giovedì 16 gennaio 2014

"Perché pensate cose malvagie nei vostri cuori?"



L'ANNUNCIO di oggi, 17 gennaio


Il nostro pensare bene di Dio si infrange sullo scandalo di una paralisi. Le "cose malvagie pensate nel cuore" sono il nostro modo di tentare Dio per trascinarlo su cammini che non gli si addicono, perché divenga un taumaturgo piegato ai nostri desideri, mostrando così di non conoscerlo, e di non conoscere noi stessi. Gesù “annuncia la Parola”, ma chi ha il cuore avvelenato come gli scribi, non può accoglierla; essa è di scandalo, fa inciampare i superbi nei “ragionamenti” con i quali si incatenano in se stessi, i “perché?” e i “chi è costui?” con i quali ci chiudiamo stoltamente al dono della Grazia. Gli scribi, con tutto il loro studiare, ancora non hanno compreso che vi è una sola paralisi: il peccato, e li riguarda esattamente come quel paralitico che hanno dinanzi. Essi sanno che “solo Dio può perdonare” ma non possono riconoscere nella Parola del Maestro di Nazaret il segno della presenza di Dio che si è fatto carne anche per loro. Non ne hanno bisogno; non si sentono peccatori, osservano e giudicano illudendosi d’essere a posto, impermeabili alla misericordia. Anche noi vorremmo capire i perché di tante atrocità e ingiustizie. Ma rifiutiamo di accettare che esiste una radice del male: la Scrittura ci rivela che la morte è entrata nel mondo per invidia del demonio e ne fanno esperienza quelli che gli appartengono. E il male si spande, anche sugli innocenti. Ma noi, che innocenti non siamo, ne siamo schiavi, paralizzati, stesi sul letto della solita vita. Il salmo 41 descrive profeticamente l'episodio del Vangelo: "Io ho detto: «Pietà di me, Signore; risanami, contro di te ho peccato». Chi viene a visitarmi dice il falso, il suo cuore accumula malizia e uscito fuori sparla. Contro di me sussurrano insieme i miei nemici, contro di me pensano il male: «Un morbo maligno su di lui si è abbattuto, da dove si è steso non potrà rialzarsi». Si tratta proprio dei “ragionamenti” degli scribi che pensano il male, come del pensiero unico che domina la nostra cultura. Essa, visitando i sofferenti, dice il falso e sparla di Dio e dell'uomo; rifiutando l’antropologia rivelata dalla Scrittura nega la speranza della risurrezione per opporvi illusori paradisi terreni. Così anche noi, mentre “giaciamo” nel peccato, pensiamo cose malvagie di Dio. Dare del bestemmiatore a Gesù significa non riconoscere il peccato, guardarlo con supponenza, sorvolarne la serietà e la drammaticità, pensando che sia più facile scoprire una medicina, o intervenire sui geni manipolandoli nell’illusione di estirpare il dolore e il male; ma finiamo poi con l’eliminare gli embrioni “difettosi”, perpetrando e perfezionando l’eugenetica nazista. Quanti genitori, quanti sposi, quanti di noi, scelgono il sistema eugenetico obbligando gli altri a diventare quello che non possono essere, convinti che la paralisi che impedisce la coerenza, la concentrazione, l’impegno, l’onestà, la fedeltà e l’amore si possa guarire con la sapienza carnale, la psicologia, le terapie di gruppo, l’impegno su se stessi, la paura della Legge svuotata dello Spirito...  Pensare che sia più facile intervenire sulle strutture della società e le ingiustizie piuttosto che nel cuore da dove esse provengono, è di chi è nemico della sua Croce. Ignorare il peccato è ignorare Dio, il suo potere rivelato nel suo amore. Ci chiediamo “chi” sia Dio, ma in fondo non possiamo accettare un Dio che sembra non agire contro le ingiustizie, e preferiamo dimenticarlo, o cercare comunque e ad ogni costo un capro espiatorio su cui riversare il dolore e il risentimento. Agli occhi del mondo, la paralisi non indica il disordine del peccato, è piuttosto un incidente a cui ribellarsi: agli occhi degli scribi quel paralitico non è uno schiavo di cui avere misericordia, ma un'occasione di scandalo di fronte alla quale reagire con la malvagità che colma i loro cuori. E così, chiudendosi alla misericordia aprono il cuore alla bestemmia contro lo Spirito Santo, il peccato che non può essere perdonato. Gesù, invece, che ci ama infinitamente, si confronta con il peccato: Egli si trova già “nel punto” dove si cela il male. Per ogni paralitico, infatti, è sceso dal Cielo scoperchiando il tetto che separava l’uomo da Dio. E lì incontra il paralitico personalmente: “Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati!”. Gesù non si rivolge ad un male generico, alle ingiustizie, alle paralisi, ma parla ad una persona concreta, al paralitico, come a te e a me oggi, e annuncia il perdono dei suoi peccati, come dei tuoi e dei miei. In Lui i peccati sono "lasciati andare, dimessi", come recita l'originale greco tradotto con "rimessi": è giunto il definitivo Yom Kippur, non abbiamo bisogno di cercare più il capro espiatorio da "lasciare andare" nel deserto, perché il Messia si carica di ogni peccato per offrirci la vera liberazione. Il mistero del male, infatti, si svela solo nel perdono. Esso ci fa accettare le conseguenze dei nostri peccati e, in esse, le conseguenze dei peccati di ogni uomo. Da questa attitudine nasce l'umiltà e spariscono i pensieri malvagi, i giudizi, la malizia che si scatena contro “l’esterno della coppa” dei fratelli e della società. Basta solo lasciarsi amare, riconciliare, perdonare, accettare d’essere peccatori, e “gettarsi ai suoi piedi”, piangendo e implorando, aiutati e accompagnati dalla Chiesa. Nella liturgia eucaristica, prima di accostarci alla comunione, ripetiamo con il Celebrante: "Oh Signore, non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa". Gesù, infatti, è mosso a compiere il miracolo del perdono dalla fede degli amici del paralitico . Abbiamo bisogno della comunità, dei pastori e dei fratelli, del Popolo santo che è capace, per amore del povero e del debole, di scoperchiare i tetti "nel punto dove è Gesù". La Chiesa apre per noi un cammino di salvezza, schiudendo i tetti che ci accerchiano nella paura di andare a Cristo nella Verità. Essa ci accompagna a Lui attraverso la predicazione dei “quattro” evangelisti, simboleggiati dai “quattro uomini” che “portano” l’infermo. E’ la Chiesa nostra Madre che "cala il lettuccio su cui giace il paralitico", che conosce la nostra storia, ogni nostra sofferenza, e, senza giudicare e senza esigere, con tenerezza e pazienza, ci conduce al trono della misericordia. Per conoscere il potere di Dio e sperimentare l’autentica guarigione sul peccato e sulla morte, occorre scendere dalle altezze dei nostri sogni e delle alienazioni e lasciarci calare sino ai piedi di Gesù per ascoltare il suo “annuncio”. Esso ci libera, riconcilia e “risveglia” alla vita autentica “davanti a tutti”, come un segno di speranza e una profezia del perdono, nel mondo che «non ha mai visto nulla di simile». Ricreati in Cristo possiamo tornare “a casa” - nella famiglia, al lavoro, a scuola, nella storia di ogni giorno - “prendendo con noi il lettuccio”, che è la memoria dei nostri peccati e la consapevolezza della nostra debolezza; così finiremo di presumere di noi stessi, e, non dimenticando da dove ci ha tratto il Signore, sapremo camminare nella gratitudine, grembo fecondo di ogni annuncio del Vangelo. Il nostro andare nella vita risanati caricando ogni giorno la Croce è il segno che Dio ha pensato perché chi ci è accanto possa aprirsi all'annuncio e alla fede. L'amore di Cristo che ha offerto se stesso sul letto della Croce, infatti, può trasformare il giaciglio che ci ha visti prigionieri del peccato in un talamo nuziale dove possiamo donarci a Lui e al prossimo, e trovare riposo  per le nostre anime.