mercoledì 26 febbraio 2014

"Buona cosa il sale; ma se il sale diventa senza sapore, con che cosa lo salerete?"

L'ANNUNCIO di oggi, 27 febbraio

Gesù è in cammino verso Gerusalemme, il suo destino, e sullo sfondo, si distinguono i tratti della Croce, disegnati sin dalle sue prime parole: il bicchiere d'acqua per i discepoli assetati, la sete di coloro che sono di Cristo, la sete di Cristo crocifisso. Con essa si compie la passione del Signore e la croce brilla in tutto il suo splendore: "In Gesù, la sete è il desiderio di comunicare i suoi doni, lo Spirito Santo" (Ignace de la Potterie, Il mistero del cuore trafitto). La sete di Gesù è un desiderio d'amore, di salvezza per ogni uomo. Lo aveva compreso sino in fondo Madre Teresa di Calcutta: "Il grido di Gesù sulla croce, "Ho sete", che esprime la profondità del desiderio di Dio dell'uomo, è penetrato nell'anima di Madre Teresa e ha trovato terreno fertile nel suo cuore. Placare la sete di amore e di anime di Gesù in unione con Maria, Madre di Gesù, era divenuto il solo scopo dell'esistenza di Madre Teresa, e la forza interiore che le faceva superare sé stessa e "andare di fretta" da una parte all'altra del mondo al fine di adoperarsi per la salvezza e la santificazione dei più poveri tra i poveri" (Giovanni Paolo II, Omelia per la beatificazione di Madre Teresa di Calcutta). Il desiderio di una santa coincide così con il desiderio del Signore. La sete di Gesù, sulla croce come al pozzo di Sicar, dove si fa mendicante presso la donna samaritana, immagine dell'umanità idolatra. La sua sete nel sole caldo di mezzogiorno accende nella donna la sete di un'acqua che zampilli per la vita eterna: la sete di Gesù accende la sete di Vita, come il desiderio di Gesù di salvare ogni uomo, innesca il desiderio di Lui nell'uomo. La sua sete suscita quello che un filosofo contemporaneo, René Girard, chiama l'imitazione di Gesù, l'imitazione del suo desiderio. Coloro che non conoscono Gesù hanno il diritto di incontrarlo nei suoi fratelli. Lo ribadisce tutta l'ecclesiologia del Vaticano II. Per questo basta "un bicchiere d'acqua" donato ai discepoli nel Nome di Cristo, perché sono suoi, per non perdere la ricompensa. Il Cielo, Gesù stesso si fa loro ricompensa, proprio attraverso la sete dei discepoli, la stessa sua sete, lo zelo d'amore che lo divora, così potente da accendere in chiunque si imbatta in Lui una sete inestinguibile di Lui. La sete dei discepoli è l'occasione, la possibilità donata ad ogni uomo di partecipare dei beni che essi incarnano nel loro desiderio. La vita nuova in Cristo appare nel loro desiderio, lo stesso di Cristo, che coincide in un amore che trascende i limiti di questo mondo, l'agape, l'amore crocifisso, il "sale" che si scioglie come il chicco di grano caduto in terra deve morire per portar frutto. Il sale infatti, non solo biologicamente, è legato alla sete. Essa suppone anche una mancanza, una povertà, una nudità: la sete dei discepoli costituisce, infatti, anche l'immagine della loro vita crocifissa con Cristo: il suo l'amore sprigionato in loro attraverso il loro vivere crocifisso. La sete è il segno di un amore che genera stupore e tenerezza in chiunque si incontri. Non a caso i discepoli sono chiamati da Gesù i piccoli, i bambini. Non a caso San Paolo qualifica gli apostoli come la spazzatura del mondo, messi all'ultimo posto, spettacolo per il mondo e per gli angeli. I discepoli crocifissi, portano ogni giorno nel loro corpo il morire di Gesù, perché, a beneficio di tutti, possa essere manifestata in loro la resurrezione del Signore. Ogni discepolo vive come San Paolo con una spina nel fianco. Come un assetato è sempre debole e bisognoso, eppure proprio in questa condizione si fa presente la potenza di Dio. La Croce è il mezzo concreto perché si faccia visibile Dio. La piccolezza indicata dalla sete è dunque una condizione indispensabile del discepolo, funzionale alla sua missione. La debolezza che scaturisce dalla Croce, con le sofferenze, le persecuzioni, gli affanni tipici dell'apostolo, ovvero il sale di cui parla Gesù. Così Egli ci mette in guardia sui pericoli molto concreti che si addensano su coloro che sono di Gesù: lo scandalo e perdere il sapore, aspetti diversi di un'unica possibilità, rinnegare Cristo. Sono molti i piccoli che hanno iniziato a credere, gli stessi che forse hanno mosso i primi passi proprio commuovendosi di fronte a un discepolo assetato, crocifisso. I piccoli che hanno appena visto in un cristiano Colui che lo ha inviato, e, mossi intimamente dalla testimonianza, hanno iniziato a desiderare un'altra vita in un cammino di conversione, sono ancora molto deboli nella fede. La Chiesa è chiamata ad avere pazienza, ad aprire ovunque cammini di conversione dove i piccoli possano essere gestati alla fede senza ricevere scandali. Ambienti protetti, come "ospedali da campo", dove saranno accolti prima in terapia intensiva e poi nei reparti, e successivamente accompagnati nella riabilitazione, sino a rinascere come figli pronti alla Croce. Così, salvati dalla Croce, i piccoli diventano adulti nella fede restando piccoli insieme a Cristo: dalla Croce alla Croce, prima salvati e poi a salvare, è questo il cammino profetizzato nel brano di oggi. Piccolo è chiunque sia di Cristo, chi vive nella debolezza e nella precarietà della vita la propria fede. "Piccoli" sono i cristiani, e possono subire scandali dai grandi secondo il mondo, da chi ha cambiato casacca e appartenenza, da chi non è più di Cristo ma dell'avversario, i cristiani da salotto, come ripete spesso Papa Francesco. Essi riducono la Chiesa a una comunità chiusa, che esclude l'irrompere dello Spirito nei luoghi e nelle persone che meno ti aspetti. Nei momenti difficili Dio appare nei carismi che si incarnano e fanno saltare vecchie alchimie, metodi atrofizzati come ripeteva Giovanni Paolo II. Essi sono stati e sono "i piedi" che corrono e le "mani" che si distendono verso i piccoli, i poveri, i peccatori, che proprio non ce la fanno ad andare a messa, alle riunioni o ai corsi biblici. Sono "gli occhi" che intercettano i dolori e le paure che sommergono gli uomini nelle periferie dell'esistenza. Frustrare piedi, mani e occhi rinnovati di zelo e coraggio significa "scandalizzare" i piccoli, farli inciampare nel cammino di conversione, chiudergli il Cielo e rubargli la speranza. E' meglio che i cristiani, pastori e semplici fedeli, "taglino" le loro "mani, i loro "piedi, e cavino i loro "occhi" se sono ormai chiusi nel timore di uscire, rischiare tempo e piani pastorali, e sporcarsi per andare in cerca della pecora perduta. Vale per Vescovi e preti come per sposi, genitori e amici. E' "meglio tagliare" la carne che impedisce allo Spirito di operare nella Chiesa e schiudere così il Regno dei Cieli... Le parole di Gesù rispondono ancora alla questione posta da Giovanni circa l'uomo che scacciava i demoni pur non essendo parte del gruppo dei discepoli. Gesù invita la sua Chiesa a convertirsi ogni giorno, a circoncidere cuore e carne per non cedere alla tentazione del narcisismo spirituale, un sofà dove sprofondare e giudicare, escludere, disprezzare. Siamo chiamati a restare crocifissi con Lui, aprendo le braccia verso tutti, inchiodandole al suo amore: "Essere discepolo senza rinunciare, senza soffrire, è una contraddizione tanto manifesta quanto un sale che ha perduto la sua qualità di sale. La qualità costitutiva del discepolo è inseparabile dal ruolo che egli deve compiere nel mondo... Si vede allora come colui che deve avere il sale può egli stesso essere identificato con il sale. Da una parte il sale non ha ragion d'essere se non per la funzione che deve svolgere sulla terra. D'altra parte.... in Palestina si conosce un sale - sia che si tratti di un miscuglio depositato dal Mar Morto o delle piastre di sale utilizzate nei forni - del quale si può dire che deve rinchiudere la forza del sale, poiché in teoria si può perdere.... Così i discepoli che non sapranno sacrificare tutto potranno ancora chiamarsi discepoli, ma mancherà loro ciò che fa il discepolo" (O. Cullmann , La fede e il rito). Tutti, infatti, saranno salati con il fuoco. C'è un fuoco che rimanda allo Spirito Santo, ed un fuoco che è immagine dell'amore e della gelosia divina. La storia di ogni uomo, e, in modo particolare dei discepoli, di tutti noi, sarà dunque percorsa da queste fiamme che divorano ogni scoria, ogni scandalo. La croce ne sarà lo strumento incandescente. L'amore di Dio non permetterà la rivincita del demonio e le tenterà tutte per salvare quelli che sono di Cristo. La croce, la prova, la persecuzione, la sofferenza sono i viatici che Dio ci dona per condurci a Gerusalemme, per non essere gettati fuori di essa, come un rifiuto "nella Geenna". Il fuoco del suo amore arderà anche oggi la nostra vita, e giungerà dalla moglie, dal marito, dai figli, dalla suocera. Ma è un ardere che ci proteggerà per non cadere nel fuoco eterno della sua assenza. Così, come ogni sacrificio dell'antica alleanza, il discepolo deve essere salato con la croce, la porta stretta che si apre su Gerusalemme. Gerusalemme è la nostra Patria, il nostro destino, alla cui dimenticanza è preferibile che si paralizzi la mano destra, che sia tagliata direbbe Gesù. Si tratta di aver sete, di desiderare il desiderio di Cristo, mendicare come Lui alle porte d'ogni uomo, come l'ultimo, come San Francesco. Nella Chiesa il Signore ci dona il suo pensiero e i suoi sentimenti, il sale dell'amore crocifisso. E' questo il grembo della "pace" tra i fratelli, l'unità, la comunione che è il segno più concreto d Dio sulla terra