domenica 13 ottobre 2013

Quel vaso da riempire donato ai Sioux



A Lione una veglia promossa dalle riviste «La Vie» e «Prier». 

La Notte del cristianesimo.  La Notte del cristianesimo si è svolta tra venerdì 11 e sabato 12 ottobre nella basilica di Saint-Martin d’Ainay a Lione nell’ambito della quarta edizione degli Stati generali del cristianesimo dedicati quest’anno al tema del potere. L’avvenimento, organizzato dal mensile «Prier» e dal settimanale «La Vie», ha visto la partecipazione fra gli altri del priore della comunità di Taizé. Pubblichiamo una nostra traduzione della sua meditazione. 
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(Fratel Alois) È una gioia per noi fratelli pregare stanotte con voi in questa magnifica basilica di Saint-Martin d’Ainay. Poiché Taizé non è lontana da Lione, sono felice di poter partecipare quest’anno agli Stati generali del cristianesimo, animati dalla rivista «La Vie», ed esprimere così l’amicizia che ci lega da lungo tempo al mensile «Prier». Prima di lasciarli, Gesù dice ai suoi discepoli: «Sarete miei testimoni fino ai confini della terra». Egli invia tutti noi, confida in tutti noi, tutti noi siamo chiamati a essere per gli altri testimoni di Cristo con la nostra vita, là dove viviamo.
Come essere testimoni quando la nostra fede ci appare spesso così piccola? In un mondo in cui la fiducia in Dio è sempre meno scontata, è fondamentale rispondere in modo nuovo alla domanda: perché credere in Dio? Una risposta personale può dare un senso e un orientamento all’esistenza di ognuno di noi. Dopo la morte di Gesù, i suoi discepoli erano disorientati e facevano fatica a credere. Ma poco a poco hanno capito che Gesù era veramente risorto, che dovevano accettare di stare separati da lui fisicamente ma che, da quel momento in poi, egli sarebbe stato presente tra loro in modo diverso, invisibile, attraverso lo Spirito Santo. Lo stesso vale per noi oggi; lo Spirito Santo rende Cristo molto vicino a noi, in ogni momento. Accogliamo la sua presenza. Dio non guarda nessuno con severità, ma con bontà e tenerezza. Lasciamoci toccare dalla sua parola, dall’Eucaristia. Per essere testimoni di questa fonte di vita e di amore in mezzo agli altri, dobbiamo innanzitutto lasciarla scorrere in noi.
Per credere abbiamo bisogno gli uni degli altri, nessuno può credere da solo. Solamente insieme possiamo, con i nostri limiti e le nostre debolezze, essere testimoni dell’amore di Dio, testimoni anche molto umili, tra quanti ci circondano. Se è vero che Cristo ci chiama a essere suoi testimoni, testimoni dell’amore di Dio con la nostra vita, è in particolare con la solidarietà e la compassione che mostriamo verso gli altri che lo siamo. La compassione è più di un sentimento. Essa spinge ognuno a chiedersi: quale gesto concreto posso compiere subito? Oso andare, anche a mani vuote, incontro a quanti soffrono, forse non lontano da me? Posso modificare il mio stile di vita per dimostrare una solidarietà più grande verso quanti sono più poveri di me? Quel che noi possiamo fare è spesso poca cosa, ma quel poco dobbiamo farlo. A cambiare il mondo, a costruire le nostre società, non sono tanto le azioni spettacolari, quanto la perseveranza quotidiana nella solidarietà umana. Ognuno può compiere un primo passo nel suo ambito, in famiglia, nella comunità cristiana locale, tra i vicini, tra gli amici. Alcuni sono pronti ad andare incontro agli esclusi, ai malati, ai bambini abbandonati, alle persone disabili, agli immigrati, alla gente senza lavoro.
Che la povertà sia materiale, spirituale o psicologica, essere solidali dovrebbe sempre significare, in primissimo luogo, rispettare la dignità umana dell’altro. Ciò comporta una condivisione reciproca: scoprire che, dando un aiuto, siamo spesso noi a ricevere. Tale reciprocità è fondamentale per vivere la solidarietà e l’intero Vangelo ci rende attenti a questo. Abbiamo bisogno gli uni degli altri, sia quelli che appaiono forti sia quelli che appaiono deboli, per diventare più umani. In questa reciprocità la pace interiore e la gioia di vivere possono rinnovarsi.
Quando penso all’appello alla solidarietà, mi torna spesso in mente un evento che abbiamo vissuto in primavera, ovvero l’incontro del nostro pellegrinaggio di fiducia nel South Dakota, negli Stati Uniti. Vorrei raccontarvelo brevemente. In quello Stato del centro degli Stati Uniti ci sono delle riserve dove abitano gli Indiani. Alcuni membri della tribù dei Sioux l’anno scorso erano venuti a Taizé e ci avevano chiesto di organizzare un incontro nella loro riserva. È stata una grande sorpresa. Quell’invito era talmente eccezionale che abbiamo detto subito di sì. I Sioux hanno sofferto tanto nel corso della storia e sono stati quasi sterminati. La loro diffidenza verso tutto ciò che viene dall’Occidente è comprensibile. Perciò siamo rimasti molto colpiti dalla loro fiducia. Per quell’incontro hanno accolto cinquecento giovani di diversi Stati americani e Paesi stranieri. E che accoglienza! La famiglia Two-Bulls, con un gruppo di giovani di varie tribù, ha fatto di quell’incontro un’esperienza indimenticabile. Per ospitare noi fratelli hanno montato vari tepee, le tradizionali tende, e i giovani hanno piantato le proprie vicino a una piccola cappella, nell’immensità della prateria. Le preghiere si svolgevano all’aria aperta. Avevo portato come dono un vaso in ceramica, fatto con la terra della nostra regione, e ho detto loro: «Voi avete da sempre grande rispetto per la natura. Con questo vaso la nostra terra di Borgogna tocca il vostro suolo. Il vaso è vuoto. Perché noi siamo venuti a mani vuote. Voi lo riempirete, voi siete un dono per noi».
Il nonno della famiglia Two-Bulls dopo l’incontro ci ha detto: «Non siete venuti per insegnare, ma per condividere la nostra vita e abbiamo vissuto uno scambio reciproco». Ci ho riflettuto sopra: quante volte ci poniamo al di sopra degli altri! Questo atteggiamento è una fonte di conflitti tra le persone e provoca guerre tra i popoli. Gesù, lui non si è posto al di sopra. Si è messo al nostro livello, e addirittura più in basso di noi. Si è fatto solidale con i poveri, persino con quanti si credevano lontani da Dio. Accogliere la sua umiltà rafforza la nostra vita interiore. Ci rende più sensibili alla sofferenza altrui, più attenti alla dignità di ogni essere umano. Ci porta a rifiutare interiormente di considerarci superiori agli altri, a livello sia spirituale sia morale.
«Sarete miei testimoni»: questo appello di Cristo c’interroga anche sui rapporti tra le diverse Chiese. Solamente insieme possiamo essere sale della terra, altrimenti il messaggio del Vangelo rischia di perdere il suo sapore. A maggio, i protestanti francesi si sono riuniti a Lione per celebrare un bell’evento: l’unità tra luterani e riformati. Mi hanno invitato e io ho detto loro: «La vostra unità mostra che non possiamo più testimoniare Cristo separatamente. Quando le nostre voci non sono unite, il messaggio del Vangelo, il messaggio dell’amore di Dio, diventa inudibile». E ho aggiunto: «La visione della vostra barca divenuta comune nutre un sogno. È il sogno che, in un futuro prossimo, le diverse famiglie cristiane si ritrovino ancora di più nell’amore e secondo la verità, e che insieme possiamo salire tutti su un’unica barca, quella dell’unità visibile di tutti i cristiani. Ognuno porterà il meglio della propria tradizione. Ognuno accetterà di lasciarsi dietro tutto ciò che è secondario».
Affronto ora un’ultima domanda: che cosa è più necessario per cercare l’unità, la riconciliazione, la solidarietà? Una delle cause delle ingiustizie e delle violenze è la non conoscenza dell’altro. Come creare ponti attraverso vincoli di amicizia, tra Paesi, mentalità e culture diverse? Da parte mia, cerco di impegnarmi esercitandomi a mettermi al posto dell’altro: cercando di vedere la realtà come l’altro la vede, per poi trarne le conseguenze, magari con le inevitabili rinunce. È evidente che occorre farlo già in un semplice rapporto di amicizia: bisogna cercare di capire perché l’altro è così com’è, perché reagisce in un determinato modo. Mettersi al posto dell’altro è difficile in un’amicizia, in una coppia, in una comunità, è difficile anche tra le nazioni. Ma vale la pena, perché qualcosa si apre dentro di noi, il nostro orizzonte si allarga, non rimaniamo chiusi in noi stessi, superiamo la diffidenza, la paura degli altri. Ma quando non riusciamo a metterci al posto dell’altro e a creare la comunione, cosa possiamo fare? Volgerci ancora e sempre verso Cristo, accogliere il suo perdono e il suo amore nel silenzio, e in tal modo riprendere slancio e ripartire verso l’altro. E quando non riusciamo neppure a volgerci verso di lui, Cristo non ci rimprovera mai. Ci dice solo: «Continua il cammino, per mezzo dello Spirito Santo io ti guido e ti sostengo».
Allora ricordiamo che, quando non riusciamo a credere nella comunione, o quando abbiamo commesso un errore, persino un errore grave, Egli ci dice sempre: «La pace sia con voi!», «Continuate il cammino». È questo lo slancio di fede per camminare nella sequela di Cristo. Così l’intera nostra vita può trovare un senso quando siamo come pellegrini, in cammino verso una comunione più personale con Dio e insieme verso una solidarietà più profonda degli uni verso gli altri. Tutta la nostra vita può diventare un pellegrinaggio, prima di tutto un pellegrinaggio interiore, per sprigionare in noi stessi le fonti della fiducia in Dio.
L'Osservatore Romano