martedì 17 dicembre 2013

Miracolo della neve a Gerusalemme

Gerusalemme, il miracolo della neve: cadono i muri

Gerusalemme e dintorni la neve abbatte le barriere, neutralizza i confini, crea una solidarietà che se ne infischia delle appartenenze nazionali e del conflitto. sarà che il manto banco rende quasi tutto uguale e incredibilmente suggestivo, in quel paesaggio  ma l’inedita emergenza climatica che s’è vista in tutta la regione nei giorni scorsi ha mobilitato la gente e le istituzioni israeliane creando un paesaggio umano non meno inedito: soldati dell’esercito con la stella di Davide che spingono l’ambulanza della Mezzaluna Rossa impantanata, varchi chiusi che si aprono per far passare rifornimenti.
La nevicata del millennio ha creato disagi e brividi di freddo in tutto il Medio Oriente, ma anche  fatto sentire tutti più vicini. Se le previsioni meteorologiche cercano talora ascolti in un sensazionalismo vagamente apocalittico, in questo caso parlare di “tempesta del secolo”  non è per niente esagerato.
Mentre dalle nostre parti l’anticiclone non molla l’osso e il sole splende, lo scorso fine settimana il Medio Oriente ha visto una nevicata senza precedenti negli cent’anni e passa. Il Cairo e il deserto del Sinai imbiancati sono una novità assoluta e sul web circolavano immagini talmente fantasmagoriche che risultava difficile distinguer la verità dal photoshop (come ne caso delle piramidi ammantate di bianco: quello era un face). A Gerusalemme la neve non è insolita – la città è a 800 metri sul mare -, ma non certo nelle dosi che si sono viste in questi giorni, e un po’ in tutto Israele: i boschi della Galilea in versione Foresta di Babbo Natale, Safed sepolta sotto un metro di neve. E naturalmente emergenza. Ma per una volta di cifra diversa. Non sirene di guerra o frastuono di elicotteri militari, ma file di auto bloccate per le strade, città paralizzate, luoghi isolati, aeroporti chiusi e tanto tanto freddo.
La vera nevicata del secolo da quelle parti ha abbattuto alberi, interrotto l’erogazione di corrente, spezzato cavi ma sopratutto azzerato barriere di ogni tipo. ” Il lato positivo di un evento di questo tipo è che dà alla gente l’opportunità di aiutarsi e tirare fuori il meglio di sé “, scrive il giornalista dello “Yediot Aharonot” Nahum Barnea lamentando quel tipico disfattismo israeliano che ha subito gridato “fallimento delle istituzioni” che invece hanno sostanzialmente funzionato. Come nel caso del coraggioso gesto di Netanyahu che ha deciso di permettere alle ferrovie di attivare i treni da e per Gerusalemme, nonostante fosse sabato.
La cosa avrà pure fatto arrabbiare i religiosi, ma si è rivelata provvidenziale. A proposito di Provvidenza: appena prima che scendesse la nevicata del secolo si era fervidamente pregato per invocare la pioggia (che in ebraico biblico – e in quella regione sempre assetata – è sinonimo di benedizione). Mentre sulla Città Santa si andavano accumulando centimetri su centimetri di manto i fedeli alzavano gli occhi al cielo, un po’ interdetti e un po’ gongolanti: troppa grazia, Signore, così esageri! Comunque , la preghiera non è certo caduta nel vuoto, in questo caso… In compenso, una delle prime barriere che la neve ha fatto cadere è stato l’eruv: un filo che “cinge” materialmente la città rendendola in tal modo uno spazio “domestico” entro il quale è possibile trasportare oggetti durante il Sabato. Senza quel filo una madre religiosa non può spingere il passeggino da casa fino in sinagoga, perché ciò sarebbe una trasgressione dei divieti sabbatici. Sabato scorso l’eruv  è caduto, costringendo molti religiosi a non uscire e attivando sulla faccenda.
Altre barriere sono cadute con la neve e l’emergenza. I valichi di Gaza sono stati aperti per consentire i rifornimenti. L’esercito israeliano ha portato soccorsi ovunque senza distinzioni di etnie, fedi, fronti. A spalto e spinto ambulanze impantanate nella neve di Betlemme, ha portato viveri e liberato famiglie intrappolate in auto nelle città e per le strade, israeliane o palestinesi che fossero. Magari si risolvessero sempre così, le emergenze.

Elena Loewenthal su La Stampa


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