mercoledì 9 ottobre 2013

Per educare all’ascolto di Dio.



 La Bibbia in famiglia

(Vicenzo Paglia, Presidente del Pontificio Consiglio della Famiglia) Se è vero che la fede nasce dall’ascolto della Parola (cfr. Romani 10, 17), allora le Sante Scritture rappresentano un elemento vitale per le nostre famiglie affinché possano fare un’esperienza autentica di Gesù Cristo e testimoniarla al mondo. Leggere la Parola di Dio in famiglia significa educarsi all’ascolto sincero e riscoprire quella dimensione propria del Verbo che è il Silenzio eterno del Padre da cui il Figlio stesso è generato.L’incontro tra la Federazione Biblica Cattolica e le Società Bibliche sul tema della “Bibbia nella Famiglia”, che si sta celebrando in questi giorni a Roma, è, così, particolarmente opportuno. Da sempre nella storia cristiana la lettura della Bibbia nella famiglia è stata uno dei cardini della vita pastorale. Basti pensare a quanto diceva Giovanni Crisostomo, il grande vescovo di Costantinopoli, ai suoi fedeli che talora mal sopportavano le sue indicazioni: «Si dirà da parte di qualcuno: Io non sono né monaco, né anacoreta, ho moglie e figli e mi prendo cura della mia famiglia. Ecco la grande piaga dei nostri tempi, credere che la lettura del Vangelo sia riservata soltanto ai religiosi e ai monaci […]. È un grande male non leggere i libri che recano la parola di Dio, ma ve n’è uno peggiore, credere che questa lettura sia inutile […]. Non ascoltare la parola di Dio è causa di fame e di morte» (Sul Vangelo di Matteo: Omelia 2, 5-6 , pagina 57, 28-29).
E un altro grande vescovo, Cesario di Arles, ammoniva: «La luce dell’anima e il cibo eterno altro non è infatti se non la Parola di Dio, senza la quale l’anima non può né vedere né vivere: giacché, come la nostra carne muore se non assume cibo, così anche la nostra anima si spegne se non riceve la Parola di Dio. Ma qualcuno dice: “Io sono un contadino e sono continuamente impegnato nei lavori dei campi: non posso né stare ad ascoltare, né leggere la Scrittura divina”. Quanti uomini e quante donne dei campi ricordano a memoria e cantano canti diabolici, lascivi e sconci! Possono ricordare e imparare queste cose che insegna il diavolo, e non possono ricordare ciò che rivela Cristo?» (Predicare la Parola, 106).
Se pensiamo alla famiglia di Nazareth, appare evidente quanto sia stato importante anche per Gesù il rapporto con le Sante Scritture attraverso i genitori. Nella pia famiglia ebrea si pregava tre volte al giorno: mattino, mezzogiorno e sera. Luca ci dice che Gesù «cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e davanti agli uomini» (Luca 2, 52) e che partecipava ai pellegrinaggi annuali «nella casa del Padre» (Luca 2, 42). Maria e Giuseppe pregavano assieme recitando i salmi e le preghiere e Gesù sin da bambino le apprendeva. Viveva poi il ritmo settimanale in sinagoga, ove si ascoltava e meditava la Parola di Dio e insieme pregavano. I rabbini dicevano: «Il mondo riposa su tre colonne: la legge di Dio, la sacra Scrittura, la celebrazione e la carità». La Scrittura nella vita della famiglia di Nazareth educa all’ascolto di Dio e alimenta la fede nella vita quotidiana dei suoi stessi membri.
Nella Chiesa cattolica, con il concilio Vaticano II, la Bibbia è tornata nelle mani dei fedeli e oggi è davvero straordinario l’impegno perché i fedeli ascoltino le Scritture. Il penultimo sinodo straordinario dei vescovi è stato proprio sulla Parola di Dio nella vita della Chiesa. Anche alcuni rappresentanti delle Società Bibliche vi hanno partecipato e potuto portare il loro contributo. In quell’occasione è stato firmato un documento di collaborazione tra la Federazione Biblica e le Società Bibliche con l’impegno a espandere il più possibile la conoscenza e il rapporto dei fedeli con le Sante Scritture.
Purtroppo talora appare che la Parola di Dio non è l’anima della vita spirituale dei cristiani contemporanei, come invece l’intera tradizione della Chiesa testimonia. Benedetto XVI, parlando ai giovani diceva: è urgente «insegnare a leggere la Sacra Scrittura non come un qualunque libro storico, ma per quello che è realmente, come parola di Dio ponendosi in colloquio con Dio», imparando cioè a pregare proprio a partire dal testo ascoltato, letto, meditato. E la famiglia deve diventare uno dei luoghi privilegiati ove questo avviene. Ogni cristiano — o almeno ogni famiglia — dovrebbe avere la “sua” propria Bibbia, quella che si legge ogni giorno e che si porta con sé anche nelle vacanze o nei viaggi. Mai dovrebbe mancare la propria piccola Bibbia nel “bagaglio” del credente.
Sia i pastori che i semplici credenti debbono sentire la responsabilità per sé e per gli altri della diffusione capillare della Bibbia. Un indice del cammino che si deve ancora fare lo possiamo trovare nei dati di una inchiesta di qualche anno fa: ad eccezione degli Stati Uniti e dell’Inghilterra, raramente si regala la Bibbia.
Soprattutto è scarsa l’incidenza della Bibbia sui comportamenti dei credenti. Normalmente, anche nel fare il bene, la maggioranza dei credenti si regola sulla base di buone abitudini, di alcuni principi di buon senso, magari ci si riferisce ad un contesto tradizionale di credenze religiose e di norme morali ricevute, ma poco alle Sante Scritture. Di conseguenza si sperimenta poco la Parola di Dio come sostegno e conforto della propria esistenza. Per di più è davvero difficile, senza la familiarità con la Bibbia, comprendere il “vero Dio” o, se si vuole, il Suo “vero volto”.
Il recente Sinodo della Chiesa Cattolica sulla nuova evangelizzazione ha riservato un’attenzione particolare al rapporto tra le Sante Scritture, il matrimonio e famiglia cristiana. Nella Costituzione post-sinodale Verbum Domini, Benedetto XVI scrive: «Con l’annuncio della Parola di Dio, la Chiesa rivela alla famiglia cristiana la sua vera identità, ciò che essa è e deve essere secondo il disegno del Signore. Pertanto, non si perda mai di vista che la Parola di Dio sta all’origine del matrimonio (cfr. Genesi 2, 24). […] La fedeltà alla Parola di Dio porta anche a rilevare che questa istituzione oggi è posta per molti aspetti sotto attacco dalla mentalità corrente. Di fronte al diffuso disordine degli affetti e al sorgere di modi di pensare che banalizzano il corpo umano e la differenza sessuale, la Parola di Dio riafferma la bontà originaria dell’uomo, creato come maschio e femmina e chiamato all’amore fedele, reciproco e fecondo» (85).
È una pagina che — di fronte ai gravi problemi che la famiglia è chiamata ad affrontare — richiama il suo legame con disegno di Dio che scaturisce direttamente dalle Sante Scritture. E nel sottolineare il rapporto tra l’unione nuziale e il mistero dell’unione tra Cristo e la Chiesa, Benedetto XVI, richiama la responsabilità dei coniugi nella educazione dei figli: «Attraverso la fedeltà e l’unità della vita di famiglia gli sposi sono davanti ai propri figli i primi annunciatori della Parola di Dio». Sappiamo bene quanto sia ardua oggi l’educazione delle nuove generazioni. Ci troviamo di fronte ad una sorta di iato tra le generazioni che rende sempre più difficile la comunicazione intergenerazionale.
Benedetto XVI richiama la responsabilità della comunità cristiana nell’aiutare le famiglie in questo compito educativo che comporta anche l’attenzione alla dimensione religiosa: «La comunità ecclesiale deve sostenerli ed aiutarli a sviluppare la preghiera in famiglia, l’ascolto della Parola, la conoscenza della Bibbia. Per questo il Sinodo auspica che ogni casa abbia la sua Bibbia e la custodisca in modo dignitoso, così da poterla leggere e utilizzare per la preghiera. L’aiuto necessario può essere fornito da sacerdoti, diaconi o da laici ben preparati. Il Sinodo ha raccomandato anche la formazione di piccole comunità tra famiglie in cui coltivare la preghiera e la meditazione in comune di brani adatti delle Scritture. Gli sposi, poi, ricordino che “la Parola di Dio è un prezioso sostegno anche nelle difficoltà della vita coniugale e familiare”» (85).
Sono parole importanti che chiamano direttamente in causa ogni soggetto pastorale. Ed è singolare il passaggio successivo che sottolinea l’importanza del compito delle donne nella famiglia; esse, infatti, «sanno suscitare l’ascolto della Parola, la relazione personale con Dio e comunicare il senso del perdono e della condivisione evangelica» (85).
Qui si apre il vasto campo della pastorale familiare e il suo rapporto, da ravvivare e talora da avviare, con le Sante Scritture. Un primo capitolo di impegno riguarda la presenza della Bibbia nelle case, ovviamente nella propria lingua. Che la Bibbia giunga in ogni casa e nella propria lingua dovrebbe essere una utopia possibile, soprattutto oggi che l’alfabetizzazione è davvero globalizzata; eppure, a oggi, ben 4.500 lingue necessitano ancora di un traduzione della Bibbia! A questa attenzione è connessa una capillare diffusione di metodi e sussidi che aiutino le famiglie ad aprire e leggere il testo biblico: dalla lectio divina — è decisivo far comprendere che la Bibbia è il libro privilegiato per la preghiera cristiana — alla lettura per apprendere il senso della vita cristiana attraverso l’approfondimento biblico. Non poche esperienze nella Chiesa cattolica mostrano la fecondità di questo rapporto.
Vi è poi, come secondo aspetto, l’impegno a diversificare le offerte bibliche — anche in questo aspetto si sono fatti molti progressi, basti pensare alle offerte per i ragazzi, per i giovani… — senza tuttavia perdere quel momento comune di preghiera e di lettura che deve essere conservato nella famiglia, sia in ambito domestico sia in contesti comunitari. Non si deve infine dimenticare l’utilità del rapporto con le Scritture anche per la crescita di quel nuovo umanesimo che sgorga dalla sapienza biblica. Le famiglie cristiane, sull’esempio di quella Santa di Nazareth, possono diventarne protagoniste feconde.
L'Osservatore Romano