sabato 23 novembre 2013

Un cammino che continua

Anno della Fede


L’arcivescovo Fisichella sulla conclusione dell’Anno della fede. 

(Mario Ponzi) Con la messa che Papa Francesco celebra in piazza San Pietro alle 10.30 di domenica 24 novembre, solennità di nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo, si conclude l’Anno della fede, inaugurato da Benedetto XVI l’11 ottobre 2012, nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del concilio Vaticano II. Sugli avvenimenti più significativi che hanno caratterizzato questo anno, sulla partecipazione popolare e sulle prospettive future abbiamo rivolto alcune domande all’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione.Forse è ancora presto per tracciare un bilancio di questo Anno della fede. È possibile però ripercorrere le diverse tappe che lo hanno scandito e gli appuntamenti più importanti svoltisi alla presenza del Papa. Quali sono stati, secondo lei, quelli che hanno lasciato un segno più profondo?
Se ne dovessi individuare uno, direi che è stato il momento dell’adorazione eucaristica. Il mondo intero si è raccolto per un’ora davanti all’Eucaristia. Il Pontefice più volte ci ha detto che l’evangelizzazione si fa in ginocchio. Credo che l’adorazione sia il momento peculiare in cui riscopriamo la fede. E quella vissuta durante l’Anno della fede resterà impressa nella memoria come il momento in cui Gesù è stato veramente “il cuore del mondo”, per usare la bella espressione del titolo di un libro di Hans Urs von Balthasar. A tutte le latitudini, dal nord al sud, dall’est all’ovest, nelle isole, nei continenti, nei più sperduti villaggi come nelle più grandi metropoli, fosse notte fonda o giorno pieno, per un’ora siamo stati tutti insieme intorno a Gesù.
Si possono ricavare dati significativi dalla partecipazione dei fedeli?
Ne possiamo ricavare alcuni dalla presenza dei pellegrini giunti a Roma. Però dobbiamo ricordare che l’Anno della fede non è stato celebrato solo qui. È stato vissuto intensamente da e in tutta la Chiesa: diocesi, parrocchie, movimenti, associazioni, case di vita religiosa... Se vogliamo fermarci ai dati che riguardano Roma, parliamo di una cifra che va ben oltre i sette milioni di fedeli venuti durante l’anno a pregare presso la tomba di san Pietro. Ed è una cifra che tiene conto solo di coloro che hanno raggiunto la città con pellegrinaggi organizzati o che comunque hanno dato notizia del loro arrivo. A questi vanno naturalmente aggiunti tutti quelli che si sono mossi autonomamente. Si è trattato comunque di un pellegrinaggio che si è sviluppato costantemente per tutto l’anno.
Ci sono stati avvenimenti particolari che hanno caratterizzato le celebrazioni nei diversi Paesi del mondo?
Ovunque la partecipazione è stata intensa, soprattutto a livello parrocchiale. Abbiamo però avuto anche notizie di iniziative più particolari. Per esempio, dalle Filippine ci hanno inviato alcune belle testimonianze raccolte tra i carcerati come segno della loro adesione e partecipazione all’Anno della fede.
Quali potranno essere i riflessi di questa celebrazione nella società di oggi, soprattutto in prospettiva futura?
Certamente si è trattato di un avvenimento che ha interpellato le coscienze. Ora però non bisogna dormire sugli allori, come si dice. Dobbiamo far sì che i frutti spirituali di quest’anno si protraggano nel tempo e siano d’aiuto alla nuova evangelizzazione, di cui l’Anno della fede è stato solo un momento. L’entusiasmo nato da questa iniziativa ora dovrà essere coltivato e portato a maturazione nelle singole comunità per suscitare quello spirito di cui abbiamo bisogno per il cammino della nuova evangelizzazione.
Pensando all’Anno della fede indetto da Paolo VI e celebrato tra il 1967 e il 1968, è possibile fare un raffronto con quello che sta per concludersi?
Io vedo nei due avvenimenti la continuità della Chiesa. Continuità che in queste celebrazioni si esprime innanzitutto nel convincimento di dover riaffermare, o suscitare ove ce ne fosse più bisogno, l’attenzione sul dono più importante che abbiamo ricevuto, quello della fede. E nel desiderio di ricordare che la Chiesa è chiamata a trasmettere, di generazione in generazione, la fede di sempre. È vero che ciascuno di noi si impegna in prima persona per vivere la propria fede, ma è altrettanto vero che la fede chiede di essere trasmessa. E la Chiesa è chiamata a essere protagonista di quest’opera di trasmissione. Non a caso Paolo VIconcluse l’Anno della fede il 30 giugno 1968 con il Credo del Popolo di Dio. Un Credo in cui il Papa, all’epoca, poneva un’ulteriore sintesi di quanto emerso negli anni del concilio Vaticano II, conclusosi tre anni prima. Anche per tale motivo quell’anno fu straordinario e venne vissuto sulla scia dell’entusiasmo suscitato dal concilio stesso. Qualcosa di analogo è avvenuto per questo Anno della fede, che si è aperto nel cinquantesimo anniversario dell’inizio del Vaticano II e si conclude con la consegna da parte di Papa Francesco dell’esortazione apostolica Evangeli gaudium sulla evangelizzazione del mondo contemporeaneo. Ecco la continuità della Chiesa.
A proposito di continuità, come legge il fatto che questo anno, voluto e aperto da Benedetto XVI, venga concluso dal suo successore Papa Francesco?
Leggo questo come un grande momento di grazia. Benedetto XVIaveva intuito quanto ci fosse bisogno, in questo momento, di portare la Chiesa su un cammino di rinnovato entusiasmo nel celebrare e vivere la fede. Papa Francesco, con il suo esempio e la sua testimonianza personale, ci indica la strada sulla quale procedere: quella che conduce alla cultura dell’incontro per uscire da noi stessi e andare verso gli altri. La fede ci rende responsabili degli altri. Questo Pontefice ci dice che la fede è luce per la vita delle persone. E ci insegna che la coscienza di Dio come centro nella nostra vita e la riscoperta del Vangelo come guida alla nostra esistenza sono i richiami più forti che devono orientare il cammino della nuova evangelizzazione.
L'Osservatore Romano

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Anno della Fede, appunti per il futuro
di Ettore Malnati
Oggi termina ufficialmente l’Anno della Fede, cosa che ci spinge se non a fare proprio un bilancio, almeno a raccogliere alcune idee. Intanto dobbiamo ricordare il perché di questa iniziativa: l’Anno della Fede è stato indetto da papa Benedetto XVI, perché le Chiese particolari ponessero a criterio e a fondamento del loro impegno pastorale la centralità del mistero di Cristo, unico mediatore e Redentore dell’uomo, di ogni uomo e di tutto l’uomo.
In una società occidentale, dove domina il relativismo e l’effimero, è stato provvidenziale il richiamo a rileggere la fede e tutto ciò che da essa deve derivare al cristiano. L’Anno della fede ha rappresentato un’opportunità per approfondire le verità del Simbolo ed esaminare il vissuto del cristiano e della Comunità circa i parametri della fede.
Si possono già vedere dei frutti? Di sicuro molte Chiese particolari e movimenti ecclesiali si sono interrogati su quale grado di conoscenza dei postulati della fede - di cui il Catechismo della Chiesa Cattolica, edito nell’ottobre del 1992, è prezioso tesoro - vi sia tra i cattolici, dopo il frastuono di tante posizioni teologiche e morali fattesi strada in tutti i continenti in questi trent’anni.
Si è potuto, grazie al prezioso magistero di Benedetto XVI e di Papa Francesco, cogliere la dimensione profetica dell’insegnamento della Chiesa, circa la verità rivelata su Dio e sull’Uomo e si è intravisto quel metodo di attenzione misericordiosa che fa scorgere quel “cuore grande di Dio Padre” che in Cristo vuole offrire salvezza a chi, smarrito o pentito, torna alla casa del Padre.
Uno dei frutti dell’Anno della Fede è certamente lo stile offerto alla Chiesa tutta da papa Francesco, che ha riportato all’attenzione del mondo la sua attenzione per le periferie, sia geografiche che esistenziali, e  quel messaggio di sobrietà e speranza che ha stupito credenti e non credenti.
La rinuncia al ministero petrino di Benedetto XVI è stata un “lampo a ciel sereno” come anche una sorpresa sono stati il nome e lo stile del nuovo vescovo di Roma: papa Francesco.
Certo la rinuncia e l’elezione del nuovo Papa per l’aspetto organizzativo possono essere stati, a livello di vertice, un rallentamento per gli eventi già programmati, però l’Anno della Fede ne ha guadagnato, come significatività e attenzione anche a livello ecumenico ed inter-religioso, grazie anche all’umanità di papa Bergoglio.
Importante è stata anche l’indizione del nuovo Sinodo dei Vescovi sulla famiglia e sul matrimonio e soprattutto il metodo che Papa Francesco ha voluto dare: ascoltare il popolo di Dio attraverso i singoli fedeli e gli organismi di comunione delle Chiese particolari, il tutto inviando un questionario a tutti i vescovi del mondo.
Un passaggio importante di questo anno è stata la pubblicazione dell’enciclica Lumen Fidei, che raccoglie le riflessioni del “Pontefice uscente” e del “Pontefice entrante” quale tributo di fedeltà al “depositum fidei” e alla missione della Chiesa nella storia, che è quella di aiutare l’uomo alla ricerca di Dio (n. 35), riconoscendo l’esperienza dell’antico Israele (nn. 8-14) e focalizzando in Cristo la nuova logica della fede (n. 20).
L’enciclica presenta poi il valore del dialogo tra fede e ragione  (n.35) e indica nella Chiesa la madre della nostra fede (nn. 37-39).
Sebbene abbia fatto poco rumore sui media, la Lumen Fidei è stata presa in considerazione in diverse diocesi come base per gli incontri formativi, sia per laici che per sacerdoti. Alcune riviste sia di teologia che di ascetica , ne hanno riportato il messaggio e sottolineato gli aspetti di maggior interesse per i destinatari.
Che cosa resterà a conclusione dell’Anno della Fede? Non è semplice individuarlo. Sta di fatto però che l’aver voluto che l’intera Chiesa cattolica riflettesse sulla fede quale luce e criterio delle scelte sia dei ministri ordinati, sia dei consacrati, sia dei fedeli laici e delle famiglie cristiane, è già una scelta di campo che dovrebbe far pensare il cristiano chiamato a valutare fatti, situazioni e prospettive sociali e culturali nelle quali egli si trova ad essere e a valutare.
In molte comunità ecclesiali, quale frutto dell’Anno della Fede, indetto da Benedetto XVI, cogliendone la mens con la quale egli richiamava i vent’anni dall’edizione del Catechismo della Chiesa Cattolica si è auspicato che in ogni famiglia, oltre alla Bibbia e a un segno religioso (crocifisso o icona) posto in luogo significativo, non manchi il Catechismo della Chiesa Cattolica o il suo Compendio. Inoltre si è chiesto alle famiglie di reintrodurre o continuare la preghiera in modo sistematico tra le mura domestiche.
Queste le iniziative semplici ma, a mio parere, estremamente efficaci. La fede, che è dono gratuito di Dio, deve essere come una lampada, nutrita dall’olio della preghiera e dei sacramenti. Di ciò ogni cristiano non può farne a meno se vuole essere “lampada viva” in una realtà socioculturale che dalla fede  può ricevere quella serenità che offre dignità nella complessa vita nella post-modernità.