sabato 29 marzo 2014

Il lato luminoso della globalizzazione




La città-mondo è speranza
Viviamo una stagione che sta segnando uno spartiacque nella storia del mondo. Tutto ci parla di un pianeta presto completamente diverso da quello di qualche decennio fa, trasformato dalla globalizzazione, che muta gli orizzonti, rimodella le società, crea squilibri ed equilibri nuovi.

È una globalizzazione che fa perno sulle città. Nel 2006, per la prima volta nella storia dell’umanità, la popolazione cittadina ha superato quella delle campagne. Siamo in un mondo urbano, la storia si fa nelle città, il pianeta stesso si fa città globale. E in questo mondo di città, in questa città-mondo, si pone il problema delle periferie. Basta pensare alle megalopoli odierne: cosa vuol dire vivere in città di decine di milioni di abitanti, estese lungo assi di decine di chilometri come Città del Messico, Shanghai, Kinshasa? Ma pensiamo a regioni remote: cosa comporta vedere Obama o il Papa in tv, senza nessuna possibilità di andare un giorno a Washington o a Roma? La gran parte dei cittadini globali abita nelle periferie, vive una marginalità dal centro, è periferica rispetto al potere, all’economia, alla cultura.
Le mille periferie della nostra città-mondo sono una grande sfida. Il volto della nuova era globalizzata appare già sfregiato da distanze e da barriere, da un’ingiusta distribuzione delle possibilità, dai limiti posti all’accesso a quell’insieme di garanzie sul piano educativo, sanitario, infrastrutturale che fanno la qualità della vita. Se il mondo delle città diviene città-mondo, gran parte di esso è banlieue di un centro sempre più sfuggente, non-luogo tentato di segnalarsi all’attenzione altrui con segnali non incoraggianti.

Chi ha colto molto bene questo intreccio nuovo fra globalizzazione e perifericizzazione della vita è papa Francesco, «il primo Papa della globalizzazione», secondo Andrea Riccardi. Poteva forse essere diversamente? Poteva forse un uomo venuto dall’Argentina non vedere le cose dalla fine del mondo? Il Papa è stato vescovo di una megalopoli, come Buenos Aires, di cui ha conosciuto bene le periferie.

Assumere la periferia come prospettiva da cui guardare all’oggi può aiutare: «I grandi cambiamenti della storia si sono realizzati quando la realtà è stata vista non dal centro, ma dalla periferia», sono parole del Papa all’Unione Superiori Generali. Osservare le cose dalla fine del mondo permette di non vivere la metamorfosi che stiamo attraversando col disagio di chi rimpiange i centri di una volta: «La globalizzazione cui pensa la Chiesa assomiglia non a una sfera – ha dichiarato Francesco nella recente intervista al Corriere della Sera – ma a un poliedro, con le sue diverse facce». Non la globalizzazione sferica dell’arida legge del potere e del denaro, della «cultura dello scarto», dell’indifferenza che si fa mentalità. Bensì l’urbanizzazione poliedrica dell’inclusione e della solidarietà.

Riempiendo le periferie della globalizzazione con un vissuto che crei legami, forgi comunità, faccia sentire ogni banlieue al centro di un interesse. Costruendo ponti culturali e umani, non guardati da garitte, non sottoposti a pedaggio. La città-mondo può essere migliore solo se ognuno se ne sentirà parte, se un senso di cittadinanza largo e cooperativo impegnerà tutti a uno sforzo comune. Siamo di fronte a un mondo nuovo, che richiede a tutti di ripensare le logiche e le dinamiche di sempre. Che chiama davvero tutti a scommettere su un futuro più plurale, in cui ogni periferia possa farsi centro, in cui ogni angolo del pianeta viva il respiro comune di un grande organismo. Un mondo globale ha bisogno di una missione globale. Con la consapevolezza che la posta in gioco è altrettanto globale, e che il poliedro risultante dal contributo di tutti sarà un passo avanti per l’umanità intera. Del resto, se la nostra civiltà deve tanto al pensiero e all’azione di un numero limitato di attori, quale sarà il frutto di un pensiero e di un’azione più larghi? Se l’Europa, insieme a tanti errori, ha prodotto tanto di buono, quale sarà il risultato del muoversi di tante periferie e di tante latitudini, asiatiche, americane, africane, che diventano centro?

Marco Impagliazzo