lunedì 25 novembre 2013

All'inizio del bene e del male





di Gianfranco Ravasi
in “Il Sole 24 Ore” del 24 novembre 2013

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Nell'agenda di questa domenica, in mezzo a tanti eventi di vario genere, ce ne sono due un po'
particolari. Il primo è squisitamente ecclesiale: si chiude quell'"Anno della fede" voluto da
Benedetto XVI in connessione col 50° dell'apertura del Concilio Vaticano II, l'11 ottobre 1962.
L'altra chiusura coinvolge, invece, la cultura: cala, infatti, oggi il sipario sulla Biennale d'Arte di
Venezia nella sua 55a edizione. L'esposizione ha visto per la prima volta nella storia la presenza
della Santa Sede con un suo padiglione. Tre artisti erano gli invitati: il milanese "Studio Azzurro",
diretto da Paolo Rosa con una videoinstallazione interattiva in quattro parti; il fotografo moravo
Josef Koudelka con tre trittici e nove "quadri"; e l'australiano Lawrence Carroll con quattro Wall
paintings (dei quali un impressionante freezing painting con ghiaccio, olio, cera, tela, legno e
materiali vari).

Ebbene, quando fu certo l'ingresso del Vaticano nella Biennale, senza voler imporre un percorso
obbligato, decisi semplicemente di mettere nelle mani di quegli artisti selezionati da un'apposita
commissione i primi 11 capitoli del libro biblico della Genesi, perché quel testo antico, eppur
contemporaneo - avendo per protagonista ha-'adam, in ebraico "l'Uomo" di tutti i tempi e luoghi - li
provocasse. Il titolo era scontato, In principio, in ebraico bereshît che è la prima parola non solo di
quel libro, ma anche dell'intera Bibbia. Sorprendente fu lo spontaneo adattarsi dei tre artisti al
triplice movimento che regge quelle pagine e che divenne non soltanto l'ideale sottotitolo, ma anche
la naturale trama e compattezza dell'intera sequenza espositiva: creazione/de-creazione/ri-creazione.

In modo inatteso, durante i pochi mesi della durata dell'evento veneziano (giugno-novembre), è
apparso in versione italiana il volume di un importante esegeta statunitense, Joseph Blenkinsopp,
docente in una delle più prestigiose università americane, la Notre Dame nell'Indiana. Il testo era
una raffinata e originale analisi proprio di quegli 11 capitoli biblici e il titolo del volume in inglese
era Creation, Un-Creation, Re-Creation, reso in italiano meno bene in Creazione, de-creazione,
nuova creazione, mentre la fascetta che accompagnava il libro dichiarava: «Il tema proposto dal
Padiglione della Santa Sede all'edizione 2013 della Biennale d'Arte di Venezia».
Il nodo che il saggio vuole sciogliere è naturalmente quello che ha affannato nei secoli filosofi,
teologi e scrittori, ossia «l'infiltrazione del male in un mondo dichiarato buono all'inizio», quando
appunto il creato esce dalle mani del Creatore. Questione mastodontica che la Bibbia affronta
proprio in quegli 11 capitoli che fungono quasi da premessa autonoma alla storia della salvezza
successiva, il cui aggancio è esplicitato dal paragrafo finale del capitolo 11 ove entra in scena
Abramo. Che le domande siano roventi lo conferma la storia stessa dell'umanità ritmata su «delitti,
follie e sventure», come lapidariamente sintetizzava il famoso storico inglese settecentesco Edward
Gibbon.
L'analisi offerta dal testo - che tra l'altro è frutto della fusione redazionale di pagine differenti per
autore e cronologia - è condotta ricorrendo a un genere letterario specifico, il mito. A questo
proposito bisogna, però, subito osservare che la terminologia "mito" è assunta da Blenkinsopp
secondo un'accezione "tecnica", ben lontana dall'uso popolare che considera il vocabolo come
sinonimo di favola, leggenda, fantasia, saga. Inoltre, il "mito" biblico non è semplicemente
comparabile neppure ai paralleli semitici ove s'intrecciano rituali e concezioni cicliche naturistiche
e teologie politeistiche e immanentistiche. Noi preferiremmo, perciò, per evitare equivoci,
classificare questi capitoli come «eziologie metastoriche sapienziali». Cerchiamo di spiegarci.
Siamo di fronte a una narrazione apparentemente storica, con una sua trama di eventi, la quale ha
però un valore filosofico-teologico, quindi "sapienziale" ed esistenziale. Il racconto vuole risalire
idealmente alla sorgente dell'umanità per trovare il senso e la finalità di tutto il fiume che ne è
derivato: è, perciò, "eziologia", ossia ricerca delle cause, del significato, della genesi di quella
genealogia umana che giunge fino a oggi. Lo scopo non è tanto quello di spiegare cosa sia successo
alle origini, quanto di individuare chi è l'uomo e quale matrice ha il male nel contesto della
creazione: è, dunque, una "metastoria", cioè non una vaga ideologia, ma l'identificazione del filo
costante sotteso a eventi, tempi e vicende storiche umane.
Si tratta, quindi, di archetipi che non vogliono tanto narrare scientificamente cosa sia accaduto nel
processo di evoluzione del creato e di ominizzazione, quanto piuttosto affermare nella sua radice
iniziale lo statuto permanente di ogni creatura umana in qualsiasi epoca storica e area geografica.
Così, anche nel primo racconto fondamentalmente positivo della creazione (capitolo 1 della
Genesi), si ha comunque l'evocazione del nulla attraverso i simboli delle tenebre, del deserto
informe e dell'abisso vuoto (1,2): è l'irrompere del limite, della finitudine e del male. Tra l'altro, la
stessa coppia umana, che è definita come "molto buona/bella" è creata il sesto giorno e il sei nella
simbologia delle cifre è un numero negativo.
Più esplicito è il secondo racconto (capitoli 2-3) ove la libertà umana - e qui Blenkinsopp avrebbe
potuto insistere maggiormente sul valore "metafisico" e antropologico-etico dell'«albero della
conoscenza del bene e del male», un evidente segno delle libere scelte morali -, spinta anche da
forze esterne negative (il serpente), si accanisce contro il primordiale progetto divino devastandolo.
Il fiume del male prosegue poi anche con la nascita della famiglia nella quale scoppiano la gelosia e
la collera che conducono al delitto (Caino e Abele), delitto che dilaga nella società con la spirale
della violenza esaltata da Lamek fino ad approdare alla radicale "de-creazione" del diluvio. Esso è
una sorta di catarsi dell'umanità ormai avvolta nelle reti del male e dell'hybris contro il Creatore (sia
col cosiddetto "peccato originale", sia con l'arcaica evocazione della ierogamia tra "i figli di Dio" e
le "figlie dell'uomo" in Genesi 6,1-4).
E anche dopo la "ri-creazione" post-diluviana con Noè salvato nel santuario della sua "arca" come
seme della nuova umanità, riaffiora il germe maligno in Nimrod, il primo artefice di un impero
(10,8-12) con la sequela di degenerazioni nazionalistiche, colonialistiche, imperialistiche incarnate
in Babele (11,1-9), la tradizionale superpotenza orientale nemica di Israele. Studiare in profondità,
come fa Blenkinsopp, queste pagine diventa, di conseguenza, una sorprendente occasione per
interpretare il nostro presente con occhi realistici, ma anche illuminati dalla speranza, perché
l'ultima meta della storia - ed è questo il messaggio finale della Bibbia - non è il caos, ma la ri-creazione o redenzione.

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Joseph Blenkinsopp, Creazione, de-creazione, nuova creazione, Dehoniane, Bologna, pagg. 289, €
30,00
Si veda anche In Principio. Padiglione della Santa Sede. 55a Esposizione Internazionale d'Arte
della Biennale di Venezia 2013, a cura di Micol Forti e Pasquale Iacobone, FMR-ART'È, San
Lazzaro di Savena (BO), pagg. 180, € 35,00