lunedì 24 marzo 2014

25 Marzo. Annunciazione del Signore



Nazaret ha un messaggio permanente per la Chiesa.
La Nuova Alleanza non comincia nel Tempio, 
né sulla Montagna Santa,
ma nella piccola casa della Vergine,
nella casa del lavoratore,
in uno dei luoghi dimenticati della "Galilea dei pagani",
dal quale nessuno aspettava qualcosa di buono.
Solo partendo da lì 
la Chiesa potrà prendere un nuovo slancio e guarire.

Joseph Ratzinger, Il Dio di Gesù Cristo

*

Maria, l'amata, appare sulla soglia del Vangelo avvolta in un saluto imprevisto, un annuncio intrecciato su poche, essenziali parole. Attendeva le nozze, e con esse grazie e gioia, senza immaginare che Dio aveva scelto e preparato quella semplicità nascosta per farne la soglia dove deporre l'eterno. Un giorno come gli altri, confuso tra quello di molti altri, in una cittadina anonima lontana dalla storia che conta: sono questi il momento e il luogo pensati da Dio per fare possibile l'impossibile. L'incarnazione e la salvezza di ogni uomo cominciano qui, dove sembra che non vi sia nulla di speciale da attirare l'attenzione. Nulla tranne Maria, a riempire quella semplice ordinarietà con la fede e l'attesa immacolate. Come quando si rivelò ad Elia, Dio non è nel terremoto, neanche in un vento gagliardo; Dio è in una brezza soave, nel soffio del suo Spirito che, dolce e delicato, bussa alla porta del cuore. Maria non era in cerca di nulla di straordinario; era semplicemente dove l'aveva messa la volontà di Dio. Essere Immacolata Concezione significa essenzialmente questo, obbedire e restare lì, abbandonati a Dio, sereni e felici nella propria storia. Come Adamo ed Eva prima di cadere nel peccato. La menzogna del demonio, infatti, come un virus mortale, ha reso impossibile restare sul cammino tracciato dal Padre. La cifra del peccato originale è proprio questa impossibilità di vivere, in pienezza, l'istante che ci è dato; l'impossibilità di essere felici con questa storia qui, con questa famiglia, questo marito e questa moglie, questi figli e questi genitori, questo lavoro e questi professori. Il peccato ci ha sporcato il cuore e non riusciamo più a vedere l'amore di Dio in niente e nessuno; la realtà ci schiaccia, dobbiamo scappare, e cercare un po' d'aria in qualsiasi esperienza, basta che non sia la stessa di oggi. Maria no, non aveva bisogno di fuggire. Immacolata Concezione, non si era mai allontanata dal Paradiso: in ogni istante era "piena di Grazia", in ogni evento "il Signore era con Lei". Anche quel giorno, all'irrompere di quel saluto che, improvvisamente, Le svelava il mistero sino ad ora tenuto segreto anche a Lei. L'intimità con il Signore, la Grazia che accompagnava ogni suo passo nella volontà di Dio, sino a quel momento tutto era stato così naturale. Ma quell'invito a "rallegrarsi" che, lo sapeva, raggrumava in sé tutte le profezie sull'avvento del Messia, perché proprio a Lei? Era "turbata" Maria, di fronte a quel "saluto" nel quale si condensava una storia di peccati e misericordia che abbracciava generazioni. "Shalom", pace, era il segno del Messia, la speranza che i suoi fratelli s'erano scambiati da sempre, tenendola viva per non morire. Ora tutto era lì, a un millimetro da Lei; ogni uomo, ogni donna, ogni povero e ogni peccatore, tu ed io, eravamo tutti lì, sulla soglia del cuore di quella Fanciulla indifesa, la più piccola, l' "umile vergine" di Nazaret. Era giunta la "pienezza dei tempi", il compimento della salvezza; quell'istante nascosto agli occhi del mondo attirava ogni altro istante della storia, passato, presente e futuro. Quell'istante illuminava la purezza originaria di Maria: aveva compiuto la volontà di Dio perché anche Dio potesse compiere la sua volontà. La sua carne "vergine" era il frammento di Paradiso che Dio aveva preparato per deporvi il suo Figlio, la Carne che avrebbe reso ogni carne peccatrice un frammento di Paradiso. Maria doveva solo fare quello che aveva sempre fatto: accogliere l'amore di Dio, perché ai suoi occhi immacolati ogni volere di Dio non era che amore. Solo un Figlio da accogliere, il Messia da gestare e donare al mondo. Impossibile certo, "senza conoscere uomo", ma "possibile" a Dio che era "con Lei" da sempre. Ancora una volta, la più importante, quella decisiva, Dio aveva bisogno dell'impossibile per farlo possibile, la "verginità" di Maria per fecondare l'umanità sterile, la sua "umiliazione" per salvare tutti i superbi. Non c'era da "temere": quel concepimento e quel parto sarebbero stati opera della Grazia che l'aveva "colmata" da sempre. Lo Spirito Santo sarebbe "disceso" su di Lei per deporvi il Santo Figlio di Dio. Del resto anche "Elisabetta sua parente, che tutti dicevano sterile, nella sua vecchiaia aveva concepito un figlio". Non restava che sciogliere le labbra per la risposta preparata dall'eternità. E Amen è stato, l'Amen degli Amen di Maria: "Il verbo con cui esprime il suo consenso, nell'originale, è all'ottativo, un modo verbale che in greco si usa per esprimere desiderio e perfino gioiosa impazienza che una certa cosa avvenga. Come se la Vergine dicesse: “Desidero anch'io, con tutto il mio essere, quello che Dio desidera; si compia presto ciò che egli vuole“." (Raniero Cantalamessa). Il Cielo è riaperto, la volontà di Dio ha trovato dimora nel desiderio puro di Maria. Da quell'istante nulla è stato e sarà più come prima. Nell'obbedienza di Maria è generata l'obbedienza del Figlio, perché Nazaret era il grembo del Getsemani. Madre e Figlio sono ora davanti a noi per donarci finalmente compiuto l'impossibile che ci fa paura. Guardiamoci dentro, che cosa oggi ci turba e ci schiaccia? Che cosa ci spinge a peccare per non soffrire? "Non temere"! E' proprio lì, al fondo dell'incapacità di assumere la nostra storia che plana oggi l'annuncio dell'angelo per deporvi il seme dell'impossibile già reso possibile: l'obbedienza alla volontà di Dio, restando nascosti nelle piaghe di Gesù incarnate nei dolori e nei tradimenti, nei fallimenti e nelle frustrazioni, nelle umiliazioni e nell'irrilevanza. "Non temere!", perché il turbamento che ci prende di fronte alla sproporzione tra quanto ci è annunciato e la povera realtà della nostra vita, è destinato a divenire gioia purissima. E' pronta per noi la gioia di Maria, madre della gioia del Messia risorto dalla morte, che ha distrutto il peccato e il suo regno di dolore. La gioia dell'obbedienza, che il mondo non conosce, la gioia della libertà di amare sino a donarsi totalmente, perché "nulla è impossibile a Dio": neanche perdonare il marito che ha tradito e il parente che ci ha calunniato; neanche giustificare con misericordia chi ci ha fatto la più terribile delle ingiustizie. "Nulla" ci deve spaventare, perché tutto è stato raggiunto dal Mistero Pasquale di Cristo, e ogni Croce è ormai una porta dischiusa sul Paradiso. Vivere così è la nostra missione, quella di Maria, immagine della Chiesa: "servire il Signore" camminando dove cammina ogni uomo, assumendo ciò che a tutti è impossibile, per annunciare il Cielo a chi ci è accanto.



Lc 1,26-38

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.



Il commento

Maria, l'amata, appare sulla soglia del Vangelo avvolta in un saluto imprevisto e nel turbamento. Un annuncio intrecciato su poche, essenziali parole, e subito è colta da una vertigine, come quando si sale a quote che l'uomo non può sopportare, dove manca l'ossigeno. E' il turbamento di Maria: in un baleno intuisce che nulla sarebbe stato più come prima. Sino a quel momento Ella era stata, semplicemente, una fanciulla come tante, vergine promessa sposa di un uomo come tanti, Giuseppe della casa di Davide. Attendeva le nozze, e con esse Grazie e gioia, ma ora quelle parole le giungevano inaspettate: perché ricordarle quanto, in fondo, stava vivendo come ogni ragazza innamorata del suo promesso sposo, nella letizia dell'attesa del giorno delle nozze? Maria, figlia di Sion, per la fede trasmessa dai suoi genitori, per i salmi pregati ogni giorno, per la Torah ascoltata e meditata nel cuore, per la storia viva del suo popolo, sapeva che il Signore era con Lei; ma conosceva anche l'invito profetico alla gioia che giaceva nel cuore di Israele: "Gioisci, Figlia di Sion, esulta, Israele, e rallegrati con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme". E forse era proprio l'eco di queste parole a turbarla. La gioia annunciata dal Profeta infatti, non era una gioia qualunque, era quella che sarebbe esplosa all'arrivo del Messia. L'angelo non aveva ancora detto nulla, ma quelle parole così dirette e schiette, illuminavano la sua realtà, e faceva tremare i polsi. «Rallégrati, piena di Grazia: il Signore è con te»: la Grazia di cui era ricolma e la gioia a cui era invitata ad abbandonarsi, erano dunque qualcosa di molto più grande di quel matrimonio e di quell'uomo a cui aveva deciso di donare la propria vita. Quel saluto doveva essere speciale, ed Ella lo sapeva; quella voce d'angelo recava il profumo del Cielo, e il Cielo non si muove se non per qualcosa di eccezionale, e tanto bastava per turbarla, e molto. Che c'entrava Lei, fanciulla di Nazaret, con la gioia per il Messia? Che senso aveva tutto questo? In quel saluto si condensava una Storia che abbracciava generazioni, una trama fitta di peccati e perdono, e ora quel passato era tutto dentro di Lei, ed era indifesa, piccola, vergine dinanzi al compimento di tutte le parole d'amore e misericordia raccolte dal suo popolo. Che senso aveva, perché quell'annuncio ripetuto tante volte negli anni ai suoi padri, era ora rivolto a Lei, nel segreto della sua verginità, di nascosto da qualunque altro orecchio? L'annuncio che, nel buio degli anni trascorsi in esilio, e poi schiavi nella propria terra, aveva tenuto in vita la speranza dei suoi fratelli, ora giungeva a Lei, a Lei sola, la più piccola, insignificante ragazza di Israele. Che senso aveva? 

Era una domanda senza risposta. Nessun senso da scoprire, nessuna logica, nessuna spiegazione. Solo un Figlio da accogliere, il Messia da gestare e donare al mondo. Un fatto, un'elezione, un pensiero divino, troppo più grande, e non resta che abbandonarsi, consegnando, senza riserve, tutto se stessi. Al turbamento che in Maria era sorto dall'intuizione di qualcosa che in nulla corrispondeva con la sua vita, la sua persona, la sua storia, l'angelo la invita, semplicemente, a non temere. Maria è dinanzi a un'opera esclusiva di Dio, la più bella, quella decisiva per il destino di ogni uomo. Non è necessario "conoscere uomo", non è frutto della carne, anche se è un'opera che prenderà in Lei la carne per riscattare ogni carne. E' la verginità che serve, la piccolezza, la povertà, quella fanciulla che è Maria in quell'istante, la pienezza dei tempi distillata in quel suo momentoDio ha bisogno dell'impossibile per salvare chi nulla e nessuno può salvare. Dio ha bisogno di quella sua verginità, di null'altro. Dio ha bisogno di Lei, la più piccola, la più insignificante, la più sconosciuta. Dio ha bisogno della sua "umiliazione". E di una parola, il frutto del suo cuore immacolato, il frutto della Grazia che schiuda le labbra all'amen decisivo. E amen è stato, sorto dalla gioia e colmo di gioia per ridonare ad ogni uomo la gioia. Maria, infatti, si è abbandonata alla gioia  Nulla che sappia di sforzo, di rinuncia, di "decisione sofferta", come quelle che tante volte risuonano sulle labbra di chi, ritenendosi un eroe con diritto di medaglia e vitalizio, presenta il suo essere cristiano, prete o religioso con la seriosità dell'"opzione per Dio", in un triste egocentrismo che fa schiavi del fare e dell'essere. "Il verbo con cui Maria esprime il suo consenso, e che è tradotto con “fiat “ o con “si faccia “, nell'originale, è all'ottativo (génoito), un modo verbale che in greco si usa per esprimere desiderio e perfino gioiosa impazienza che una certa cosa avvenga. Come se la Vergine dicesse: “Desidero anch'io, con tutto il mio essere, quello che Dio desidera; si compia presto ciò che egli vuole“." (Raniero Cantalamessa, Terza predica d'Avvento in Vaticano, 18 dicembre 2009). Maria è la gioia, la letizia liberata dall'annuncio che svela il suo essere più profondo, la sua missione, il senso della sua vita. Il turbamento ha incontrato la gioia, l'unica risposta ad ogni turbamento: sì, il Messia c'entrava eccome con Lei, quella gioia che l'aveva turbata era divenuta la luce della sua anima, la bellezza del suo volto, il candore della sua vita. Maria è la gioia del Messia, il magnificat vivo di un'anima che tutto ha ricevuto. L'allegria di chi è spettatore di un'opera tanto più grande di lui da lasciar fare completamente e senza riserve a Dio. Maria è la gioia della libertà, l'amen gioioso di chi ha trovato l'autore della propria vita, l'unico a cui affidarla e consegnarla, nella certezza di non essere deluso: "Amen è parola ebraica, la cui radice significa solidità, certezza; era usata nella liturgia come risposta di fede alla parola di Dio. Con l'“amen “ si riconosce quel che è stato detto come paro­la ferma, stabile, valida e vincolante. La sua traduzione esatta, quando è risposta alla parola di Dio, è questa: “Così è e così sia “. Indica fede e obbedienza insieme; riconosce che quel che Dio dice è vero e vi si sottomette" (Raniero Cantalamessa, ibid.). Maria è l'amen obbediente e per questo gioioso, per una vita finalmente disincagliata dal giogo del proprio io. Maria è il tu totale, dove quel Tu è Dio. Maria è gioia perché è tutta consegnata all'Onnipotente, segno dell'impossibile che si fa, istante dopo istante, possibile. Maria è gioia perché vergine, nel cuore, nella mente, nel corpo, e lo Shemà dell'amore a Dio con tutto se stessa si compie in Lei: sì, l'amore a Dio è, innanzi tutto, la consegna a Lui della propria piccolezza, incapacità, dell'assoluta impossibilità. Per questo, l'amore è naturalmente obbediente a Colui che può laddove noi non possiamo, e quindi fonte di gioia, vera, autentica, inossidabile, la gioia dell'umiltà, della Verità, della pienezza della vita.

Si compia in me l'impossibile: nel grembo di Maria come nella nostra vita. La verginità di Maria è il guscio voluto ed eletto da Dio a dimora del miracolo, del Cielo che si racchiude in un respiro e una carne di bimbo, che rende Maria come un bicchiere di cristallo preziosissimo, debolissima e piccola, la più piccola e fragile, e, proprio per questo, destinata ad accogliere lo champagne più prezioso. La verginità è il sigillo posto all'illibatezza, alla purezza, all'incorruttibilità inattaccabile da qualsiasi concupiscenza e lussuria della carne: per avere un figlio era necessaria una Grazia speciale del Cielo, un miracolo capace di deporre la vita, custodendo e preservando la sua verginità; in noi, peccatori, la verginità a cui siamo chiamati, è piuttosto il segno umile che riconosce la propria sterilità, ovvero la debolezza che ci rende impossibile accogliere un seme e dar frutto, l'incapacità di amare. Per questo, la vita che oggi abbiamo tra le mani, con i suoi problemi, con le sue ansie, con le sofferenze, è il luogo dove risuona, dopo duemila anni, l'annuncio dell'angelo, la buona notizia di un evento imprevedibile. Che cosa vi è di impossibile nella nostra vita? Accettare il marito, la moglie, i genitori, la suocera? Accogliere una nuova vita? Il lavoro? La malattia? La precarietà economica? Noi stessi? Guardiamoci dentro e scopriamo dov'è che il sasso dell'impotenza ci preme sul cuore sino a farlo sanguinare ferito. E' proprio lì, al fondo del dolore e della frustrazione che plana oggi l'annuncio dell'angelo per deporvi il seme dell'impossibile già reso possibile. Vi sarà poi un tempo di gestazione e maturazione sino al frutto maturo, ma oggi, ora, già cambia la nostra vita, nelle parole dell'angelo il Signore stesso viene a prendere dimora dentro di noi, a sciogliere le catene, a riconciliarci, a perdonarci, a farci liberi d'amare e di donarci. Il turbamento che ci prende di fronte alla sproporzione tra quanto ci è annunciato e la povera realtà della nostra vita, è destinato a divenire gioia purissima. Molto più di qualunque gioia possiamo sperare dal nostro matrimonio, dal fidanzamento, dal lavoro; anche dalla missione. Poco importa come siamo fatti, quanti e quali difetti ci appesantiscano l'umore e spengano lo sguardo. Di Maria è detto poco, pochissimo. Solo è annotato il fatto che fosse vergine, di Nazaret, e promessa sposa. Soprattutto, che fosse piena di Grazia. Così è per noi, deboli, con una storia e un luogo che sono la nostra esistenza sino ad oggi, promessi sposi all'eterno amore, essendo stati creati per Lui. Forse oggi non abbiamo proprio nulla per cui gioire, anzi: ebbene, è proprio questa umiliazione che ci caratterizza oggi la fonte dell'unica e autentica gioia; essa infatti è figlia di un cuore che si riconosce finalmente sterile, povero, e proprio per questo oggetto dell'elezione di Dio. L'annuncio che la Chiesa, come l'Arcangelo Gabriele, ci trasmette oggi, ci svela il mistero della nostra vita: Dio ci ha colmati di Grazia, ora, in questo istante, per accogliere, umilmente, il dono dell'impossibile che si rende possibile, nelle pieghe della nostra vita d'ogni giorno. Come non gioire per un amore così grande, per la misericordia infinita di Dio che, nel nulla che siamo, compie l'opera più grande, farci suoi figli nel suo Figlio. Figli di Dio per essere, semplicemente e naturalmente, un segno del Cielo per ogni uomo, cittadini del Regno dove quello che sulla terra la carne rende impotente, è reso possibile dall'amore infinito del Padre. Siamo chiamati ad essere gioia per il mondo, liberi da noi stessi, deboli strumenti per l'opera di Dio, matite nelle sue mani come ripeteva Madre Teresa di Calcutta. E' questo il segreto della vera gioia, quella che nessuno potrà mai toglierci, la stessa annunciata a Maria: il Figlio sarà grande, lo Spirito Santo ci coprirà con la sua ombra, la vita celeste prenderà dimora in questa nostra povera carne. Basta rincorrere soluzioni, escogitare strategie, basta sforzi inutili per raggranellare briciole di felicità. La gioia vera è pronta per noi, la gioia del Messia risorto dalla morte, che ha distrutto il peccato e il suo regno di dolore: la gioia che ha inondato Maria in questo giorno unico nella povera casa di Nazaret, la stessa che ha colmato i discepoli la sera di Pasqua nel vedere il Maestro risorto. Gioia vera, gioia per ogni uomo.

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