di un mercato segnati e infine bloccati da un sistema di corruzione ormai in grado di raggiungere ogni ambito della vita economica e istituzionale. In questo senso papa Francesco ha aperto pure all’interno della Chiesa una discussione non facile mettendo mano fra l’altro alla riforma del potere curiale. Resta il fatto che il messaggio dirompente proveniente dal Vaticano è stato ignorato o trattato con elogi educati e compiacenti, quasi si trattasse di questioni lontane, di problemi di qualcun altro. Allo stesso tempo lo sforzo di Francesco è anche quello di indurre una Chiesa italiana che fatica ad uscire dalla lunga stagione dell’ideologismo bioetico, a ritrovare lo spazio di un intervento civile e religioso degno di chi vuole rappresentare e guidare una comunità.

Per questo l’arcivescovo di Monreale, Michele Pennisi, impegnato sul fronte della battaglia antimafia, all’indomani della cerimonia nella chiesa di San Gregorio VII, ha scritto sull’Osservatore romano: «A questa chiara coscienza di radicale incompatibilità tra mafia e vita cristiana, la Chiesa non può non sentirsi legata. Tanto più guardando alla splendida testimonianza del martirio del beato don Pino Puglisi, ucciso dalla mafia solo perché fedele al suo ministero». «La memoria di questo martirio – proseguiva l’arcivescovo - è impegnativa per la Chiesa tutta. La Chiesa sente di avere una sua responsabilità per la formazione di una diffusa coscienza civile, di rifiuto del costume e della mentalità mafiosi e si impegna nell’opera educativa e formativa dei suoi fedeli e, più in generale, di quanti, anche non credenti, vengono a contatto con le strutture educative da essa condotte o animate». Il cambiamento di mentalità e d’epoca viene reso programmatico, deve diventare impegno per tutta la Chiesa.
Da sottolineare, infine, i ripetuti interventi di Francesco sui problemi del lavoro, basti ricordare il recente incontro con gli operai delle acciaierie di Terni. «Che cosa possiamo dire – ha affermato il Papa nell’occasione - di fronte al gravissimo problema della disoccupazione che interessa diversi Paesi europei? È la conseguenza di un sistema economico che non è più capace di creare lavoro, perché ha messo al centro un idolo, che si chiama denaro!». Si può essere o meno d’accordo con il pontefice, ma certo è che Francesco pone un problema di fondo: l’economia finanziaria come strumento che non genera lavoro. Più profondamente, inoltre, il vescovo di Roma ha affrontato, oltre ai temi «della giustizia e della solidarietà», quelli relativi al significato del lavoro nella sua dimensione esistenziale. «Il lavoro – spiegava il Papa con i dipendenti delle acciaierie - riguarda direttamente la persona, la sua vita, la sua libertà e la sua felicità. Il valore primario del lavoro è il bene della persona umana, perché la realizza come tale, con le sue attitudini e le sue capacità intellettive, creative e manuali». «Da qui - aggiungeva - deriva che il lavoro non ha soltanto una finalità economica e di profitto, ma soprattutto una finalità che interessa l’uomo e la sua dignità. La dignità dell’uomo è collegata al lavoro». In questo senso Bergoglio riscopre e aggiorna la dottrina classica del pensiero cattolico provando però a riaprire, su un piano più generale, una discussione possibile sull’organizzazione della vita sociale e sulle sue finalità che dovrebbe interessare anche partiti e sindacati.
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