venerdì 27 dicembre 2013

27 Dicembre. San Giovanni Apostolo



Eugenè Burnand, I discepoli corrono al sepolcro, 1898


Il Signore desidera fare di ciascuno di noi un discepolo
che vive una personale amicizia con Lui.
Per realizzare questo non basta seguirlo e ascoltarlo esteriormente;
bisogna anche vivere con Lui e come Lui.
Ciò è possibile soltanto nel contesto di un rapporto di grande familiarità,
pervaso dal calore di una totale fiducia.

Benedetto XVI





 Gv 20,2-8

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala corse e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.


Il commento

La fede sorge come il sole dalla notte del “primo giorno della settimana” eterna inaugurata dalla risurrezione del Signore. Si fa strada nel buio, si veste di chiarore nell’alba, cammina nel giorno custodendo i segni su cui si appoggia per maturare, diviene adulta nel compimento del giorno, quando Gesù appare e lo Spirito Santo sigilla la certezza della sua vittoria sul peccato e la morte. Come Maria di Màgdala, Pietro e Giovanni, anche noi siamo sbigottiti di fronte all’assenza del Signore: Egli non è dove siamo certi debba essere; e non ci rendiamo conto di essere entrati già nel “primo giorno della settimana”, di aver cominciato a vivere nella novità di una storia che non conosce più morte e fine. Il nostro punto di riferimento, il criterio che ispira pensieri, sentimenti e gesti è ancora il “sepolcro”, quello dove abbiamo visto spegnersi le speranze affidate a Dio, e, con Lui, agli affetti e ai progetti, a tutto e a tutti coloro che possiamo riassumere e identificare nel corpo esanime di Gesù. Lui, infatti, lo sappiamo, è amicizia, amore, affetto, lavoro, studio, famiglia, riposo; ma è chiuso in un sepolcro, ed è lì che, attraverso le esperienze della vita, abbiamo imparato a immaginarlo. Ed è vero, molto di quello che abbiamo sperato ci è sfuggito di mano. Ma la “settimana” che ci ha condotto al Golgota è scivolata via, il Signore, disceso nella tomba con e per noi, è risorto, e un nuovo giorno ci ha accolto. Come nella notte di Natale, Dio ci dona anche oggi dei segni per aprire gli occhi e “cominciare a credere”, sorprendentemente simili a quelli offerti nella grotta di Betlemme. Un Bambino avvolto in fasce per accendere gioia e speranza, “teli posati là” e un “sudario non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte” per “vedere e credere”. Al centro, il corpo di Gesù, il “luogo” dove credere, perché la fede è l’incontro con una Persona viva, e un rapporto intimo di confidenza con Lui. E’ Lui il “segno” che ci annuncia l’impossibile divenuto possibile. Nel mistero di un neonato deposto in una mangiatoia o dell’assenza nel sepolcro è sempre la sua carne che ci rivela e consegna un’ancora dove fissare la barca della nostra vita.

E’ però necessario imbatterci nel mistero e nell’oscurità sino ad “entrare” nella grotta dove Dio si è fatto uomo e nel sepolcro dove è passato nella morte, per “vedere” la nostra carne, la storia concreta di ciascuno, sciolta dalle catene della paura, del peccato e della morte. “Corriamo” allora senza indugio, come i pastori raggiunti dall’annuncio dell’angelo, e come Pietro e Giovanni investiti dallo stupore di Maria; corriamo obbedendo all’annuncio della Chiesa e non temiamo di “entrare” nel dolore e nella delusione per scoprire che, proprio lì, Gesù ha deposto il “segno” che ci apre alla gioia e alla speranza. “Inchiniamoci” come Giovanni, con audacia e fiducia, sin dentro a quanto ci ha fatto soffrire, come l’apostolo amato si è reclinato sul petto del Signore prima e nel sepolcro poi. I teli e il sudario che, sino ad oggi, hanno avvolto le nostre vite esanimi, ci parlano e testimoniano di questo “primo giorno” della vita nuova nel quale il Signore ci ha attirati: come lo sposo del Cantico dei Cantici, per attirarci a correre dietro di Lui, ha lasciato per noi, dentro la nostra storia, le tracce della sua vittoria, il profumo del suo amore sulla pietra ribaltata del sepolcro, il principio di una vita nuova che non sconvolge la precedente ma vi dà compimento secondo un ordine nuovo, tutto racchiuso in quei teli funerari rimasti sul “luogo” dove la sua misericordia lo aveva deposto. E’ su quei teli che dobbiamo puntare lo sguardo, come sulle ferite che Gesù mostrerà la sera di quel giorno: nessuno avrebbe potuto trafugare il corpo e lasciarli in quel modo, come nessuno salverebbe la nostra vita senza distruggere con disprezzo quello che non va bene. E’ proprio questo l’indizio che Dio lascia a tutti noi: il matrimonio, il lavoro, gli amici, le nostre cose e i nostri affetti sono ancora tutti con noi, ma disposti in un modo diverso, perché il corpo risorto del Signore scivola tra le bende con dolcezza, trasfigurandole con la sua impronta gloriosa; la nostra vita è come la Sindone, tracce di una luce immensa che filtra tra le piaghe: questo è il segno che ci è offerto per aprirci alla fede. La notte ha ormai lasciato il passo al giorno, è tempo di “tornare a casa”, come i pastori e come gli apostoli, camminando nella fede accesa dai “segni”, perché essa maturi sino a farsi adulta, capace di riconoscere il Signore risorto nella nostra vita proprio dalle sue piaghe gloriose impresse in essa, lo scandalo della Croce e del perdono che ci spinge a donarci a Lui senza riserve, in un’amicizia e una familiarità incorruttibili: “Non vi spaventate, ma per questo ci vuole tempo, e occorre semplicità, purezza, abbandono. È il cammino più perfetto; che ci sia donato, a voi e a me, dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo” (Giovanni Taulero).

*

“Aquila” di Dio

Oggi la Chiesa Cattolica commemora san Giovanni Apostolo. Forse non con tutta la solennità che questa colossale colonna portante del Corpo mistico di Cristo meriterebbe. E cerco di dimostrare quanto appena affermato.
Non occorre essere teologi o santi per conoscere chi è san Giovanni Apostolo ed Evangelista. Tutti sappiamo chi è. Ma siamo certi di aver profondamente colto l’immenso e quasi insuperabile ruolo che la Provvidenza ha destinato a questo giovanetto – e poi a questo venerando centenario – all’interno dell’umanità tutta? 

Eccetto la Madre di Dio, e forse san Giuseppe, chi può dire di aver avuto un ruolo più importante nell’economia della salvezza dell’umanità? Stiamo esagerando? Proviamo a fare qualche veloce riflessione a riguardo.
Al di là del fatto che il giovanissimo fratello di san Giacomo Maggiore apostolo era già discepolo del Battista ancor prima dell’inizio dell’attività pubblica di Nostro Signore, ciò che occorre sottolineare è l’unicità del suo destino umano, fissando schematicamente l’attenzione su alcune sue eccezionali quanto uniche prerogative.
1)      Anzitutto è un Apostolo, privilegio assoluto fra tutti gli uomini di tutti i tempi e luoghi che condivide evidentemente con altri undici uomini.
2)      Nel collegio apostolico però egli è il più giovane di tutti. Di per sé, tale elemento potrebbe non avere particolare significato, ma occorre tener presente che il fatto presuppone con morale certezza (e del resto ciò è stato da sempre insegnato dalla tradizione ecclesiastica) la sua purezza al momento della conoscenza con Cristo, e quindi di conseguenza la sua purezza interiore ed esteriore mantenuta per tutta la vita. È l’apostolo della purezza.
3)      Non per niente, è l’“apostolo che Gesù amava”, come egli stesso ripetutamente ci dice nel suo Vangelo. Tale specifico amore di Cristo per lui fa da contraltare all’amore per la peccatrice redenta. A parte Maria Vergine, Maria Maddalena e Giovanni sono le persone che Nostro Signore ha più amato al mondo, la donna che da corrotta diviene pura con una vita di amore e penitenza, e il giovane che mai perdette la sua purezza vivendo nel pieno amore di Cristo.
4)      Tali privilegi meritarono loro di essere sotto la Croce. Giovanni è l’unico apostolo che non abbandona Gesù.
5)      Inoltre, egli aveva già ricevuto un privilegio ineguagliabile, che solo alla Vergine e a san Giuseppe era mai stato concesso: durante l’ultima cena, aveva potuto appoggiare la sua testa sul petto del Salvatore del mondo, ovvero sul Sacro Cuore! Come vuole un’antica tradizione, fu in quel momento che il Logos trasmise il Vangelo e l’Apocalisse all’ancor giovanissimo apostolo.
6)      Tale speciale amore di Cristo per lui è confermato due giorni dopo, all’alba, quando per primo arriva al Sepolcro vuoto. Certo, per rispetto all’autorità di Pietro si ferma e lascia passare il suo capo terreno. Ma il primo (a parte Maria Maddalena) uomo a credere e correre è appunto il giovinetto puro Giovanni.
7)      Giovanni sotto la Croce rappresenta l’umanità tutta, possiamo dire “incarna” l’intera umanità assente. Da quel momento, il numero indefinito di uomini che fino alla fine del mondo, al momento della Consacrazione durante la santa Messa o nelle loro meditazioni, si immaginano sul Calvario, non fanno altro che “prendere il posto” dell’unico uomo che veramente v’era, Giovanni.
8)       Sotto la Croce, riceve un altro incommensurabile premio dal Signore, forse il più grande di tutti: diviene “figlio adottivo” di Maria Santissima, e in tal modo ancora una volta incarna in sé l’umanità intera.
9)      Ma il privilegio incommensurabile non finisce ancora: Gesù gli ordina di ospitare in casa sua Madre. In qualche modo, diviene una figurazione di Gesù stesso, e per anni ogni mattina ha il privilegio di poter dire Messa alla presenza fisica dell’ancor vivente Madre di Dio. Qualcuno può immaginarsi “cosa” c’era in quella stanza durante la Messa celebrata da Giovanni alla presenza della Regina degli Angeli?
10)   Giovanni non è solo apostolo, ma è anche evangelista.
11)   Egli condivide questo privilegio con altri tre uomini, come sappiamo, ma il suo Vangelo non è “sinottico”, è il Vangelo del Logos. È il Vangelo dell’“aquila”, che ha visto e compreso, magari in un istante in cui ha posato il suo capo sul Sacro Cuore, ciò che nessun altro uomo aveva potuto mai vedere e comprendere.
12)   Giovanni scrive inoltre una Lettera che è rimasta per sempre nella Rivelazione, privilegio che condivide con altri quattro.
13)   Ma la lettera di Giovanni è per antonomasia la lettera della Carità divina. Egli non è solo l’evangelista del Logos, ma anche il testimone dell’Amore infinito di Dio, che “è amore”.
14)   Giovanni è l’unico degli apostoli che, pur subendo il martirio, non muore. Come spiegare questo ulteriore incredibile privilegio se non tramite la sua purezza e l’amore che Cristo ha sempre provato per lui?
15)   Giovanni, accecato e spedito in esilio, vede ciò che nessun altro uomo al mondo ha mai potuto vedere: vede la fine dei tempi, la fine della storia, il predominio momentaneo del male e quindi il trionfo eterno del Bene, di Cristo sul mondo e sul suo disperato principe. Giovanni è l’autore dell’Apocalisse.
16)   E con la scrittura dell’Apocalisse, Giovanni, morendo, ha il privilegio ultimo e di una grandezza indefinibile: egli chiude per sempre la Rivelazione divina agli uomini. Poggiando il suo stilo dopo aver scritto l’ultima parola dell’Apocalisse, Giovanni ha simbolicamente chiuso la voce diretta dello Spirito Santo agli uomini. D’ora in poi, Dio parlerà tramite la Chiesa e lo farà fino all’Apocalisse, quando, come Giovanni ci ha detto, verrà in trionfo a chiudere la storia e a giudicare i vivi e i morti.
Chi scrive non ha né la competenza teologica né la capacità letteraria di esprimere nemmeno un’oncia del peso incommensurabile di tutto quanto ha voluto affermare. Ma lo offre, nella sua devastante pochezza, al Signore per tramite dell’uomo che Egli amò più di ogni altro, e al quale concesse i più inarrivabili privilegi.
Preghiamo san Giovanni apostolo ed evangelista di guidarci ogni giorno nella milizia al servizio di Cristo e per la strada in salita della Carità e del Logos, ciò che ci rende cristiani e figli dell’unica civiltà della storia fondata appunto sulla Carità divina e sul Logos incarnato.
Massimo Viglione27 dicembre 2013