martedì 24 dicembre 2013

Natale del Signore 2013

Il Natale viene dentro di noi oggi con l'augurio che il Bambino nasca nella nostra vita. Si presenta piccolo, inerme, ma tiene nella sua piccola mano il mondo e la storia. Oggi io posso entrare nella sua scia di luce e sperimentare dentro di me la nascita di una nuova umanità, quella del Verbo incarnato, per vivere in modo nuovo, imbastendo la mia esistenza quotidiana sulla nuova legge dell'amore e del dono di sé. E' questo l’augurio più bello che possiamo farci a Natale.

Pb. Vito Valente

Natale: La festa di "Tre Nascite"

Lectio Divina di monsignor Francesco Follo per la liturgia della Natività del Signore


Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture liturgiche per il Natale del Signore.
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LECTIO DIVINA
Natale: La festa di “Tre Nascite”: nel cuore del Padre, eternamente, dal seno della Madre e nel cuore dei pastori, temporalmente
Messa della Notte: Is 9,2-4. 6-7; Tito 2,11-14; Lc 2,1-14.
Messa dell’Aurora: Is 62,11-12; Tito 3,4-7; Lc 2,15-20.
Messa del Giorno: Is 52,7-10; Eb 1,1-6; Gv 1,1-18
            1) La Messa della Notte: la festa del Cielo.
            Nella notte del mondo, che l’Avvento ha rischiarato nell’operosa attesa della pienezza dei tempi, Gesù Figlio di Dio viene sulla Terra e dà luce agli occhi della mente e del cuore. La Parola si fa carne che ora non solo è udibile, ma è anche visibile. Il Verbo di Dio, che nasce nel mondo, è incontrabile. Siamo chiamati a crescere nella fede che Dio si è fatto uomo. Siamo chiamati a vederLo fatto uomo in una grotta e a vederLo in un bambino che non sa difendere nemmeno se stesso. Siamo invitati a celebrare questa manifestazione dell’Amore di Dio, che oggi si fa carne mediante il sì del nostro cuore.
            Il Natale è così carico di mistero che la Liturgia ci propone tre Messe[1] per celebrarlo facendoci vivere santamente tre momenti dello stupore e di gioia della Chiesa per la nascita del Salvatore.
            Il primo momento è la Messa della Notte, che inizia con il canto d’introito: “Il Signore mi ha detto: “Tu sei mio Figlio, io oggi ti ho generato” (Sal 2,7).
            E’ il momento del Padre, la cui volontà buona e amorosa “usa” il cielo e la terra, e la volontà degli uomini, per far nascere a Betlemme (che vuol dire: Città del Pane) il Pane degli Angeli e donarlo come cibo di vita vera agli uomini.
            E’ il momento della madre benedetta, Maria, che, nel primo incontro con il Figlio, lo avvolge in poveri panni e ne ha cura con umili gesti. Il suo lavoro di madre è un atto di culto al Creatore, che si è incarnato e deve essere lavato e vestito, come ogni neonato. L’ambiente squallido della grotta non rattrista Maria. Il Padre si incarica di organizzare la festa per la nascita nel tempo di Suo Figlio e manda una schiera di Angeli festosi che cantano: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini, che [tutti] sono amati da Dio”.
            E’ un fatto piccolo, minuscolo che nessun testo storico dell’epoca, nessuna cronaca registra. Eppure è il fatto che ha cambiato il mondo. E’ davvero così: Dio è diventato re di questa terra facendosi bambino e il Padre che è nel cielo, attraverso gli angeli, invita gli uomini a far festa, perché “è nato il Signore”. E qual è il segno di questo fatto “eccezionale”? Un bambino fasciato e adagiato nella mangiatoia. Nulla di speciale. Un bambino che come tutti i bambini in fasce non può muoversi e che se ne sta lì come incatenato nelle bende in cui è stato avvolto. Grazie a Dio, i pastori credettero alla parola degli Angeli.
              2) La Messa dell’Aurora: la Festa della Terra.
            Infatti, quando gli Angeli, risalendo al cielo, si furono allontanati, i pastori presero a dire: “Andiamo fino a Betlemme a vedere cosa è accaduto e che il Signore ci ha fatto sapere. Andarono in fretta e trovarono che quello che era stato detto loro dagli angeli era vero” (cfr Lc 2, 15-20). I pastori andarono, videro questo segno indicato dal Cielo e credettero. Credettero perché seppero passare dallo straordinario degli Angeli che cantavano in cielo all’ordinario umile di una grotta. Questi poveri uomini furono capaci di fare come il Signore fattosi bambino. Come il Dio che è nell’alto del cieli aveva percorso la stessa strada dell’umiltà così anche loro la percorsero. In effetti, per trovare Dio occorre fare come Lui: “scendere” verso i fratelli poveri, sofferenti, assetati, nudi, malati e prigionieri: là, con l’incarnazione, è il suo posto ora. Con tutti questi lui si identificò e continua ad identificarsi. Questa è la gioia grande che oggi ci è annunciata: Dio ci ha inviato il Salvatore. E se, da una parte, tutti noi siamo poveri di vita e incatenati alla necessità di essere salvati, d’altra parte, in questo Natale – ma non solo oggi- siamo inviati ai poveri e agli incatenati, poiché siamo partecipi di questa Salvezza, gioia da condividere.
            La festa del cielo, dove gli angeli cantano la gloria di Dio e la pace per gli uomini sulla terra comincia ad essere una festa della terra, dove dei poveri pastori hanno la grazia di vedere il Bambino divino e la sua Madre, piena di soavità. I pastori sono i primi testimoni esterni e i primi fortunati partecipi a questa festa della salvezza donata dal Dio, ricco di misericordia. Su loro, e grazie anche a loro su di noi, oggi splende la luce,
perché è nato per noi il Signore;
Dio onnipotente è il suo nome,
Principe della pace, Padre dell'eternità:
il suo regno non avrà fine (cfr Antifona di introito della Messa dell’Aurora).
            La seconda Messa di Natale, chiamata dell’Aurora, celebra la prima manifestazione del Verbo all’umanità rappresentata dai pastori che si misero ad adorare la Parola “abbreviata”[2] in un bambino in fasce. I pastori accettarono Gesù Bambino come “unico cuore del loro cuore” (San Pio da Pietrelcina) e ne furono confortati e corroborati: ebbero la gioia piena. E appena scorsero, nella poca luce della Stalla, una Donna giovane e bella, che contemplava in silenzio il figli, e videro il bambino cogli occhi da poco aperti alla luce del mondo, quel corpicino delicato, quella bocca che non aveva ancor mangiato, il loro cuore s’intenerì e la mente si aprì e credettero. Lieti che oggi si sono aperti i cieli e l’uomo non è più vagabondo sulle vie del mondo: ha trovato la via della verità e della vita vera.
            Per loro si avverò la frase del Prologo di San Giovanni: “a quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome...” (Gv 1, 12). San Gregorio di Nazianzo così commenta questo evento grande del Natale in cui il Verbo assume la carne dell’uomo: “L'uomo assume ora la sua vera dimensione, perché egli non è veramente uomo se non in Dio. E c'è forse una presenza in Dio più forte della filiazione divina? Proprio ora, il Re in esilio rimette piede sulla terra, preparata per lui e, nello stesso tempo, l'uomo ritrova il suo “posto”, la sua vera casa, la sua vera terra: Dio.
              3) la Messa del Giorno: la Festa della luce.
            Il terzo momento che la Chiesa celebra nella terza Messa, chiamata Messa del Giorno, è la nascita eterna del Figlio di Dio nel seno del Padre suo. A mezzanotte, la liturgia ci fa celebrare il Dio-Uomo che nasce dal seno della Vergine in una stalla. All’aurora, facciamo memoria del divino Bambino che nasce nel cuore dei pastori, cioè noi poveri esseri umani. In questa terza Celebrazione la Chiesa celebra una nascita molto più meravigliosa delle altre due, una nascita la cui luce abbaglia gli sguardi degli Angeli, e che è essa stessa la testimonianza eterna della sublime fecondità del nostro Dio. Il Figlio di Maria è anche il Figlio di Dio; il nostro dovere è proclamare oggi la gloria di questa indescrivibile generazione di Dio da Dio, di Luce da Luce.
            Se nella Messa della Notte abbiamo ringraziato insieme con il Padre la Madonna e se nella Messa dell’Aurora siamo stati invita a imitare i  pastori, in questa Messa del Giorno celebriamo Cristo che è la Luce: egli illuminò il cosmo nella creazione; egli plasmò l’uomo nella più sublime luce dell’intelletto e nell’immagine di Dio, affinché l’uomo diventi tutto luce, divinizzandosi con la fede e con le opere gradite a Dio e raggiunga il giorno eterno, che non conosce notte.
            San Gerolamo diceva che per il santo anche il sonno è preghiera. San Gregorio di Nazianzo (si veda la lettura patristica proposta alla fine di queste riflessioni) vuole che il suo sonno sia breve, per non mancare troppo a lungo di far eco al coro perenne degli angeli inneggianti a Dio; anzi, vuole che anche quando il suo corpo dorme, la sua anima vegli a conversare con il Padre e con il Figlio e con il Santo Spirito: con Dio.
            A questa preghiera vigilante si dedicano in modo particolare le Vergini consacrate. Queste persone predilette hanno risposto prontamente al Signore che a ciascuna ha amorevolmente detto: «Ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nell'amore e nella benevolenza, ti farò mia sposa nella fedeltà e tu conoscerai il Signore». La sposa che “conosce”, ama e si sente amata non solamente è vigilante e trepidante quando è in attesa dello sposo, come le vergini sagge del noto brano evangelico. Con la lampada ardente dell'amore e un buon rifornimento di olio, che significa la perseveranza, la vigilanza e la prontezza nell'ascolto, la Vergine consacrata veglia ogni giorno con Cristo e porta la luce di Cristo al mondo e a tutti ricorda il significato del mistero odierno: “La luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (cfr. Gv 1,9) è venuta. Tutti dunque, fratelli, siamone illuminati, tutti brilliamo. Nessuno resti escluso da questo splendore, nessuno si ostini a rimanere immerso nel buio.” (San Sofronio, vescovo: Discorso 3, sull’«Hypapante» 6,7; PG 87, 3,3291-3293).
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NOTE
[1] Il Sacramentario gelasiano e quello gregoriano fanno menzione delle tre Messe di Natale. Ma all'inizio del V secolo, non vi era che una sola Messa, quella del giorno, che si celebrava a San Pietro, in effetti l’istituzione della Messa di mezzanotte data dalla fine del V secolo. Per spiegare il perché delle 3 Messe, Dom Prosper Guérenger, OSB, scriveva che esse “servivano” per celebrare 3 Nascite: “Perché tre Nascite? Egli nasce, questa notte, dalla Vergine benedetta; nascerà, con la sua grazia, nei cuori dei pastori che sono le primizie di tutta la cristianità; nascerà eternamente dal seno del Padre suo, nello splendore dei Santi: questa triplice nascita deve essere onorata con un triplice omaggio”.
[2] “Dio ha reso breve la sua Parola, l'ha abbreviata” (Is 10,23; Rom 9,28). E nel Natale del 2006 Benedetto XVI così commentava questa citazione biblica: “I Padri lo interpretavano in un duplice senso. Il Figlio stesso è la Parola, il Logos; la Parola eterna si è fatta piccola – così piccola da entrare in una mangiatoia. Si è fatta bambino, affinché la Parola diventi per noi afferrabile. Così Dio ci insegna ad amare i piccoli”.

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Natale del Signore
25 dicembre 2013
Riflessioni sul Vangelo
di
 ENZO BIANCHI
Significativamente nel martirologio odierno si legge: “Commemoratio Nativitatis Domini nostri Jesu Christi”. Natale è una memoria, anzi la memoria per eccellenza, perché ricorda la nascita di Gesù da Maria a Betlemme, una nascita che significa molto più della nascita di un bambino che viene nel mondo. Perché in verità noi possiamo proclamare che con quel parto Dio si è fatto uomo come noi, che la Parola di Dio si è fatta carne (cf. Gv 1,14), che Dio è diventato l’Immanu-El, il Dio-con-noi (cf. Mt 1,23; Is 7,14), solidale in tutto con noi, assumendo la nostra precarietà dal concepimento fino alla morte.
Questa è la buona notizia, il Vangelo che l’angelo annuncia come “grande gioia per tutto il popolo”. Questo è il cuore della nostra fede cristiana, una fede che non può entrare in concorrenza con le religioni e i loro dèi, perché ciò che proclama è l’inaudito: un Dio-uomo, carne mortale, un Dio che non si è limitato ad avere cura di noi ma ci ha amato fino a voler essere uno di noi, nella condivisione reale e radicale di ciò che noi siamo.
Ma sostando su questo evento siamo meravigliati anche dalla forma di questa venuta, dallo stile dell’incarnazione. Dio non è venuto tra di noi con la sua potenza, il suo splendore, la sua gloria, imponendosi al mondo; non è apparso in una teofania che avrebbe destato timore e tremore. No, Dio si è manifestato nell’umiltà, nella semplicità di una vicenda i cui soggetti sono uomini e donne poveri, che non emergono, senza grandi ruoli. Dio è venuto tra di noi “svuotandosi” delle sue prerogative divine, e possiamo dire che si è abbassato fino a prendere l’ultimo posto tra di noi, quel posto di schiavo che non gli sarà mai rubato (cf. Fil 2,5-8).
La forma e lo stile di questa venuta di Dio tra di noi erano inattesi, e anche per questo molti hanno inciampato e hanno trovato occasione di scandalo in Gesù. Non la logica mondana, neppure la logica dei profeti dell’Antico Testamento si intravedeva nella venuta messianica del Figlio di Dio. Potremmo dire che Natale manifesta un “Dio al contrario”, il quale non si rivela né con potenza né con splendore accecante, e un “Messia al contrario” che nasce tra poveri, come un povero, in una stalla, deposto in una mangiatoia.
Il cristianesimo è tutto qui, in questa contemplazione di un Dio fatto povertà, di un Eterno fatto mortale, di un Onnipotente fatto infante, di un tre volte Santo diventato terrestre, mortale. Insomma, uno di noi, uno tra di noi, uno con noi!
Nella pagina del vangelo proclamata nella notte di Natale è significativa la presenza dell’imperatore di Roma, Cesare Augusto: lui sì che comanda, che ha potere su tutta la terra, fino a ordinare il censimento. Ed è proprio questo censimento che consente a Giuseppe e a Maria di spostarsi da Nazaret di Galilea a Betlemme, e dunque consente la nascita del Messia nella città di David: in verità chi regge e disegna la storia è Dio, non Cesare Augusto…
È anche significativo che, avvenuta quella nascita, l’annuncio della gioia grande sia rivolto a pastori, cioè a poveri, e a poveri periferici, esclusi anche dalla vita religiosa del tempio. A loro è svelata la gloria di Dio in quella nascita, a loro è detto l’amore di Dio che porta la pace. E proprio questi poveri, ai quali è svelato il mistero, obbediscono e vanno a vedere ciò che si presenta umanissimo: una donna che ha partorito, un figlio appena nato, un padre che è il custode di quella nascita (cf. Lc 2,15-16).
Nella loro povertà i pastori hanno capito che quella non era una nascita qualunque, anche se la sua forma era quella che conoscevano. Per questo glorificano Dio e trasmettono l’annuncio della grande gioia che hanno ricevuto (cf. Lc 2,17.20).
Da quella notte non si può più dire Dio senza mettergli accanto la parola uomo, perché Gesù è il Dio-uomo, perché la nostra mortalità è entrata in Dio e la vita di Dio è entrata in noi. Natale è la nascita di Gesù ma è anche il “coniugamento”, le nozze tra Dio e l’umanità.
Fr. Enzo Bianchi, Priore di Bose

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"Questa notte è chiara come pieno giorno"

Lettura patristica e spirituale per la Natività del Signore


LETTURA PATRISTICA
San Gregorio di Nazianzo,
Carmi autobiografici, XXXII,
PG, XXXVII, 511-513.
Te, anche ora, noi benediciamo,
o Cristo, Parola del mio Dio,
luce da luce che non ha principio,
e dispensatore dello Spirito,
triplice luce che in unico
splendor s’aduna.
Tu dissipasti le tenebre
e stabilisti la luce;
e nella luce creasti ogni cosa,
e fissasti l’instabile materia
nelle forme del cosmo
e nel presente bell’ordine.
Tu illuminasti la mente dell’uomo
con la ragione e la sapienza,
offrendo anche quaggiù un’immagine
dello splendor dell’alto,
affinché con la luce l’uomo veda la luce,
e diventi tutto luce.
Con lumi vari
illuminasti il cielo.
Alla notte e al giorno
comandasti d’alternarsi in pace,
rendendo onore alla legge
del fraterno amore.
Con la notte dai tregua alle fatiche
della molto travagliata carne;
e col giorno svegli al lavoro
e all’opere a te gradite,
affinché, fuggendo le tenebre,
ci affrettiamo verso il giorno,
quel giorno che mai non dissipa
oscura notte.
Tu fa’ che scenda leggero
il sonno sulle mie palpebre,
affinché non troppo a lungo
giaccia la lingua senza lodarti;
e cessi di far eco al coro degli angeli
la tua creatura.
Insieme a te il letto induca
a pie meditazioni;
non rimproveri la notte
qualche sozzura del giorno;
né vani sogni mi turbino,
scherzi della notte.
La mente, invece, pur senza il corpo,
con te parli, o Dio,
e con il Padre e con il Figlio
e col Santo Spirito,
cui sia onore, potenza e gloria
per i secoli. Amen.
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LETTURA SPIRITUALE 
Ecco come uno dei più antichi biografi, Tommaso da Celano, narra di San Francesco d’Assisi quando realizzò il primo presepe del mondo. E’ una scena che si è svolta a  a Greccio (Umbria – Italia), nella notte del 25 dicembre 1223.
"C'era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne. Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: "Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l'asinello". Appena l'ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l'occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo.
E giunge il giorno della letizia, il tempo dell'esultanza! Per l'occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s'accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l'asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l'umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme.
Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia.
Il Santo è li estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra solennemente l'Eucaristia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima.
Francesco si è rivestito dei paramenti diaconali, perché era diacono e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri di cielo. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù, infervorato di amore celeste lo chiamava "il Bambino di Betlemme", e quel nome "Betlemme" lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. E ogni volta che diceva “Bambino di Betlemme” o “Gesù”, passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole.
Vi si manifestano con abbondanza i doni dell'Onnipotente, e uno dei presenti, uomo virtuoso, ha una mirabile visione. Gli sembra che il Bambinello giaccia privo di vita nella mangiatoia, e Francesco gli si avvicina e lo desta da quella specie di sonno profondo. Né la visione prodigiosa discordava dai fatti, perché, per i meriti del Santo, il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l'avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria. Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia”.