sabato 8 marzo 2014

I Domenica di Quaresima - Anno A



I DOMENICA DI QUARESIMA - A

(Domenica della Tentazione) 



Nella prima domenica di Quaresima, la liturgia ci presenta il Vangelo in cui Gesù, condotto dallo Spirito nel deserto, viene tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, il tentatore gli si avvicina dicendogli: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma Gesù risponde: 

«Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”».

Abbiamo iniziato la Quaresima, tempo forte di conversione, cammino gioioso verso la Pasqua. Il Vangelo ci presenta Gesù condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo. I quarant’anni in cui Dio tiene Israele nel deserto per prepararlo ad accogliere il dono della terra promessa; i quaranta giorni che Cristo trascorre nel digiuno e nella preghiera per entrare nella missione affidatagli dal Padre, sono un’immagine della vita dell’uomo sulla terra. Anche noi dobbiamo passare attraverso la prova, la tentazione. Perché? S. Antonio del deserto afferma: “Togli la tentazione e nessuno si salva” (S. Atanasio, Vita di Antonio. Apoftegmi – Lettere, apoftegma 5). E S. Giacomo: “Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la vostra fede, messa alla prova, produce pazienza. E la pazienza completi l'opera sua in voi, perché siate perfetti e integri, senza mancare di nulla” (1,2-4). Ecco il significato della Quaresima: ritrovare la letizia, la bellezza della fede, imparando a riconoscere in noi e attorno a noi l’opera del demonio, “lo spirito che nega sempre” (Goethe): il tentatore, colui che mette tranelli, che inganna; il diavolo, colui che si mette in mezzo, che ti fa lo sgambetto a tradimento; e satana, l’accusatore, il nemico per eccellenza, il “menzognero e padre della menzogna” (Gv 8,44). Questo cammino è necessario per unirci al combattimento vittorioso di Cristo, con le armi del digiuno, della preghiera e dell’elemosina, insieme a tutta la Chiesa, e giungere a rinnovare nella notte di Pasqua la grazia del Battesimo che segna la fine del peccato e l’inizio di una vita nuova.
 (don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma)

MESSALE
Antifona d'Ingresso  Sal 90,15-16
Egli mi invocherà e io lo esaudirò;
gli darò salvezza e gloria,
lo sazierò con una lunga vita.


Colletta

O Dio, nostro Padre, con la celebrazione di questa Quaresima, segno sacramentale della nostra conversione, concedi a noi tuoi fedeli di crescere nella conoscenza del mistero di Cristo e di testimoniarlo con una degna condotta di vita. Per il nostro Signore...

Oppure:
O Dio, che conosci la fragilità della natura umana ferita dal peccato, concedi al tuo popolo di intraprendere con la forza della tua parola il cammino quaresimale, per vincere le seduzioni del maligno e giungere alla Pasqua nella gioia dello Spirito. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo figlio, che è Dio, e vive e regna...


LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura  Gn 2, 7-9; 3, 1-7
La creazione dei progenitori e il loro peccato.

Dal libro della Gènesi
Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente.
Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male.
Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto e disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino”?». Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”». Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male».
Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.


Salmo Responsoriale
   Dal Salmo 50
Perdonaci, Signore: abbiamo peccato.
Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;
nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro.

Sì, le mie iniquità io le riconosco,
il mio peccato mi sta sempre dinanzi.
Contro di te, contro te solo ho peccato,
quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto.

Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
Non scacciarmi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito.

Rendimi la gioia della tua salvezza,
sostienimi con uno spirito generoso.
Signore, apri le mie labbra
e la mia bocca proclami la tua lode.


Seconda Lettura
   Rm 5, 12-19 (forma breve: Rm 5, 12.17-19)
Dove ha abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia. 
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani.

[ Fratelli, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato.... ]
Fino alla Legge infatti c’era il peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato quando manca la Legge, la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire.
Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio, e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti. E nel caso del dono non è come nel caso di quel solo che ha peccato: il giudizio infatti viene da uno solo, ed è per la condanna, il dono di grazia invece da molte cadute, ed è per la giustificazione. 
[ Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo.
Come dunque per la caduta di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita. Infatti, come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti. 
]

Canto al Vangelo 
  Mt 4,4b
Lode a te, o Cristo, re di eterna gloria!
Non di solo pane vive l'uomo,
ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.
Lode a te, o Cristo, re di eterna gloria!
   
   Vangelo  Mt 4, 1-11
Gesù digiuna per quaranta giorni nel deserto ed è tentato.


Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”».
Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».
Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vàttene, satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».
Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.
 

*

"Lui è Figlio, non ha mai smarrito la sua identità"

Commento al Vangelo della I Domenica di Quaresima - Anno A


Inizia la quaresima, tempo forte e favorevole per allenarci a vivere. I quaranta giorni che ci attendono, infatti, sono immagine della vita terrena, mentre i cinquanta del tempo Pasquale lo sono di quella celeste.
Per giungere al Cielo occorre vivere bene sulla terra. Ma che significa vivere bene? significa vivere autenticamente, essendo quello che siamo. Al contrario, vivere male significa vivere ipocritamente, essendo quello che non siamo.
Già, ma chi siamo? Molti sono convinti di conoscersi ma non è così. Per diradare la brina della menzogna e la nebbia dell'illusione è necessario andare in un luogo "asciutto", tanto secco da non esserci acqua.
Il deserto, ecco il posto adatto. È qui che questa domenica la chiesa ci conduce con amore, per riportarci alla realtà nella quale viviamo. É nostra madre e ci conosce perché è l'unica ad avere un' antropologia autentica, quella rivelata da Dio.
Questa ci dice che l' uomo vive nel deserto perché ha perduto il Paradiso. Insinuando nel cuore il dubbio sull' amore di Dio, il serpente ha ingannato Adamo ed Eva spingendoli a cercare se stessi e la propria realizzazione tagliando con Lui.
Cedendo all'orgoglio sollecitato dalla menzogna del demonio si sono ribellati a Dio credendo così di autodeterminarsi. Ma non erano diventati come Lui, anzi. Tagliando con la fonte della vita hanno invece sperimentato la morte. E si sono accorti di essere nudi, il segno che avevano perduto la propria identità.
Per questo si sono nascosti, stretti dalla paura. Erano precipitati nell'assurdo che capovolge l'esistenza di ogni uomo: avevano paura di Dio e del suo amore. Ma così non si può vivere.
Ecco, scacciati dal Paradiso erano finiti in un "deserto". Non sapevano più chi fossero, condannati a faticare e sudare nell'illusione di poter "trasformare le pietre in pane"; obbligati dall'incapacità di accettare la realtà di dolore e sacrificio, a cercare "pinnacoli" da cui gettarsi, qualcosa di straordinario che cambi la storia; "prostrati" davanti al demonio perché schiavi delle concupiscenze che cercano negli idoli del mondo la sazietà.
È la nostra vita di ogni giorno, un deserto inospitale. E quella voce maligna che continua a sibilare quel "se" che ci infilza il cuore: "Se sei figlio di Dio". È proprio qui, nel deserto, che l'avversario continua a tentarci. D'altronde è il suo territorio, lontano da Dio, senza vita.
E non c'è nulla da fare, continuiamo a soccombere. Non possiamo resistergli, "se" vivessimo da figli di Dio non staremmo qui ma a casa di nostro Padre. Nel deserto vivono i figli di questo mondo, schiavi del peccato e, per questo, incapaci di amare oltre la carne.
Si, perché se non è per amore, non si può pazientare e rispettare l'altro. Le "pietre" devono diventare pane, anche il cuore della moglie che è adirato e non ne vuole sapere di donarsi. Anche il carattere del figlio indurito dallo sforzo di crescere. Anche la testa del capo ufficio che ce l'ha con noi e non ci vuol dare queste ferie che ci spettano.
Tutto deve saziarci, subito. La storia che non ci soddisfa non può restare com'è,  deve cambiare. Per questo ci issiamo sui "pinnacoli" sperando che, facendo qualcosa di speciale, gli altri si accorgano di noi, cosi da imprimere finalmente una svolta in famiglia, al lavoro, a scuola. Quanti ragazzi si deturpano il corpo e si spingono al limite con alcool e droghe, pur di sfuggire alla monotonia.
Non viviamo come figli di Dio, e per questo ci prostriamo al nostro patrigno, il demonio, che, in cambio di piaceri effimeri che sfuggono in un baleno senza saziarci, ci obbliga a servirlo nelle malvagità. I giudizi, le gelosie, i rancori, la lussuria e l'avarizia sono i liquami che sboccano da un cuore ridotto a cloaca perché inquinato dalla menzogna.
Ebbene proprio qui, in questo deserto nel quale abbiamo smesso d'essere quello che siamo, è sceso Gesù. E scende ancora, oggi e in questa Quaresima. Lui è Figlio, non ha mai smarrito la sua identità, neanche sulla Croce e nella tomba. Per questo è risorto e viene a consegnarci di nuovo la dignità e la natura di figli che abbiamo perduto.  
Abbiamo bisogno di Cristo, che ci doni di partecipare alla sua vittoria sul peccato. Solo così potremo attraversare questa vita come un esodo verso la terra promessa. La quaresima ci aiuta proprio a convertirci, a lasciare il peccato per unirci a Cristo, attraverso le armi che ci offre la Chiesa, digiuno, preghiera ed elemosina.
Così le insinuazioni del demonio non saranno più comandi a cui dover obbedire, ma torneranno ad essere "tentazioni", ovvero le "prove" attraverso le quali saremo purificati, perché risplenda in noi l'immagine e la somiglianza con il Padre.
Affrontate con Cristo, le tentazioni ci dischiudono di nuovo le porte del Paradiso. Sono come i metal detector degli aeroporti. Se in noi è vivo Cristo potremo passare senza che scatti alcun allarme; nessuna arma impropria come l'orgoglio sarà nascosta nel cuore.
Al contrario, la natura divina plasmata in noi dallo Spirito Santo ci farà combattere e resistere. Per questo, "se siamo figli di Dio", il peccato e la morte non hanno più potere su di noi. Potremo amare senza esigere nulla da nessuno, "vivendo" in pienezza anche nel deserto, saziandoci "di ogni parola che esce dalla bocca di Dio".
Non avremo bisogno di piegare gli eventi alle nostre voglie, perché un figlio "non tenta" suo Padre, ma lo conosce e obbedisce alla sua volontà, che ha sperimentato come l'unica buona per lui. E saremo finalmente liberi di vivere senza lacci agli idoli di questo mondo, "servendo e adorando solo Dio", perché Lui ha cura di noi, ci ama e provvede per i suoi figli sempre e solo il meglio.

*

Commento del padre Raniero Cantalamessa ofmcapp

Cristo ha vinto il demonio
Con la prima Domenica di Quaresima, inizia per la Chiesa il secondo dei cosiddetti “tempi forti” dell’anno. “Forte” perché grande è il mistero che vi viene ricordato, la morte-risurrezione di Cristo; “forte” anche per l’impegno maggiore che è richiesto a ogni credente nella sua lotta contro il male e nella sua solidarietà con i bisognosi.
Vorrei fare di questo tempo l’occasione per approfondire la nostra conoscenza della persona di Gesù. Finora abbiamo dato la precedenza ai problemi esistenziali dell’uomo: il dolore, la povertà, la famiglia. Gesù ci forniva ogni volta la sua parola illuminatrice sui vari problemi, però non era lui il centro del discorso. Ora vorremmo che fosse lui stesso l’oggetto primario del nostro interesse. Anche parlando di Gesù, non ci allontaneremo dal terreno concreto della vita seguito fin qui, perché di lui ci interesserà non tanto quello che egli “è” in sé e in astratto, quanto quello che egli “è” e “fa” per noi.
Il Vangelo di questa prima Domenica ci permette di toccare un primo punto importante in questo senso. Gesù è colui che libera l’umanità dalle potenze demoniache, dall’angoscia e dalla paura del demonio.
“Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto
per essere tentato dal diavolo”.
Con queste parole inizia l’episodio delle tentazioni di Gesù nel deserto. Sono posti in forte rilievo, all’inizio e alla fine della frase, i due protagonisti della vicenda: Gesù – il diavolo. Il demonio, il satanismo e altri fenomeni connessi sono oggi di grande attualità, e inquietano non poco la nostra società. Il nostro mondo tecnologico e industrializzato pullula di maghi, stregoni di città, occultismo, spiritismo, dicitori di oroscopi, venditori di fatture, di amuleti, nonché di sette sataniche vere e proprie. Scacciato dalla porta, il diavolo è rientrato dalla finestra. Cioè, scacciato dalla fede, è rientrato con la superstizione.
Poniamoci alcune domande su questo soggetto. Primo: esiste il demonio? Cioè, la parola demonio indica davvero una qualche realtà personale, dotata di intelligenza e volontà, o è semplicemente un simbolo, un modo di dire per indicare la somma del male morale del mondo, l’inconscio collettivo, l’alienazione collettiva e via dicendo?
Molti, tra gli intellettuali, non credono nel demonio inteso nel primo senso. Però si deve notare che grandi scrittori e pensatori, come Goethe, Dostoevskij hanno preso assai sul serio l’esistenza di satana. Baudelaire, che non era certo uno stinco di santo, ha detto che “la più grande astuzia del demonio è far credere che egli non esiste”.
Nel Vangelo si parla in lungo e in largo di liberazione di indemoniati. Ma la prova principale dell’esistenza del demonio non è qui, perché nell’interpretare questi fatti possono senz’altro aver influito, a volte, le credenze antiche sull’origine di certe malattie. L’epilessia, per esempio, contrariamente a quanto si pensava nell’antichità, non ha nulla a che vedere con il demonio; è una malattia come le altre che oggi, tra l’altro, si riesce a curare o almeno a tenere sotto controllo.
No, la prova vera non è negli ossessi, ma nei santi. In essi Satana è costretto a venire allo scoperto, a mettersi “contro luce”. Gesù che è tentato nel deserto dal demonio, questa è la prova. La prova sono anche i tanti santi che hanno lottato nella vita con il principe delle tenebre. Essi non sono dei “Don Chisciotte” che hanno lottato contro mulini a vento. Al contrario, erano uomini molto concreti e dalla psicologia sanissima. San Francesco d’Assisi una volta confidò a un compagno: “Se i frati sapessero quante e quali tribolazioni io ricevo dai demoni, non ce ne sarebbe uno che non si metterebbe a piangere per me”.
Perché allora tanti trovano assurdo credere nel demonio? Io, una mia spiegazione al riguardo ce l’avrei. È perché essi si basano sui libri, passano la vita nelle biblioteche o a tavolino, mentre al demonio non interessano i libri, ma le persone, specialmente, appunto, quelle che decidono di fare sul serio con Dio, i santi. Cosa può saperne su Satana chi non ha mai avuto a che fare con la realtà di satana, ma solo con la sua idea, cioè con le tradizioni culturali, religiose, etnologiche su satana? Costoro trattano di solito questo argomento con grande sicurezza e superiorità, liquidando tutto come “oscurantismo medievale”. Ma è una falsa sicurezza. Come chi si vantasse di non aver alcuna paura del leone, adducendo come prova il fatto che lo ha visto tante volte dipinto o in fotografia è non si è mai spaventato. D’altra parte, è del tutto normale e coerente che non creda nel diavolo, chi non crede in Dio. Sarebbe addirittura tragico se qualcuno che non crede in Dio credesse nel diavolo.
Seconda domanda: cosa ha da dirci la fede cristiana circa il demonio? La cosa più importante non è che il demonio esiste, ma che Cristo ha vinto il demonio. Un passo della Scrittura dice:
“Gesù è venuto per ridurre all’impotenza mediante la sua morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita” (Ebrei 2, 14-15).
A rigore di termini, neppure è giusto dire che noi crediamo “nel” demonio, poiché “credere” significa aver fiducia, affidarsi e noi non abbiamo certo fiducia in lui. Crediamo “il” demonio, la sua esistenza, non crediamo “nel” demonio. Cristo e il demonio non sono per i cristiani due principi uguali e contrari, come in certe religioni dualistiche. Gesù è l’unico Signore; Satana non è che una creatura “andata a male”. Se gli è concesso potere sugli uomini, è perché gli uomini abbiamo la possibilità di fare in libertà una scelta di campo e anche perché “non montino in superbia” credendosi autosufficienti, senza bisogno di alcun Redentore.
Satana è “quella potenza che sempre vuole il male e, a suo malgrado, opera il bene”, (Goethe). Serve infatti a castigare i cattivi e a purificare i buoni. “Il vecchio Satana è matto -dice un canto spiritual negro. Ha sparato un colpo per distruggere la mia anima, ma ha sbagliato mira e ha distrutto invece il mio peccato”. Crede di staccare una persona da Dio, invece, molte volte, stacca il peccato da quella persona.
Con Cristo non abbiamo nulla da temere. Niente e nessuno può farci del male, se noi stessi non lo vogliamo. Satana, diceva un antico padre della Chiesa, dopo la venuta di Cristo, è come un cane legato sull’aia: può latrare e avventarsi quanto vuole; ma, se non siamo noi ad andargli vicino, non può mordere.
Infine, una terza domanda: come regolarsi nella pratica, in un campo come questo, in cui regna tanta confusione e faciloneria? Questa è una materia delicata in cui è facile illudersi e confondersi. Ci si illude quando si attribuisce direttamente al demonio ogni nostro sbaglio, senza prendere sul serio le nostre responsabilità e senza affrontare la radice di male che è in noi. Si imita Eva: “La colpa è stata del serpente!”. Ci si confonde quando si comincia ad attribuire al demonio ogni genere di fenomeni e disturbi morali o fisici, vedendolo in atto dappertutto.
Un sano discernimento degli spiriti deve servire anche a non farci del demonio delle rappresentazioni grossolane e materialistiche che la sana coscienza moderna non potrebbe, e a ragione, che rifiutare. Io dubito della quasi totalità dei casi di possessione diabolica che finiscono sui giornali. Satana è molto più “discreto” e ama l’anonimato. I veri casi in cui ci si trova sul serio in sua presenza sono spesso quelli che restano nascosti, sono le battaglie sotterranee. Nella maggioranza dei casi si tratta di “infestazione” più che di “possessione” diabolica, cioè di disturbi indotti dall’esterno, non di dominio sull’anima della persona.
Niente esorcismi facili dunque. E soprattutto niente esorcismi fasulli. Gesù ha detto che i demoni “non si scacciano se non con la preghiera e il digiuno” e il mondo è pieno oggi di gente che crede di scacciarli per professione, per speciali poteri di cui disporrebbero. Naturalmente, dietro lauti compensi. A volte si possono ottenere per questa via dei benefici momentanei. Satana, se si tratta di lui, è capace perfino di allontanarsi, far finta di arrendersi, per ingannare. Se riesce a far credere che c’è qualcuno, al di fuori di Cristo, che lo può dominare, ha già ottenuto un risultato importantissimo.
Questo non vuol dire che non ci si debba prendere cura delle tante persone che soffrono di disturbi in questo campo, o per incauti contatti con il mondo delle tenebre, o per cattiveria altrui, specie dopo che si sono tentati invano tutti i rimedi della medicina e della psichiatria. Ma questo non può essere lasciato all’iniziativa dei singoli. Tutti possono certamente pregare Dio (come facciamo di fatto nel Padre nostro) perché ci liberi ”dal maligno”. Ma solo sacerdoti incaricati dal vescovo hanno, nella Chiesa cattolica, la potestà di operare veri e propri esorcismi. Io ho grande rispetto per chi si dedica con serietà a questo ministero di misericordia, perché immagino quanto esso possa essere duro.
Devo accennare, prima di concludere, a un triste fenomeno di cui i genitori devono essere a conoscenza. In certe scuole, specie nelle grandi città, o per gioco o per voglia di trasgressione, i ragazzi sono iniziati da qualche compagno più spregiudicato a pratiche e riti torbidi, a stipulare patti cosiddetti satanici. Molti stanno al gioco solo per non passare da paurosi. Il risultato è che i ragazzi escono spesso da queste esperienze traumatizzati, pieni di terrori, specie notturni, gravemente danneggiati nel loro equilibrio e nella loro stessa resa scolastica.
Se da qualche comportamento strano, sospettate che una cosa del genere possa essere capitata a vostro figlio, non drammatizzate. Cercate piuttosto di farlo parlare. Se ne parla, ha spezzato il ricatto di cui era vittima. Tranquillizzatelo, dicendogli che Gesù lo ama, che ha già perdonato la sua inesperienza, e non permetterà mai che qualcuno possa fargli del male. Invitatelo a pregare e ad accostarsi al sacramento della riconciliazione.
Ma ripeto, non dobbiamo avere paura. Gesù nel deserto si è liberato da Satana per liberarci da satana! È la gioiosa notizia con cui iniziamo il nostro cammino quaresimale verso la Pasqua.
*

COMMENTO DELLA CONGREGAZIONE PER IL CLERO 
I Domenica di Quaresima
La Quaresima ci guida ad un cammino eminentemente battesimale; è il tempo in cui i catecumeni venivano accompagnati alla ricezione del sacramento, intensificando la penitenza, la preghiera e le opere di carità, per partecipare poi sacramentalmente alla passione, morte e risurrezione di Cristo, tramite il battesimo, durante la veglia pasquale.
In questo itinerario verso la luce della Pasqua, la Chiesa istruisce i suoi figli tramite la liturgia, e così ci introduce per gradi nel mistero di Cristo. Anche coloro che già hanno ricevuto il battesimo,possono «prepararsi con gioia, purificati nello spirito, alla celebrazione della Pasqua, perché, assidui nella preghiera e nella carità operosa, attingano ai misteri della redenzione  la pienezza della vita nuova  in Cristo tuo Figlio, nostro Salvatore» (Prefazio I della Quaresima).
Questo itinerario battesimale è soprattutto chiaro seguendo le letture del Ciclo A (che possono essere utilizzate ogni anno, a discrezione). Così le cinque Domeniche della Quaresima corrispondono alle cinque catechesi mistagogiche: Cristo, cuore della predicazione, è contemplato come vincitore della tentazione, alla quale ogni catecumeno sarà inevitabilmente esposto (Domenica I). La meta definitiva di tutta la preparazione quaresimale, e di tutta la vita cristiana, è la risurrezione, che è anticipata nel mistero della Trasfigurazione sul monte Tabor (Domenica II). Il battesimo, che trasforma la vita del credente, si riceve per mezzo dell’acqua (Domenica III) e costituisce l’illuminazione interiore per ogni uomo (Domenica IV) e consente di ricevere la vita vera e definitiva (Domenica IV). Tutti questi simboli – acqua, luce, vita – sono immagini di Cristo stesso e della Sua presenza sacramentale nella persona del battezzato.
Questa prima Domenica di Quaresima di propone la catechesi sulle tentazioni, dalle quali non sarà risparmiato né il catecumeno, che si prepara a ricevere il battesimo, né il neofita, nella sua ordinaria vita cristiana. Ma la visione cristiana non è per nulla pessimista. La tentazione non è una vittoria del nemico, ma piuttosto l’occasione della vittoria di Cristo sulle tenebre. La tentazione, alla quale il primo Adamo non riuscì a resistere (I Lettura), accompagna la condizione umana; però, se «per la caduta di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita» (II Lettura). Il battezzato in Cristo è in grado di resistere alla tentazione perché Cristo ha vinto, e ogni cristiano – incorporato a Cristo tramite il battesimo – partecipa anche della Sua vittoria, in modo che «quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo» (II Lettura).
Tutte le tentazioni, oggi riassunte in quelle di possedere, di dominare e di fingere, potranno essere vinte dal cristiano, se resta fedele alla meditazione della Parola di Dio, all’obbedienza ai Suoi precetti, all’adorazione dell’unico Dio vivo e vero. In sostanza, è necessario allontanarsi da ogni forma di idolatria, dal voler essere come Dio, tentazione alla quale hanno ceduto i nostri progenitori.
Gesù è il modello che ci insegna a vincere ogni tentazione, e anzi a trasformare la tentazione in un’occasione per crescere nell’amore di Dio, per progredire in questo itinerario verso la Pasqua e, in generale, nel cammino verso la santità personale. «Esaudisci, Dio, la mia supplica; tendi l'orecchio alla mia preghiera. Chi parla? Sembra un individuo. Ma osserva bene se sia davvero uno. Dice: Dai confini della terra a te ho gridato, nell'angoscia del mio cuore. Non si tratta dunque di un solo individuo (sebbene in Cristo, di cui siamo le membra, noi tutti abbiamo unità)... la nostra vita in questo esilio non può essere senza prove, e il nostro progresso si compie attraverso la tentazione. Nessuno può riconoscersi finché non è tentato; allo stesso modo che nessuno potrà essere incoronato se non dopo la vittoria, vittoria che non ci sarebbe se non ci fossero la lotta contro un nemico e le tentazioni. È, pertanto, nell'angoscia quest'uomo che grida dai confini della terra; è nell'angoscia ma non è abbandonato. Poiché il Signore ha voluto darci in antecedenza un'idea della sorte che attende il suo corpo [mistico] che siamo noi, nelle vicende di quel suo corpo col quale egli morì, risorse ed ascese al cielo: in modo che le membra possano avere speranza di giungere là dove il capo le ha precedute. Egli ci ha insegnato a riconoscerci in lui, quando volle essere tentato da satana. Leggevamo ora nel Vangelo che il Signore Gesù Cristo fu tentato dal diavolo nel deserto. Cristo fu certamente tentato dal diavolo, ma in Cristo eri tentato tu. Tua infatti era la carne che Cristo aveva presa perché tu avessi da lui la salvezza. Egli aveva preso per sé la morte, che era tua, per donare a te la vita; da te egli aveva preso su di sé le umiliazioni perché tu avessi da lui la gloria. Così, egli prese da te e fece sua la tentazione, affinché per suo dono tu ne riportassi vittoria. Se in lui noi siamo tentati, in lui noi vinciamo il diavolo. Ti preoccupi perché Cristo sia stato tentato, e non consideri che egli ha vinto? In lui fosti tu ad essere tentato, in lui tu riporti vittoria. Riconoscilo! Egli avrebbe potuto tener lontano da sé il diavolo; ma, se non si fosse lasciato tentare, non ti avrebbe insegnato a vincere quando tu sei tentato» (S. Agostino, Esposizioni sui Salmi, 60, nn. 2-3).
Chiediamo, con l’orazione colletta della Messa odierna, che il vivere intensamente questa Quaresima permetta «a noi tuoi fedeli di crescere nella conoscenza del mistero di Cristo e di testimoniarlo con una degna condotta di vita».

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Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture liturgiche per la I Domenica di Quaresima(Anno A).
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LECTIO DIVINA
Quaresima: esodo di libertà dalla fame di possedere la vita, le persone e Dio

1)      Quaresima: 40 giorni di esodo per andare verso la Terra promessa.
            Il modo più sicuro di partecipare alla Quaresima è, come suggerisce la liturgia di oggi, prima Domenica di Quaresima, di ricordare e rivivere quello che furono per lui i 40 giorni di digiuno e preghiera passati nel deserto e che si conclusero con il superamento di tre prove.
            Nel racconto che Gesù stesso fece ai suoi discepoli, le tre tentazioni, che ricapitolano questo tempo di prova, lasciano abbastanza chiaramente capire che, in un combattimento che prefigurava la sua agonia, Lui scelse l’amore del Padre e la carità per noi e iniziò a bere il calice della Nuova Alleanza, che sarebbe stata sigillata con la sua offerta sulla Croce.
            Questo amore offerto è rifiutato ci è presentato già nella prima lettura, presa dal libro della Genesi, ci mostra che l'uomo è polvere plasmata dalle “mani creative” di Dio e animata dal Suo soffio di vita e di carità. Poche righe dopo, sempre il libro della Genesi illumina il dramma delle scelte sbagliate di fronte al bene e al male, un male che nasce nel cuore dell'uomo, dalle sue scelte, dai suoi rifiuti, dal suo ostinarsi a seguire i propri criteri, anziché i criteri di Dio. Ci viene chiesto di riflettere sulla gravità del rifiuto di inserirsi nel disegno di Dio, pretendendo un'autonomia assoluta nel decidere ciò che è bene e ciò che male. E' la pretesa di essere alla pari di Dio, di essere Dio a noi stessi e agli altri.

         Poi, nella seconda lettura, ricavata dalla Lettera ai Romani, vediamo che San Paolo si riferisce al racconto della Genesi e mette a confronto il comportamento di Adamo e quello di Cristo e i risultati del loro agire. La ribellione e la disobbedienza del primo hanno causato la separazione da Dio e la morte di tutti gli uomini, l'obbedienza perfetta di Cristo, invece, ha ottenuto a tutti la pienezza della grazia e della vita. Adamo ed Eva sperimentano che la propria presunzione li ha allontanati tra loro, dal creato e da Dio. Gesù, invece, ricuce questo strappo e annulla questa distanza.
            Infine, la pagina del Vangelo di Matteo che ci è offerta oggi come terza lettura, ripropone la stessa tentazione di Adamo ed Eva, ma mostra come Gesù ne esce vittorioso e ci indica le vie per realizzare un'esistenza fedele a Dio, una vita libera dal male profondo che ci minaccia.
            Il diavolo mette in dubbio la figliolanza divina di Gesù (“Se sei Figlio di Dio …”) che era stata affermata al momento del battesimo sulle rive del fiume Giordano. In effetti, la tentazione non riguarda né il pane, né le cose, perché quelle son quel che sono, ma come vivere la nostra relazione con le cose, con le persone, con Dio. La possiamo vivere da figlio di Dio, come Gesù, oppure rifiutare la paternità amorosa di Dio che offre un rapporto stabile, vivo e vivificante con Lui.
            Dio offre un’alleanza tra due libertà: la sua, che è iniziativa d’amore infinito, e la nostra, che è chiamata a fiorire e vivere della e per la libertà amorosa di Dio.
            Se con la grazia superiamo la tentazione, Dio dilata il nostro cuore, che può così avere in dono Lui, che è l'Amore, e ci dona di bene operare per rendere tutta la vita una lode a Lui.
            2) Fame e deserto.
            Un dato non secondario è che il Vangelo di oggi  ci dice che Gesù è tentato da Satana dopo quaranta giorni e nottti di digiuno e, quindi, Gesù ha fame.
            Ma non si tratta solo di una fame corporale, come ogni essere umano Gesù ha tre fami:
a-      di vita, che tenta l’uomo al possesso e l’accumulo spropositato di beni materiali (le pietre da trasformare in pane),
b-      di relazioni umane che possono essere d’amicizia o di potere, simboleggiata dall’offerta di potere,
c-      di onnipotenza, che spinge a soffocare il desiderio di Dio cioè l’anelito di infinito e di libertà senza limiti, inducendo alla tentazione di progettare la propria esistenza secondo i criteri umani della facilità, del successo, del potere, dell'apparenza, dell'immagine, vale a dire la tentazione di adorare il Menzognero (il diavolo) invece di adorare il Vero Amore provvidente.
            Gesù però sceglie un altro criterio, quello della fedeltà al progetto di Dio, a cui aderisce pienamente e di cui è Parola fatta carne per redimerci assumendo la nostra condizione, segnata dalla povertà e dalla sofferenza, scegliendo con coraggio di farsi servo di tutti. 

            Per vincere queste prove, questa fame di vita, di relazioni e di Dio l’uomo dispone di uno strumento infallibile: la Parola di Dio. Riscriviamo allora una frase di Sant’Agostino: Quando sei colto dai morsi della fame - e possiamo aggiungere anche della tentazione - lascia che la Parola di Dio divenga il tuo pane di vita, lascia che Cristo sia il tuo Pane di Vita.
            A questo punto, penso sia giusto chiedersi perché per digiunare Gesù andò nel deserto.
            Nella tradizione biblica il deserto rappresentava il luogo della preparazione a una missione divina. Così era stato così per Mosè, che conobbe la rivelazione di Jahvè (Esodo 3,1 e ss), per il popolo uscito dalla schiavitù che sperimentò la fatica della libertà. Così fu per Elia, che vi ascoltò la parola divina (1a Re 19,18). Dunque anche Gesù rimase nella solitudine del deserto per quaranta giorni[2], prima di iniziare il suo ministero pubblico.
            Gesù l’ha fatt per insegnarci di vivere la vita come esodo nel deserto come è stato per il popolo ebraico e come deve essere la Chiesa, pellegrina verso il Cielo. Questo significa non poter programmare la propria vita, non poterne disporre, doversi abbandonare a una Parola di promessa. Dio dice anche a noi: “Nulla ti mancherà, ma tutto dovrai attendere da me”. È questo il significato della fede: non solamente l'assenso a un corpo di dottrine ma il fidarsi di un amore, il credere all’amore: a quell'amore che ha iniziato senza di tè (l'uscita dall'Egitto come per noi l’uscita dal grembo di nostra madre), ma che potrà continuare soltanto se troverà la nostra adesione.
            Ci è chiesto di tradurre il nostro comportamento quotidiano la "cura" di noi stessi in quell'Altro che ci ha liberata.
            La quasi totalità di noi è chiamata a esistere domani non nella situazione di emergenza del deserto, ma nella situazione di normalità di una terra da coltivare e da abitare. Tuttavia tutto noi siamo chiamati a portarvi lo stesso atteggiamento di fondo: vivere su quella terra ma con un cuore di deserto.
            Questo cuore è chiesto particolarmente alle Vergini Consacrate, che nella solitudine fisica sono chiamate ad un tu per tu con Dio: parlare al cuore.
            Il deserto, la solitudine verginale è il luogo privilegiato, il luogo dove si sta a tu per tu con Dio.    Lo Sposo non può costringere la sposa ad amarLo. Il Signore però ha un mezzo infallibile, come lo descrisse, ad esempio il profeta Osea.  All’inizio, al cap 2, Osea parla di questo adulterio terrificante, il tornare ad adorare gli idoli che i vecchi padri hanno adorato; il Signore addolorato, angosciato, interviene e dice che ha un mezzo e lo metterà in azione, riporterà di nuovo il popolo nel deserto, gli indicherà di nuovo le strade antiche, parlerà di nuovo al suo cuore, nel deserto, appunto quando le categorie malefiche, i diaframmi opachi sono caduti; allora il cuore dell’uomo, cioè la sua intelligenza, ed il cuore di Dio, cioè la divina Sapienza stanno a tu per tu e l’incontro è immediato, possibile e fecondo.
            Le Vergini consacrate vivono il “deserto” della loro vocazione come della disponibilità totale. La loro è una spiritualità della disponibilità generosa verso gli altri, della disponibilità totale verso il Signore da cui attendono tutto.
            Con la preghiera, l’elemosina ed il digiuno, impariamo tutti questa disponibilità per camminiare uniti nel “deserto” quaresimale, e della vita, così la fame diventerà desiderio santo di Dio e saremo la Tenda dove l’Emmanuele, il Dio sempre con noi, avrà stabile dimora.
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NOTE
[1] L’interpretazione cristiana dell'Esodo è guidata da quella lettura che si è soliti chiamare “tipologica”: tutto ciò che riguarda Israele (vicende e personaggi, riti e istituzioni) è la figura - iltypos, appunto - di quanto accade in Cristo e nella Chiesa. Riprendiamo brevemente le fasi principali dell’Esodo per vedere in che modo esse vengono riprese e reinterpretate in funzione dell'evento cristiano.
Prima tappa: l'Egitto (e il Faraone) è inteso come figura del peccato. Soprattutto di quella condizione universale di peccato che teneva schiava l'umanità prima di Cristo. Ma Egitto può essere anche colui, che provoca il peccato: Satana; oppure la sua trascrizione storica, l'idolatria pagana. Di conseguenza, la liberazione dall'Egitto attraverso il passaggio del Mar Rosso sarà la figura del battesimo, e l’agnello pasquale immolato assurgerà a simbolo di Cristo nella sua passione.
La tappa del deserto è ripresa come figura della vita del credente in cammino. In essa compaiono, come per Israele, la prova e la tentazione; ma anche la protezione divina vi si dispiega con particolare intensità: i miracoli dell'Esodo diventano il miracolo dell'esistenza sacramentale: la roccia-Cristo da cui zampilla l'acqua battesimale, e la manna diventata eucaristia. Il deserto può essere interiorizzato come cammino individuale dell'anima verso la contemplazione e la perfezione spirituale; o può essere vissuto come itinerario Quaresima preparazione delle celebrazioni pasquali.
Il senso cristiano della Legge è riscontrato, sulla linea paolina, nella condensazione di tutte le leggi etico-sociali nella carità; mentre le leggi rituali trovano la loro verità nel culto cristiano.
Finalmente, la terra promessa ripropone il motivo sacramentale: il passaggio del Giordano, come già quello del Mar Rosso, rimanda al battesimo, mentre nel “paese dove scorre latte e miele” i Padri della Chiesa leggono una suggestiva figura del banchetto eucaristico. Accanto a questa, e ancor più frequente, è l'interpretazione della terra promessa come immagine della vita definitiva con Dio.
Si può riassumere il tutto dicendo che il senso tipologico dell’Esodo è l’itinerario del popolo cristiano dalla schiavitù del peccato attraverso il battesimo e l'esistenza in fede e carità fino alla patria celeste.

[2] Quaranta è un numero simbolico, in questo caso, oltre a collegarsi ai quarant’anni passati dal Popolo di Israele nel deserto, sta a significare tutta una generazione, cioè Gesù, facendosi uomo, è stato tentato per tutta la sua vita.

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LETTURA PATRISTICA
San Bernardo di Chiaravalle
IV Sermone per la Quaresima
La preghiera e il digiuno 
1. Poiché siamo arrivati al periodo del digiuno quaresimale,  e perciò  vi esorto a sostenere la carità  con tutta la vostra devozione, mi sembra giusto esporre brevemente a quale scopo e in che modo è opportuno digiunare. In primo luogo, fratelli, astenendoci  anche dalle cose permesse, ci vengono perdonate quelle illecite e già commesse. Dunque, otteniamo il perdono per il male, solo che, per un breve digiuno, siamo liberati da quello eterno? In realtà  meritiamo l’inferno, dove non c’è mai cibo, né consolazione, né fine. Il ricco chiede una goccia d’acqua, e non può riceverla (Luca, XVI, 94). E’ buono e salutare il digiuno, con il quale siamo liberati dal digiuno e dai supplizi eterni, mentre otteniamo la redenzione dai peccati. Infatti non soltanto è una rapida abolizione dei peccati  ma anche lo sradicamento dei vizi; non solo ci ottiene il perdono ma ci fa anche meritare la grazia; non solo cancella i peccati commessi nel passato ma allontana anche i peccati potremmo commettere in futuro.
2. Vi dirò inoltre, perché possiate capire più facilmente, una cosa che, se non sbaglio, vi capita spesso:  il digiuno dona devozione e fiducia . Inoltre notate come il digiuno e la preghiera vanno insieme,  come dice la Scrittura, “I  fratelli che si aiutano, si consolano entrambi” (Prov. XVIII 19)1. “La preghiera ci ottiene la forza di digiunare, e il digiuno ci fa meritare la grazia della preghiera. Il digiuno rafforza la preghiera, la preghiera santifica il digiuno e lo offre a Dio. Come potrebbe giovarci, infatti, il digiuno, se rimanesse sulla terra? Dio non voglia! Si sollevi quindi il digiuno dalla terra sulle ali della preghiera. Ma un’ala non è sufficiente,  ne occorre una seconda. La Scrittura dice: “La preghiera del giusto entra in cielo” (Eccl. XXXV, 20)2. Servono dunque due ali, la preghiera e la giustizia, perché  il nostro digiuno salga facilmente al cielo. Ma che cos’ è la giustizia, se non dare a ciascuno il suo? Quindi smettete, per così dire, di prestare attenzione solo a Dio. Avete doveri da compiere verso i superiori ei fratelli, e Dio non vuole che badiate poco ai quelli che Egli considera molto. Non è senza ragione  che l’Apostolo dice: “Stai attento a fare bene, non solo davanti a Dio, ma davanti agli uomini “(Romani XII, I, 7)3. Ma potreste dirmi: “Per me è sufficiente che sia soltanto Dio ad approvare quello che faccio; che cosa mi importa del giudizio umano? Ebbene, state certi che non gli piacerà nessuna cosa  fatta con scandalo dei suoi figli e contro la volontà di colui al quale tuttavia, essere certi che non ha nulla piacevole voi sarà lo scandalo dei suoi figli e contro la volontà del suo vicario, cui è necessario obbedire. Il Profeta disse: “Santificate il digiuno, convocate l’assemblea” (Gioele, II, 15)4. Che cosa significa convocare l’assemblea? Mantenere l’unità, apprezzare, amare i fratelli. L’orgoglioso fariseo digiunava, santificava il digiuno, sicuramente digiunava due volte la settimana  e rendeva grazie a Dio; ma dicendo “Non sono come gli altri uomini” (Lc XVIII, 11) non ha chiamato nessuno; per questo, orgoglioso dell’unica ala, il suo digiuno non poté arrivare al cielo. Quindi, carissimi, lavatevi le mani nel sangue del peccatore e fate assolutamente in modo che il vostro digiuno abbia due ali:  voglio dire  la purezza e la pace, senza le quali nessuno può vedere Dio. “Santificate il digiuno” affinché sia offerto alla divina maestà con intenzione pura e preghiera devota:  “Convocare l’assemblea” perché concordi nell’unità:  ”Lodate il Signore col tamburo e danze “(Psal. CL, 4)5, affinché ci sia armonia nella mortificazione della carne.
3. Visto che abbiamo detto qualcosa sul digiuno e sulla giustizia, è giusto parlare un po’ anche della preghiera. Infatti  quanto più essa efficace se fatta bene, tanto più astutamente il nemico è solito ostacolarla.  A volte, infatti, l’efficacia della preghiera è gravemente ostacolata dalla pusillanimità di spirito, e dall’eccessiva preoccupazione. Ciò si verifica di solito quando uno è così preoccupato per la propria indegnità da non osare di volgere lo sguardo alla bontà di Dio. “Infatti, l’abisso chiama l’abisso” (Sal. XLI, 8)6. L’ abisso luminoso chiama  l’abisso di tenebre, l’abisso di misericordia chiama l’abisso di miseria. Il cuore dell’uomo è di per sé un abisso, e un abisso senza fondo. Ma se la mia iniquità è così grande, la tua benevolenza, Signore, è molto più grande. Per questa ragione, quando la mia anima è turbata da me stesso, mi ricordo la  grandezza della tua misericordia  e in quella trovo sollievo, e quando arrivo al fondo della mia debolezza non voglio ricordate niente se non la tua giustizia.
4. Nondimeno  è un pericolo per la preghiera anche essere troppo timidi, e non è un pericolo da meno, se non addirittura maggiore, essere troppo fiduciosi. Ascoltate ciò che il Signore ha detto al Suo Profeta a proposito di coloro che pregano con questa eccessiva sicurezza: “Grida senza fermarti , esalta la tua voce come una tromba” (Isaia LVIII, 1)7, ecc.” Come una tromba “, ha detto, perché chi prega con un eccesso di fiducia deve essere ripreso con grande veemenza. Infatti, ci sono quelli che non hanno ancora trovato se stessi, che cercano me. Non dico questo per  privare i peccatori della fiducia nella preghiera, ma voglio che preghino come persone che hanno operato peccati, non giustizia; che preghino per il perdono dei loro peccati con un cuore contrito e umile come il pubblicano, che gridò: “Signore abbi pietà di me peccatore” (Lc XVIII, 13). L’avventatezza, infatti,  quando colui nella cui coscienza regna ancora il peccato o qualche vizio cammina nella grandezza e nell’ammirazione di se’, è meno sollecito a proposito del pericolo per la sua anima.  Il terzo pericolo si verifica con la preghiera tiepida, quella che non nasce da un affetto forte. Senza dubbio la preghiera timida non arriva al cielo, perché una eccessiva paura paralizza l’anima, tanto che non dico solo che la preghiera non può salire al cielo, ma non può nemmeno lasciare le labbra. La preghiera tiepida, in verità, si infiacchisce nella salita e viene meno, perché non ha vigore. Quanto alla preghiera troppo fiduciosa, sale ricade; in cielo trova resistenza, non soltanto non  ottiene grazia, ma offende anche Dio. Invece quella preghiera che sarà stata  piena fedele, umile e fervente, entrerà senza dubbio in cielo:  da dove certamente non potrà tornare a mani vuote.
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NOTE
1 Così il testo originale: “Frater adjuvans fratrem, ambo consolabuntur”; ma nella Volgata, in Prov. XVIII, 19 troviamo  “Frater, qui adiuvatur a fratre, quasi civica ferma” e nella c. d. Neo Volgata “Frater, qui offenditur, durior est civitate firma”. La traduzione CEI 2008 rende il periodo con “ Un fratello offeso è più inespugnabile di una roccaforte”
2 Così il testo originale: “Oratio justi penetrat coelo”; nella Volgata: “…deprecatio illius [Qui adorat Deum…]usque ad  nubes propinquabit”; simile nella Neo Volgata; nella traduzione CEI 2008: “La sua preghiera [di chi soccorre la vedova] arriva fino alle nubi”
3 Nella versione CEI 2008: “Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini”
4 Qui il testo originale corrisponde alla Volgata: “Sanctificate jejunium, vocate coetum”; nella Neo Volgata troviamo “ululate in monte sancto meo; conturbentur omnes habitatores terrae” e nella traduzione CEI 2008 “proclamate un solenne digiuno, convocate una riunione sacra”
5 Il testo originale, “Laudate Dominum in tympano et choro” corrisponde sostanzialmente alla Volgata ed è stato tradotto letteralmente e anche nella versione CEI 2008 troviamo “Lodatelo con tamburelli e danze”
6 Nella Volgata “Abyssus abyssum invocat”; così anche nella versione CEI 2008: “un abisso chiama l’abisso”
7 Nell’originale abbiamo “Clama ne cesses: quasi tuba exalta vocem tuam”, del tutto corrispondente alla Volgata. La versione CEI 2008 riporta: “Grida a squarciagola, non avere riguardo; alza la voce come il corno”.

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ALTRA LETTURA PATRISTICA
Dai "Discorsi" di san Gregorio Nazianzeno, vescovo.

Se dopo il battesimo il tentatore, persecutore della luce, ti avrà assalito, e certo ti assalirà, infatti tentò anche il Verbo mio Dio nascosto nella carne, ossia la stessa luce velata dall0umanità, tu sai come vincerlo: non temere la lotta. Opponigli l'acqua, opponigli lo Spirito nel quale saranno distrutti tutti i dardi infuocati di quel maligno. Se ti farà presente la tua povertà, non dubitò di farlo anche con Cristo, facendogli notare la sua fame perché trasformasse in pane le pietre, ricorda le sue risposte. Insegnagli quel che non sa; opponigli quella parola di vita che è pane disceso dal cielo e dà la vita al mondo. Se t'insidia con la vanagloria, come fece con lui quando lo portò sul pinnacolo del tempio e gli disse: "Gettati giù" per mostrare la tua divinità, non lasciarti trasportare dalla superbia. Se ti vincerà in questo, non si fermerà qui. È insaziabile, tutto brama; adesca anche con l'aspetto della bontà e travolge il bene in male: questo è il suo modo di combattere. Se ti assalirà con l'avarizia, facendo balenare in un attimo ai tuoi occhi tutti i regni come se gli appartenessero ed esigendo la tua adorazione, disprezzalo come un miserabile. Difeso dal segno della croce, digli: Anch'io sono immagine di Dio; non sono stato ancora scacciato come te, per la superbia, dalla gloria celeste; sono rivestito di Cristo; col battesimo Cristo è diventato mia eredità: sei tu che mi devi adorare. Credimi, vinto e svergognato da queste parole, si ritirerà da tutti quelli che sono illuminati, come si è allontanato dal Cristo, principio della luce. Il battesimo conferisce questi benefici a chi ne riconosce la forza. Offre tali sontuosi banchetti a coloro che soffrono una fame degna di lode.

(Tratto da "L'Ora dell'ascolto" - Ed. Piemme)
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Commento di Enzo Bianchi
La prima domenica di quaresima ci presenta in ogni annata liturgica la narrazione delle tentazioni di Gesù. Gesù è stato sempre tentato dal demonio, dalla sua nascita fino alla sua morte, come ogni uomo di carne, fragile, debole, mortale (cf. Eb 4,15). Ma qui l’evangelista cerca di sintetizzare in un quadro il rapporto tra Gesù e il demonio, dunque riassume nelle tre grandi tentazioni tutte le diverse tentazioni vissute da Gesù, secondo uno schema già conosciuto da Israele e testimoniato nell’Antico Testamento: uno schema che peraltro corrisponde anche a ciò che le scienze umane oggi ci dicono riguardo alle passioni, alle libidines fondamentali presenti in ogni persona.
L’umanità, in Adamo ed Eva che la rappresentano, era stata tentata dal diavolo riguardo a un “frutto” che riceve significato non per ciò che è ma per il potere che esercita: l’umano “vide che l’albero era buono da mangiare”, libido amandi, “appetitoso agli occhi”, libido possidendi, “desiderabile per acquistare potere”, libido dominandi (Gen 3,6). E così, ingannato da questa seduzione del serpente antico – l’avversario, il demonio, Satana, il principe di questo mondo –, acconsente alla tentazione e conosce il male e le sue conseguenze (cf. Gen 3,7). Le stesse seduzioni riguardano nel deserto Israele, il popolo di Dio, e anche in questo caso vi è un cedimento alle tentazioni.
Ma ecco Gesù, il nuovo Adamo e il primo credente del nuovo popolo di Dio, Gesù uomo e Figlio di Dio, che dopo il battesimo e la proclamazione da parte del Padre della sua qualità di Figlio (cf. Mt 3,17), spinto dallo Spirito santo va nel deserto, nella consapevolezza di essere il Figlio di Dio. In quell’orrido luogo di solitudine, di povertà e anche di fame, Gesù potrebbe sfruttare la sua condizione di Figlio per tornaconto personale, pensando a se stesso e non a Dio da cui veniva la sua identità né agli uomini per i quali Dio l’aveva inviato nel mondo.
Il tentatore potente, perciò demonio (munito di forza), è nel deserto per mettere alla prova Gesù, che come uomo sperimenta in sé le tentazioni comuni a ogni persona: innanzitutto vivere a ogni costo, anche ricorrendo al facile miracolo, al cambiare le pietre in pane. Così facendo, verificherebbe se davvero possiede quell’identità che il Padre gli ha rivelato durante il battesimo e sazierebbe la sua fame. E se è capace di cambiare le pietre in pane, allora offrirà pane a tutti e sarà facilmente acclamato Messia, re politico, dunque potrà dominare in Israele. Ma Gesù resiste a questa tentazione: obbedisce al Padre, gli resta sottomesso, e se il Padre lo ha inviato sulla terra nella debolezza della carne, egli deve fare obbedienza, a costo di apparire un “Messia al contrario”, debole appunto. Egli è venuto a portare non il pane materiale, ma il pane della parola di Dio (cf. Dt 8,3), veramente necessario per vivere da figli di Dio.
Segue un’altra esemplificazione delle tentazioni subite, un altro miracolo ancor più eclatante. Se Gesù è davvero il Figlio di Dio, può mostrarlo attraverso una straordinaria apparizione: si getterà dalla cima del tempio e, secondo il salmo, sarà sostenuto dagli angeli (cf. Sal 91,11-12) e non cadrà sfracellandosi sulle mura di Gerusalemme. Sarà una prova inconfutabile, questo miracolo straordinario sarà divulgato e tutti crederanno a lui. Gesù però non vede in questo una tentazione rivolta solo a lui ma sa immediatamente riferirla a Dio stesso. Per questo rinuncia al successo, obbedendo alla volontà di Dio e al suo comando: “Non tenterai il Signore Dio tuo” (Dt 6,16).
E infine ecco l’ultima, l’estrema tentazione. Il demonio lo porta su un’alta montagna, da cui può vedere tutte le ricchezze della terra: possedimenti, beni, città, regni, con tutta la loro gloria… Se lui adorasse il demonio e si prostrasse a ciò che lo rappresenta – il denaro (mamôn), il potere, lo sfarzo, il lusso, il regno di questo mondo –, tutto questo sarebbe suo. Ma anche qui Gesù si mostra vincitore: come uomo resta in adorazione di Dio (cf. Dt 6,13), obbedisce solo a lui e ripudia tutto il potere mondano.
La sua via messianica è altra: non vivere salvaguardandosi, senza gli altri e contro gli altri, non fare segni meravigliosi che stupiscono, non volere il potere di questo mondo. È la via di un Messia, povero, umile, mite, fino a essere crocifisso nell’infamia. Gesù tutto attende da Dio e solo da lui.