lunedì 25 novembre 2013

Gli occhi del mondo puntati su san Pietro




Ha suscitato grande interesse nei media di tutto il mondo la venerazione delle reliquie che la tradizione attribuisce a san Pietro. La teca, che non era mai uscita dal Palazzo Apostolico, per volere di Papa Francesco è stata portata sul sagrato della basilica per la chiusura dell’Anno della fede. Tra gli altri, ne ha scritto la «Frankfurter Allgemeine Zeitung» del 25 novembre in un circostanziato articolo di Jörg Bremer che ricostruisce la vicenda anche da un punto di vista storico. E su «Il Messaggero» del 25 novembre Franca Giansoldati sottolinea come sia stato «un anno davvero particolare quello dedicato alla fede». Gli ultimi dodici mesi — osserva la vaticanista — sono stati «segnati da eventi epocali. Prima le dimissioni di Ratzinger che ha dimostrato enorme coraggio nel non venire meno nella fede; poi successivamente, con l’elezione di Bergoglio, si è fatta strada una Chiesa accogliente, dalle porte sempre aperte, capace di avvicinare i mondi lontani».Quello che Papa Francesco chiede alla ChiesaTempo di misericordia. In aumento i fedeli che si accostano al sacramento della Riconciliazione
(Krzysztof Józef Nykiel) L’uomo moderno fa difficoltà ad accogliere il discorso cristiano sulla remissione dei peccati, e quindi sulla Divina Misericordia del Padre, perché l’idea di peccato gli pare sostituire il diritto di un altro, il diritto di Dio sulla propria coscienza e l’idea di perdono gli sembra lo mantenga in una posizione di dipendenza e di non autonomia. L’uomo moderno non riconosce debiti: questa è la radice culturale che gli rende difficile riconoscere sia la grazia, sia il peccato. Questa sensibilità è il frutto di tutta la storia moderna, caratterizzata dalla ricerca dell’autonomia.
Siamo, con il peccato, di fatto, al centro del problema religioso del nostro tempo, dell’interpretazione del cristianesimo dopo l’era della secolarizzazione e del secolarismo. È una situazione di crisi profonda che riguarda, insieme, la nostra civiltà e la nostra Chiesa. È questa difficoltà dell’uomo moderno a riconoscere il peccato e il perdono che spiega, alla radice, anche le difficoltà della pratica cristiana della confessione o riconciliazione. Non a caso il Papa Benedetto XVI descrivendo il tempo moderno lo ha definito il tempo della «desertificazione spirituale». A prima vista questa espressione potrebbe sembrare pessimistica, in quanto mette dolorosamente in rilievo quelle che sono le grandi contraddizioni del nostro tempo che vive un evidente vuoto spirituale, una vera e propria «desertificazione spirituale», come se Dio non ci fosse (etsi Deus non daretur). Approfondendo, però, questa immagine nell’insegnamento di Benedetto XVI si vede che non è affatto pessimistica: vi è piuttosto un sano realismo che spinge a guardare con fiducia a questa emergenza che è spirituale, morale ed educativa, perché è «proprio a partire dall’esperienza di questo deserto, da questo vuoto che possiamo nuovamente scoprire la gioia di credere». Infatti, nel deserto — ricorda Benedetto XVI — «si riscopre il valore di ciò che è essenziale per vivere; così nel mondo contemporaneo sono innumerevoli i segni, spesso espressi in forma implicita o negativa, della sete di Dio, del senso ultimo della vita. E nel deserto c’è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indicano la via verso la Terra promessa e così tengono desta la speranza». 
I deserti diventano così l’occasione propizia per la purificazione, per la crescita spirituale: un passaggio obbligato, possiamo dire, per prendere coscienza della realtà con tutti i suoi limiti. I deserti sono quindi anche delle attese che spesso rimangono implicite e richiedono un’opera di decifrazione per trasformarsi in opportunità. Dietro al vuoto del nostro tempo, dietro ai problemi più gravi che nella prassi pastorale constatiamo, si nascondono non di rado bisogni profondi del cuore, aspirazioni e speranze per una vita più sensata e umana. I deserti del nostro tempo rivelano anche una grande sete di verità e di bene.
Domandiamoci: perché siamo arrivati a questo stato di «desertificazione spirituale»? Cos’è che rifiuta la coscienza moderna? Il peso di un senso di colpa che sottomette l’uomo al dominio e alla paura di Dio e gli impedisce di essere padrone di se stesso e del suo mondo. L’uomo moderno sente istintivamente una contrapposizione tra le pretese religiose e la difesa della dignità dell’uomo. Ma è questa l’idea cristiana? O non è piuttosto la concezione religiosa ancestrale?
L’idea corrente del peccato è legata spesso al senso religioso primitivo del sacro e del divino. Essa traduce la coscienza di aver violato l’ordine e gli interdetti posti dagli dei sulla natura e sui viventi. Fin tanto che la divinità è sentita come legata alle forze della natura, l’uomo è continuamente esposto al pericolo di invadere il “campo” degli dei. Di infrangere le loro leggi, di offendere il loro onore; egli vive con il timore di essere sempre in una situazione di trasgressione, di disobbedienza, di debito nei confronti degli dei; porta in sé un senso di angoscia e di colpa, di paura della maledizione e della condanna. 
Quest’idea di peccato veicola chiaramente l’immagine di un Dio dominatore, collerico, vendicatore, preoccupato anzitutto di far rispettare l’ordine che lui ha messo in ogni cosa, geloso del fatto che l’uomo entri nel suo campo. È un Dio concepito a immagine del padre di famiglia dispotico, tipico delle società patriarcali. La mentalità dei cristiani di oggi — anche del nostro cattolicesimo debitore di una religiosità tradizionale — è segnato profondamente da questo sottofondo religioso arcaico, che si mescola confusamente con la cultura “moderna”. È importante discernere questi elementi della coscienza anche cristiana, e soprattutto è urgente recuperare la logica e la dinamica della rivelazione cristiana per penetrare nel vivo della fede della Chiesa nella Divina Misericordia.
La pedagogia divina della Divina Misericordia nei confronti dell’uomo peccatore e il vero significato del peccato si rivelano pienamente in Gesù. Alla sua discesa dalla Montagna, con in mano le due tavole della Legge, Mosé aveva trovato il popolo, che danzava attorno al vitello d’oro e pieno di un santo furore aveva spezzato le tavole e chiamato «chi stava dalla parte del Signore» a vendicare il suo onore, e così i figli di Levi avevano massacrato tremila uomini e ne erano stati ricompensati con l’investitura sacerdotale (cfr. Esodo, 32, 15-29). Durante la sua prima apparizione pubblica Gesù scende nelle acque del Giordano e si mescola con i peccatori, che vengono a chiedere il battesimo di Giovanni e a confessare i loro peccati, e la compiacenza di Dio si esprime così: «Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto» e lo Spirito discende su di Lui (Marco, 1, 9-12). Questa scena inaugurale della missione di Gesù rivela il vero senso della storia della salvezza, che è un’economia divina del perdono, e nello stesso tempo manifesta il cambiamento radicale che si produce sulla scena della storia religiosa dell’umanità. La novità essenziale è che l’Inviato di Dio, il “Santo di Dio” si mette nel rango dei peccatori, si abbassa alla loro condizione per rappresentarli davanti a Dio e Dio lo “solleva” riconoscendolo Suo Figlio. 
La Confessione sacramentale è la pratica che più di ogni altra ci permette di sperimentare la grandezza, la bellezza e la potenza rigenerante della Divina Misericordia. Quando il penitente entra nel confessionale, egli si accosta realmente all’amore del Padre, entra nel cuore misericordioso di Dio che è l’unico capace di guarire le ferite dell’anima, di togliere il peccato che ci impedisce di rimanere nell’amicizia con Lui, di fare nuove tutte le cose nel fedele che con umiltà e sincero pentimento implora il perdono. Il sacramento della Penitenza è strumento efficace che rigenera l’uomo dal di dentro in quanto lo aiuta a cogliere la verità di se stesso, quella cioè di essere figlio prediletto del Padre, ricco di misericordia, sempre disposto a donargli incondizionatamente il Suo perdono e la pace. Infatti, in questo Anno tutto particolare dedicato alla fede, da pochi giorni giunto alla sua conclusione, si è registrato a Roma una presenza numerosa di pellegrini provenienti da tutto il mondo in visita alla tomba dell’apostolo Pietro per rinnovare in modo particolare la loro professione di fede e la loro gioia di essere discepoli di Cristo e figli della Chiesa, nostra madre e maestra di verità. Ci riempie di gioia il fatto, che tanti sono stati i pellegrini che si sono accostati — nel corso dell’Anno della fede — al sacramento della riconciliazione nelle diverse basiliche papali in Urbe. I nostri penitenzieri minori ci hanno informato con entusiasmo che, i tanti pellegrini che ogni mercoledì, il giorno dell’udienza generale oppure alla domenica quando accorrevano a piazza San Pietro per ascoltare le parole che il Papa rivolge all’Angelus, si accostavano con maggiore fiducia e sincero spirito di pentimento al sacramento della confessione. Anche le Chiese nei dintorni del Vaticano sono piene di fedeli che chiedono di confessarsi e di dedicare del tempo alla preghiera. Papa Francesco, più volte nei suoi discorsi e interventi pubblici, sta invitando a non avere paura di chiedere perdono a Dio perché Egli è felice quando ci dona la Sua misericordia. Infatti, egli incontrando i penitenzieri minori della basilica di Santa Maria Maggiore, all’indomani della sua elezione pontificia, ha detto loro: «Misericordia, misericordia, misericordia. Voi siete confessori quindi siate misericordiosi verso le anime». Papa Francesco insiste molto nel trasmettere che Dio è misericordia infinita perché vuole suscitare nei cuori degli uomini di buona volontà la fiducia e la speranza che nella vita i cambiamenti sono sempre possibili. È sempre tempo di conversione e di salvezza. Egli desidera che la Chiesa si mostri al mondo come madre e maestra di misericordia. E le ricadute positive di queste esortazioni da parte del Santo Padre sono davvero innumerevoli, e toccano diverse parti del mondo, dalle quali, infatti, ci giungono informazioni, anche per mezzo dei mezzi di comunicazione, sul notevole risveglio della gente, dei nostri fedeli che si accostano con maggiore fiducia e sincero spirito di pentimento al sacramento della confessione.
L'Osservatore Romano


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Quattro segni per l’anno dei due Papi

Quattro segni per tenere spalancata la porta fidei dell’Anno dei due Papi. Aperto da Benedetto XVI l’11 ottobre 2012, a cinquant’anni dal concilio Vaticano II, e concluso da Papa Francesco domenica 24 novembre, l’Anno della fede rilancia il suo contenuto essenziale attraverso quattro segni che ne esprimono il significato: l’esposizione pubblica, per la prima volta, delle reliquie di san Pietro; la consegna della Evangelii gaudium, la prima esortazione apostolica di Francesco; il gesto di carità per la popolazione filippina colpita dal tifone Haiyan; la preghiera per la pace in Terra Santa, in Siria e in tutto l’Oriente.Oltre sessantamila persone — che a mezzogiorno per l’Angelus sono divenute almeno centomila — hanno riempito piazza San Pietro fin dalle prime ore del mattino, nonostante il freddo pungente. E hanno così partecipato anche ai tre momenti che hanno preceduto la celebrazione eucaristica: la raccolta di fondi per le Filippine; la possibilità di confessarsi dai tanti sacerdoti che si sono resi disponibili ai lati della piazza; la processione con le reliquie dell’apostolo Pietro: otto frammenti di ossa in un’urna di bronzo che è stata aperta per l’occasione.
È stato l’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, a portare in piazza San Pietro l’urna, che dal 1971 è custodita nell’appartamento papale del Palazzo apostolico, e a collocarla accanto all’altare, sullo stesso piedistallo usato per le reliquie dei santi nelle cerimonie di canonizzazione. Con lui in processione due guardie svizzere, due agenti del corpo della gendarmeria, due cerimonieri e nove giovani che hanno avvolto l’urna con fiori e piccole lampade, poste nel grande candelabro donato dai frati minori cappuccini per la canonizzazione di san Pio da Pietrelcina nel 2002.
Al Credo un diacono ha portato l’urna a Papa Francesco, che ha recitato tutto il Simbolo della fede tenendola tra le mani dopo averla baciata. Già all’inizio della messa il Pontefice aveva subito incensato le reliquie, fermandosi per qualche istante in raccoglimento. Dopo la celebrazione l’urna è stata riportata prima nella basilica Vaticana e poi nell’appartamento pontificio.
«Il Papa ha compiuto un gesto eloquente che dà ancora più fondamento alla consegna della sua esortazione apostolica» ha spiegato al nostro giornale l’arcivescovo Fisichella presentando anche «i trentasei rappresentanti del popolo di Dio di diciotto Paesi» che hanno ricevuto personalmente dal Pontefice una copia della Evangelii gaudium. Tra loro, dice l’arcivescovo, «ci sono un vescovo, un sacerdote e un diacono scelti tra i più giovani a essere ordinati. E poi religiosi e religiose e alcuni rappresentanti di ogni evento dell’Anno della fede: cresimati, seminaristi e novizie, una famiglia, una non vedente con il suo cane guida: alla donna il Papa ha consegnato il testo in cd rom in forma auditiva. E ancora hanno avuto il documento catechisti, giovani, esponenti delle confraternite, dei movimenti, due artisti e due rappresentanti del mondo della comunicazione sociale».
Con il Papa hanno concelebrato trentasei cardinali, tra i quali il decano del Collegio cardinalizio Angelo Sodano, oltre novanta tra patriarchi e arcivescovi maggiori delle Chiese orientali, arcivescovi e vescovi — tra loro gli arcivescovi Pietro Parolin, segretario di Stato, Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei Vescovi, e Rino Fisichella — e oltre milleduecento sacerdoti. Era presente l’arcivescovo Georg Gänswein, prefetto della Casa Pontificia.
Sul sagrato c’erano, tra gli altri, fratel Alois, priore di Taizé, e suor Frederick Hamilton, novantotto anni, la religiosa anglo-maltese che è stata lo storico braccio destro di madre Teresa. «Oggi — ci dice la missionaria — è la festa della fede e anche la mia festa: il mio nome Frederick, Federica, significa proprio “ricca di fede”. E madre Teresa mi ha mostrato giorno dopo giorno che la fede si esprime attraverso le opere. Per questo continuo a servire e adorare Gesù nei più poveri tra i poveri». La religiosa vive a Casa Allegria, la struttura di accoglienza che madre Teresa ha aperto nel 1981 nel quartiere romano di Primavalle per assistere le ragazze madri senza soldi e i loro bambini».
Il rito è stato diretto da monsignor Guido Marini, maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie, coadiuvato da monsignor Francesco Camaldo. Il servizio dei ministranti è stato svolto dagli studenti del Pontificio Collegio Internazionale Maria Mater Ecclesiae. Ad eseguire i canti il coro della Cappella Sistina diretto dal maestro Massimo Palombella, con il coro Mater Ecclesiae, il coro del Pontificio Istituto di Musica Sacra e l’orchestra sinfonica della provincia di Bari.
Al termine della celebrazione Papa Francesco, sulla vettura scoperta, ha percorso piazza san Pietro e anche piazza Pio XII per salutare i tantissimi fedeli che hanno partecipato a quest’ultimo appuntamento dell’Anno della fede. Secondo quanto riferito dall’arcivescovo Fisichella, sono stati «ben oltre i sette milioni i fedeli venuti durante l’anno a pregare sulla tomba di san Pietro, tenendo conto solo dei pellegrinaggi organizzati». E la Prefettura della Casa Pontificia ha reso noto che alle quarantaquattro udienze generali del mercoledì nell’Anno della fede hanno preso parte un milione e seicentomila persone.
L'Osservatore Romano