sabato 22 febbraio 2014

Gesù ed "Il Signore degli Anelli"



Gli elementi cristiani nel celebre fantasy dello scrittore inglese John Ronald Reuel Tolkien


“Sono un cristiano, anzi un cattolico”. Così si definiva John Ronald Reuel Tolkien, scrivendo al padre gesuita Robert Murray. Scrittore ed importante studioso della lingua anglosassone, Tolkien inserì sempre riferimenti al cristianesimo nelle sue opere, evidenziando la gratitudine “per essere stato allevato in una fede che mi ha nutrito e mi ha insegnato tutto quel poco che so”, in particolare alla madre che “si uccise con la fatica e le preoccupazioni per assicurarsi che noi (lui e la sorella n.d.a.) crescessimo nella fede”.
Lo scrittore definiva poi la sua opera più celebre, Il Signore degli Anelli, "fondamentalmente religiosa e cattolica” (La realtà in trasparenza. Lettere 1914-1973, a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien). Sono diversi i temi con cui l'autore esprime la sua cattolicità nella trilogia, coniugati in modo formidabile al meraviglioso mondo abitato dai popoli di Arda da lui creato: la speranza, la provvidenza, l’umiltà, l’amicizia, l’amore, la pietà, il sacrificio, la morte, la salvezza e la risurrezione.
Innanzitutto la speranza: i popoli della Terra di Mezzo sperano nella liberazione da Sauron (il male). Questa speranza è accompagnata dalla disperazione degli attacchi degli orchi che invadono e bruciano i villaggi, uccidendo tutti gli abitanti. Entrambi i temi, però, sono accomunati dalla Provvidenza: il Palantìr, da oggetto oscuro, diviene mezzo per aiutare Frodo e Sam. Gollum, poi, compiendo il gesto di gettarsi con l’anello tra la lava del monte Fato, libera Frodo dal potere negativo che questo aveva su di lui (Tolkien dà a questo genere di eventi il nome di eucatastrofe, buona catastrofe).
Gli ultimi saranno i primi era esplicitato nelle Beatitudini dettate da Gesù, e l’umiltà di due piccoli hobbit, come Frodo e Sam, semplici ed ingenui, si trasforma in vittoria alla fine della saga, divenendo elemento centrale dei protagonisti. L’amicizia lega tutti i personaggi fin dalla nascita della Compagnia dell’Anello: quella tra Frodo e Sam, Merry e Pipino, o l’inimicizia ironica tra Legolas e Gimli. L’amicizia è spesso coronata dall’amore (Aragorn e Arwen, Eowyn e Faramir, Sam e Rosy) che emerge come un legame forte che unisce e dà coraggio.
La Misericordia e la Pietà si presentano fin dal principio della vicenda narrata ne Lo Hobbit: Bilbo, hobbit buono, zio di Frodo, mosso dalla pietà non uccide Gollum, sebbene sia un cavernicolo disgustoso che cercherà, in seguito, di sottrarre il suo "tesssoro" con inganni e tranelli al nipote Frodo.
Altro esempio di pietà e di misericordia nella trilogia è l’episodio di Théoden che decide di non uccidere, su consiglio di Gandalf, Grima Vermilinguo, nonostante avesse cospirato contro lo stesso re di Rohan. Due temi, questi, molto a cuore a Tolkien, il quale, negli anni '40, prima di partire in guerra, disse al figlio: “Stai attento, figlio mio, a non odiare; non devi combattere il nemico con le sue stesse armi”.
Questo singolare consiglio, che rispecchia a pieno la religiosità di Tolkien, viene inserito anche nell’opera, quando Gandalf consiglia di distruggere l’anello e non portarlo a Gondor per usarlo contro il nemico, come suggerito da Boromir.
Infine nel romanzo, Tolkien affronta più volte il tema della morte, strettamente collegata al sacrificio e seguita, a volte, dalla risurrezione: è il caso di Gandalf, che per il bene della Compagnia dell’anello si sacrifica combattendo contro il terribile mostro Barlog. Gandalf tornerà in una nuova veste per “continuare la mia missione”.
Paolo Gulisano, scrittore italiano e critico della letteratura inglese, particolarmente delle opere tolkieniane, ha spiegato come Tolkien non intenda impersonificare Cristo nei suoi personaggi, ma dimostrare come vivere da cristiani in un mondo “pagano” come lo è la Terra di Mezzo (Cfr. Tolkien e il Signore degli Anelli – La fantasia del potere).
Azzardando ad aggiungere altre “influenze” cattoliche che Tolkien ha dato al suo capolavoro fantasy, possiamo trovare anche una simbologia numerica cristiana, come l’età della maturità degli Hobbit, raggiungibile a 33 anni, gli anni di Cristo alla sua morte. Oppure il novero degli Anelli forgiati: uno come l’unità di Dio, 3 come la Trinità, 7 come il numero di Dio nella tradizione ebraica e che ricorre anche nell’Antico Testamento (la Creazione avvenuta in 7 giorni), e 9 come il numero perfetto, essendo tre volte la Trinità.
Al giorno d’oggi, nel quale la letteratura fantasy è vista come oscura, come un incitamento alla magia che porta i giovani a vivere in mondi del tutto personali o alienanti, Tolkien è un esempio di letteratura moderna che conduce Cristo alle nuove generazioni, facendolo entrare nelle loro vite di soppiatto, senza far rumore.
Francesco Andrea Allegretti

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Gesù e "Le Cronache di Narnia"

Cristianesimo nel fantasy dello scrittore irlandese Clive Staples Lewis


Clive Staples Lewis, filologo e scrittore dell’Irlanda del Nord, aveva una visione filosofica abbastanza complessa, data dal fatto che Lewis fu per la maggior parte della sua vita ateo. In età adulta, i suoi studi lo portarono alla consapevolezza e poi ad una forte convinzione dell’esistenza del Dio come rivelato dal cristianesimo. 
Le opere di Lewis possono essere considerate apologetiche. Egli sviluppa la sua apologia del cristianesimo ritenendo fermamente che Dio esiste e che ciò può essere dimostrato, e che anzi è più complicato dimostrare la sua inesistenza.
La morale cristiana adottata da Lewis, già espressa nel corso dei suoi interventi radiofonici The Case for Christianity, si ritrova nella sua opera più famosa: "Le Cronache di Narnia". I libri che compongono la saga - che prende il nome latino della città umbra di Narni - possono essere letti come una storia del mondo pregna di profonde allusioni alla dottrina cristiana: dalla creazione ne "Il nipote del mago", in cui il possente leone Aslan cammina in un prato facendo affiorare dal terreno ogni cosa; alla svolta  de "Il leone, la strega e l’armadio", dove lo stesso Aslan si sacrifica e poi resuscita per la salvezza del suo popolo e del giovane Edmund. Infine, ne "L'ultima battaglia", compare la Strega Bianca, chiara illusione al male, fino alla fine del mondo-
In questi tre dei sette libri che compongono la saga, possiamo quindi vedere in Aslan una rappresentazione di Cristo, in quella dell’Imperatore d’Oltremare una rappresentazione di Dio, in quella della Strega Bianca, come già detto, quella del male, e, nell’ultimo libro, troviamo una rappresentazione dell’anticristo nell’asino travestito da Aslan.
La teologia è quindi ben inserita all’interno delle storie di Lewis. Egli stesso sostiene che i personaggi e i fatti non siano allegorici, ma “supposizionali”, ovvero più simili a qualcosa, come una storia alternativa. Così scrive infatti ad un giovane ammiratore: "Io non mi sono detto 'Rappresentiamo Gesù come Egli è realmente nel nostro mondo come un Leone in Narnia'; mi sono detto 'supponiamo che ci sia una terra come Narnia e che il Figlio di Dio diventi in questa un Leone, come è diventato un Uomo nel nostro mondo, e quindi immaginiamo cosa succede'"(The Allegory of Love, 1936).
Lewis, contemporaneo, collega e amico di Tolkien, è riuscito in modo formidabile a ripercorrere i maggiori fatti biblici in chiave fantasy, riproponendola ai giovani, ma anche agli adulti ed ai bambini, per far comprendere a tutti il messaggio portato da Cristo. Il contributo di entrambi gli scrittori, in tal senso, è fondamentale. 
Francesco Andrea Allegretti
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Sotto una buona stella

Arrivata nelle sale italiane l'ultima fatica di Carlo Verdone, nella quale racconta la storia di una famiglia ferita dal divorzio, che riesce progressivamente a ricongiungersi

Federico Picchioni è un uomo affermato: ha un buon lavoro e una bella casa che condivide con Gemma, la sua convivente, dopo che ha abbandonato, molti anni prima, la moglie e i due figli. In pochi giorni il mondo gli crolla addosso: la sua azienda chiude per le malversazioni del suo presidente; la sua ex moglie muore e i due figli ormai ventenni, Lia con sua figlia e Niccolò, si installano in casa sua, facendo fuggir via Gemma e la domestica nel giro di 48 ore.
La convivenza non è facile: i figli gli rinfacciano di averli abbandonati e solo l’arrivo di una nuova vicina, Luisa, che di mestiere fa il tagliatore di teste, sembra comprendere i suoi problemi…. 
Questa volta ci siamo. Verdone continua a esplorare i problemi della contemporaneità sia nel privato (ritorna il tema del rapporto padre-figlio, già affrontato in altri suoi lavori) che nel sociale (la crisi economica, i giovani che se ne vanno all’estero) ma questa volta si presenta con uno stile più maturo e una visione del mondo più equilibrata. 
Verdone appare ora un regista maturo che calibra bene l’alternanza fra i momenti comici e quelli drammatici, il tutto condito con quel tono dolce-amaro  che gli è così caratteristico. La comicità, sviluppata per quadri, è giocata tutto su una scelta felice di bravi caratteristi (i due esaminatori degli aspiranti cantautori) ma soprattutto nei duetti che Carlo Verdone e Paola Cortellesi riescono a imbastire (Paola che fa la finta rumena, la mimica degli amplessi per chi ascolta dall’altra parte del muro, la discussione sulle modalità del primo bacio). Si tratta di gag e quadri comici che non diventano mai prevalenti e non ostacolano l’avanzare fluido del racconto. Si resta perplessi solo alle sequenze di Luisa che esercita il mestiere di tagliateste: dopo il film Tra le nuvole con George Clooney, sarebbe stato difficile dire qualcosa di più sull’argomento e in effetti sembra di assistere a una brutta copia di quanto già visto nel film americano. 
Carlo Verdone ha abbandonato da tempo il tema dei rapporti di coppia per concentrarsi, negli ultimi lavori, sulla difficoltà dei rapporti familiari: con gli ultimi Io, loro e Lara e Posti in piedi in Paradiso abbiamo assistito a un caravanserraglio di parenti egoisti, avidi, sazi dei loro vizi  ma al contempo depressi e se entrambi i film approdano a un finale consolatorio, noi non restiamo consolati  perché  i protagonisti sembrano, come minore dei mali, cercare almeno di restare uniti e solidali fra di loro, in una forma di complice perdono reciproco più che approdare a una vittoria sulle loro debolezze. 
In questo Sotto una buona stella ci troviamo di fronte a un Carlo Verdone un po’ diverso: il protagonista appare gentile e conciliante, dotato di pazienza e aperto alla speranza. Un padre che troppo egoisticamente ha abbandonato la propria famiglia, due figli sbandati e superficiali, riescono, a poco a poco, a seguito di una coabitazione forzata, a conoscersi meglio e a comprendersi. Federico riesce perfino a esaltare il valore dell’anima, quando deve difendere suo figlio, aspirante cantautore, dallo sbrigativo giudizio di due rozzi esaminatori. 
Mentore di questa metamorfosi è la vicina di casa Lucia,  che consente a questa scombinata famiglia (ma anche lei ha un passato da dimenticare) di vedersi riflessa, con tutte le sue debolezze, in una donna in grado di trasferire serenità e dolcezza, quasi un surrogato della madre e moglie che a loro è venuta a mancare. 
Un elogio particolare si merita Paola Cortellesi, qui molto ben diretta, che sa modulare la sua interpretazione alternando situazioni comiche a momenti di più intensa tristezza. 
Non possiamo dire lo stesso dei due giovani, Lorenzo Richelmy e Tea Falco: sono sicuramente due bravi attori, ma sono stati ingabbiati nello stereotipo del giovane intellettuale alternativo, che Verdone non ha voluto o saputo approfondire, e essi sono rimasti semplicemente dei “diversi”, separati da lui da un gap generazionale incolmabile. 
Da notare che appaiono nel film alcuni scorci di Roma molto belli, molto sentiti di quelli, oleografici, del recente La grande bellezza
Franco Oleari

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Mia moglie: un dono stupendo di Dio!

Un avvocato, padre di cinque figli, prova a scrivere libri senza dimenticare il Creatore


Federico Vincenzi non è solo un bravo avvocato penalista del Foro di Brescia, ma anche uno scrittore, nonché marito e padre di 5 figli. In questi giorni, escondo due libri a sua firma, anzi due e-book molto diversi tra loro. Alla fine del 2013, Vincenzi ha pubblicato in edizione e-book due romanzi: Cinquesettecinque-solo contro tutti! Il caso Rashida e I limiti della perfezione. Nel primo impiega 169 pagine per raccontare la storia di una bambina, una madre e un padre. E’ la storia di un omicidio, del processo vissuto dall'avvocato in piena solitudine, abbandonato addirittura dai suoi stessi clienti: solo contro tutti, come dice il titolo. Poi parla di morta, la morte improvvisa, quella che senza preavviso bussa alla porta e non consente nemmeno di consumare il tempo delle lacrime, perché sorge una domanda: "Chi è stato?”. I limiti della perfezione racconta invece, in 88 pagine, la storia di Filippo ed Esther, due cuori legati prima dall’amore e poi dall’odio. L’avvocato Vincenzi ha inoltre pubblicato Quéz! Ormoni e macchine e L'avvocato e lo stregone per le edizioni Bietti. Ha pubblicato anche Apri gli occhi (Edizioni Albatros), e dato che per ogni figlio fa uscire un libro, ora che ne ha cinque si sentiva in debito. Di seguito l'intervista, o meglio il "botta e risposta" dello scrittore con ZENIT.
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Sei più avvocato o più scrittore?
Vincenzi: Bella domanda! Sinceramente oggi non mi sento né uno, né l'altro...
Quando hai iniziato a scrivere?
Vincenzo: Ho sempre scritto storielle per divertirmi, anche se ho iniziato a pubblicare quasi per caso, su richiesta di un editore che avevo conosciuto in un bar. Ho scritto il mio primo libro L'avvocato e lo stregone, nel 2000, poi ci ho preso gusto.
In tutti i tuoi libri è sempre presente, in qualche modo, Dio.
Vincenzi: Dio è presente nei miei libri perché è presente nella mia vita. Se scrivere è comunicare qualcosa di proprio, allora non posso dimenticare Dio.
I tuoi personaggi hanno qualcosa di autobiografico o si ispirano molto a persone reali?
Vincenzi: E' vero: ho la mania di osservare le persone che frequento – sia abitualmente che occasionalmente - ho la mania di catturare da ciascuna di loro un pezzo di personaggio. In ogni caso, più che persone precise i miei personaggi sono sempre mosaici.
In entrambi i romanzi non parli di un luogo preciso, perché?
Vincenzi: Non mi affeziono mai a luoghi. Così mi piace che chi legge disegni l'ambiente in cui si verificano i fatti come vuole.
Quanti libri ha scritto finora?
Vincenzi: Siamo a quota cinque, uno per figlio.... Sono partito con L'avvocato e lo stregone, poiQuéz (Bietti 2001), Apri gli occhi (Albatros, 2009) e gli ultimi due, che a dire il vero sono autopubblicati online.
Perché hai scritto questi due libri?
Vincenzi: I limiti della perfezione è un regalo per mia moglie. A lei piace che le scriva storie. L'ho fatto per lei. 575 invece è una storia quasi vera. Dovevo scrivere una lunga memoria in un processo, e avevo paura di tediare il Giudice con pagine e pagine scritte in “avvocatese”. Allora ho provato a dare un po' di tocco artistico, tanto per annoiare meno chi doveva leggere.
Dov’è possibile acquistarli?
Vincenzi: Solo online. Dal mese prossimo saranno disponibili in versione cartacea su Amazon, però ora sia in e-book che cartaceo su Lulu.com.
575... Che titolo è?
Vincenzi: E' il numero dell'articolo del Codice penale che punisce l'omicidio. Nel gergo di noi avvocati usiamo più i numeri che le parole per indicare i reati.
Il caso Rashida è vero?
Vincenzi: In molte, moltissime sue parti, purtroppo si.
In 575 denunci alcuni problemi della giustizia, come le lentezze processuali.
Vincenzi: La giustizia – intesa come servizio pubblico - funziona poco e male. Credo che il primo passo da fare sia quello di cambiare il nostro atteggiamento: non mi approccio alla giustizia cercando di farla franca o di ottenere il massimo profitto, ma semplicemente per afferma una verità. Non ho mai trovato un cliente con questo atteggiamento.
Cos’è la giustizia?
Vincenzi: È la ricerca di una verità. Di certo non l'esito di una battaglia di scartoffie, come oggi invece viene intesa. A mio parere la Giustizia è la scoperta della volontà di Dio: per questo prima di ogni udienza rivolgo al Signore una preghiera, chiedendogli che sia fatta la sua volontà.
Il protagonista del romanzo è un avvocato con 3 figli e che va a messa…
Vincenzi: Ehm, ora ne ha cinque, e grazie a Dio continua ad andare a messa!
Cosa vuol dire la frase “Se credi nel paradiso non piangi per chi muore"?
Vincenzi: E' difficile accettare la morte. Ma Papa Wojtyła diceva che alla fine della strada c'è sempre la luce di Cristo. Solo in questo modo possiamo accettare la sofferenza e la morte. Altrimenti restano solo lacrime senza speranza.
Com’è nato I limiti della perfezione?
Vincenzi: Quasi per caso.
Quali sono i limiti della perfezione?
Vincienzi: I limiti della perfezione sono – perdonate il gioco di parole – nella perfezione stessa, che non è di questo mondo. E rischia di diventare un'ossessione.
Esther e Filippo sono una coppia alla deriva per mancanza di comunicazione. E’ così difficile comunicare oggi?
Vincenzi: Basta andare in un bar e guardare le persone: o sono sole o "smanettano" con il cellulare senza degnare di una parola chi gli sta seduto innanzi. Sì, oggi è molto difficile comunicare.
Che cos’è l’Amore, secondo te?
Vincenzi: Accettare l'altro con i propri difetti, accettare di soffrire per l'altro, proprio come ci fu insegnato circa 2000 anni fa.
“Si può essere cristiani e avvocati”?
Vincenzi: Si DEVE esser cristiani e avvocati. La fede non la si vive per compartimenti stagni: ora sono fedele in chiesa, tra un'ora sarò avvocato senza scrupoli. No. E poi San Paolo dice che addirittura Cristo è avvocato!!! A dire il vero, però, molti clienti non condividono certe mie posizioni “cristiane”. Pazienza.
In questo romanzo affronti anche, con una certa sensibilità, la femminilità e i suoi problemi. Chi ti ha ispirato?
Vincenzi: Mia moglie: un dono stupendo di Dio.
Gravidanza e corpo che cambia: una gioia immensa, una tragedia?
Vincenzi: Gioia immensa, senza dubbio. Il corpo di una mamma in attesa acquista luce.
Elisabetta Pittino