martedì 8 ottobre 2013

Il Papa a Ballarò: "Cercate la speranza, il Signore vi ispirerà"

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La Repubblica.it
"Sempre c'è speranza perchè il Signore ci dà sparanza, il Signore ci dà la forza di andare avanti". Così Papa Francesco alle telecamere di Ballarò durante la sua visita ad Assisi. Il video, in anteprima sul profilo Facebook della trasmissione e su Twitter, andrà in onda questa sera nel corso della puntata, alle 21.05 su Rai3.


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Le parole di Francesco che turbano i cattolici
di Vittorio Messori
in “Corriere della Sera” del 8 ottobre 2013
Occupandomi, in libri e giornali, di cose cattoliche sin dai tempi di Paolo VI, succede che non pochi
— magari sconcertati o confusi — insistano nel chiedermi opinioni sui primi mesi del nuovo
pontificato. Di solito me la cavo con una battuta che parafrasa la risposta data ai giornalisti,
sull'aereo che tornava dal Brasile, proprio da papa Bergoglio: «Chi sono io per giudicare?». Se
siamo tenuti a non giudicare alcuno — parola di Vangelo — figurarsi un Pontefice, la cui scelta, per
i credenti, è fatta dallo Spirito Santo stesso.
Certo, ci furono secoli in cui sembrò che gli uomini si fossero sostituiti al Paràclito: conclavi
simoniaci o pilotati dalle grandi potenze dell’epoca, con candidature e veti imposti dalla politica.
Eppure, chi conosce davvero la storia della Chiesa — condizione che non è dei troppi faciloni e
orecchianti — chi sappia cogliere la dinamica della «lunga durata» distesa su ben venti secoli,
finisce col sorprendersi. Scoprendo, cioè, che san Paolo sembra avere davvero ragione quando
afferma che omnia cooperantur in bonum, tutto coopera al bene. Anche quello della Chiesa che, per
la fede, non è soltanto guidata dal Cristo ma ne è addirittura il «corpo mistico». Comunque, se
stiamo al nostro tempo, non c’è bisogno di fidarsi, malgrado tutto, di una Provvidenza che talvolta
può sembrarci incomprensibile. Non c’è bisogno, perché a tutti è evidente la qualità umana di
coloro che si sono avvicendati negli ultimi decenni nel ruolo di pontefici romani. Per stare soltanto
alla successione di questo dopoguerra, ecco le figure di Pacelli, Roncalli, Montini, Luciani, Wojtyla,
Ratzinger e, ora, Bergoglio. Chi, pur lontano o avverso alla Chiesa, potrà negare che si tratta di
personalità di insolito rilievo, unite dalla stessa fede e dallo stesso impegno nel loro ufficio ma con
grandi differenze caratteriali, diverse storie e culture, diversi stili pastorali?
Ed è proprio questo il punto che a molti, anche cattolici, non sembra essere chiaro: quale che sia,
cioè, l’uomo giunto al papato, quali che siano le nostre consonanze o dissonanze umorali nei suoi
confronti, resta pur sempre il successore di Pietro, il garante e custode dell’ortodossia. Dunque, un
uomo di Dio non solo da accettare, ma per il quale pregare e al quale ubbidire con rispetto e amore
filiale.
Cose che dovrebbero essere chiare oggi soprattutto, con questo Vescovo di Roma «giunto quasi
dalla fine del mondo», uomo dalla personalità prorompente, istintivamente impulsiva e magari
autoritaria (ammissione sua, nell’intervista alla Civiltà Cattolica ) e segnata, malgrado le origini
italiane, da un cultura diversa dalla nostra come quella sudamericana. Un papa, per giunta, venuto
— per la prima volta in quasi due secoli — non dal clero secolare ma da un ordine religioso
contrassegnato da una formazione difforme da ogni altra, nella Chiesa stessa. Una Compagnia
(nome militare di un fondatore venuto dalla vita militare) da cinque secoli amata e detestata,
ammirata e temuta. Al punto che, caso unico, finì coll’essere soppressa — «propter bonum
Ecclesiae», dice la bolla — da un papa francescano, per essere poi risuscitata, appena possibile, da
un papa benedettino.
Verità impone di ammettere che, soprattutto dando uno sguardo a molti siti e blog sulla Rete, non
mancano i nostalgici della sobrietà, del rigore dottrinale, della profondità culturale, del rispetto delle
tradizioni, dell’attenzione alla liturgia di Benedetto XVI. E nessuno ha dimenticato il quarto di
secolo di quello straordinario ciclone che fu Giovanni Paolo II, di cui già è stata riconosciuta la
santità. C’è da capire, i sentimenti sono cosa umanissima. Ma, va ripetuto: ogni confronto tra papi è
irrilevante, in una prospettiva cristiana ; la sintonia di ogni credente con lui è basata su ben altro che
su personali simpatie. La comunità che il successore di Pietro guida e governa ha da sempre e
sempre avrà un fine ultimo (e unico) da cui tutto deriva e che è ricordato esplicitamente dal Codice
di Diritto Canonico: «Suprema legge della Chiesa è la salvezza delle anime». Anche se talvolta
sembra che lo si dimentichi, da questo tutto deriva e l’intera istituzione ecclesiale esiste per questo:
annunciare la vita eterna promessa dal Vangelo e aiutare ogni uomo — con la predicazione e con i

sacramenti — a seguire la strada che porta al traguardo della morte, in realtà nascita alla vita vera.
Tutto il resto è solo strumento, sempre riformabile e destinato a passare, a cominciare dalla pur
indispensabile burocrazia curiale: Dio stesso ha voluto aver bisogno di una istituzione umana, con i
suoi organi e le sue leggi. Ogni papa è, ovviamente convinto di questa priorità della salus animarum
ma Francesco, si direbbe , con un’urgenza particolare , tanto da fare di tutto perché clero, religiosi,
laici tornino essi pure a esserne consapevoli. Una scelta, questa del pontefice argentino, che sembra
dare risultati sorprendenti: per quanto conta, io pure misuro ogni giorno l’interesse, anzi la simpatia
se non addirittura l’adesione di tanti che pur parevano inamovibili nella loro indifferenza se non
persino in un laicismo polemico e aggressivo.
Il ritorno alla successione naturale, eppur spesso dimenticata (prima la fede, la morale ne verrà
come necessaria conseguenza); l’appello alle raisons du coeur prima che alle raisons de la raison
per usare i termini pascaliani; l’uscita dalla gabbia di un credere ridotto a inflessibile norma
codificata; le braccia aperte a tutti, ricordando la misericordia del Dio di Gesù, il cui mestiere è
perdonare e accogliere i figli, senza eccezione, anche quelli «prodighi». Tutto questo sta
provocando risultati positivi che richiamano il criterio di valutazione indicato dal Vangelo stesso:
«Dai frutti conoscerete l’albero». Se il raccolto spirituale si annuncia tanto buono, non sarà
altrettanto buona la pianta da cui viene?
Questo ancor vigoroso settantasettenne, con il suo stile da «parroco del mondo», vuole impegnare la
Chiesa intera in quella sfida di rievangelizzazione dell’Occidente che fu centrale anche nel
programma pastorale dei suoi due ultimi predecessori. Nessuna frattura, dunque, bensì continuità,
pur nella diversità di temperamenti. Questa Chiesa bimillenaria mostra anche così di non avere
alcuna intenzione di ridursi a setta rancorosa, non solo minoritaria ma anche marginale. Con Roma
e i suoi vescovi, il mondo intero dovrà ancora misurarsi. Così come accade dai tempi dell’Impero
romano, quando tutto cominciò.

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LE OPPOSIZIONI A PAPA FRANCESCO

Massimo Faggioli
Dopo i goffi tentativi delle prime settimane, nessuno ormai osa dire che nulla è veramente successo nella chiesa cattolica dopo il conclave del marzo 2013. Bergoglio è papa da poco meno di sette mesi, e già all’orizzonte si staglia una variegata geografia delle opposizioni alle novità di papa Francesco. Come è noto, la chiesa non è una democrazia e tantomeno una democrazia
dell’alternanza, dove forze diverse si alternano al governo in una dinamica maggioranza-opposizione. Ma l’inizio di Francesco ha rappresentato un vento di novità, sia di stile sia di sostanza, e la resistenza alle novità è percepibile, e sarebbe riduttivo catalogarle secondo una dialettica tra riformatori e conservatori.
In primo luogo vi sono i nostalgici di Benedetto XVI, coloro che il 19 aprile 2005 avevano festeggiato come una loro personale vittoria l’elezione del papa teologo, ex prefetto dell’ex Sant’Uffizio: dall’11 febbraio 2013 si sentono, molto più di altri, orfani di Joseph Ratzinger, ora papa emerito. La nostalgia è per il papa da loro elevato ad alfiere della tradizione tradizionalista, anti-progressista e conservatrice, contraria agli eccessi del post-concilio (come la “inculturazione” della teologia cattolica nelle culture non europee) e fustigatrice del modernismo culturale nella chiesa. Tutti questi motivi fanno di Benedetto XVI un papa incompreso, isolato ed emarginato nella chiesa proprio per i suoi tentativi di far pulizia della corruzione morale e culturale: l’organo semi-ufficiale è il blog “Papa Ratzinger” . Altri gruppi, come Rorate Caeli sono diversamente “nostalgici”, nel senso che manifestano una reazione anti-Bergoglio specialmente per la questione liturgica, a causa dell’accoglienza senza mezzi termini riservata alla riforma liturgica del Vaticano II dal nuovo papa – contrariamente a Benedetto XVI che nel 2007 aveva riabilitato la messa preconciliare e in latino. La nostalgia non è solo per il latino e il canto gregoriano, ma anche per le cappe magne e gli ermellini, le cerimonie barocche e il fasto d’atri tempi – in breve, per quegli aspetti di “corte” che papa Francesco ha chiamato “la peste della chiesa” nella sua intervista-dialogo con Eugenio Scalfari.
Vi è poi un altro gruppo di sfavorevoli a papa Francesco in quanto “cattolicisti” – cattolici per cultura di adozione presso la quale si sono rifugiati, senza che siano stati mossi dal Vangelo di Gesù Cristo. Questi apologeti di un cattolicesimo anti-liberale e “maurrasiano”, raccolti sotto l’ombrello de Il Foglio, sono di estrazione varia: ex comunisti, intellettuali blasé, ciellini, fini letterati, nobili di sangue (come Roberto de Mattei), “inquisitori” dei nuovi movimenti religiosi (Massimo Introvigne), affiliati del catto-fascismo di Alleanza Cattolica. Il direttore de Il Foglio, Giuliano Ferrara, ha ufficialmente lanciato la campagna d’autunno contro papa Francesco . Giornale piccolo ma assai influente, è la versione mainstream e intelligente degli altri organi su cui pubblicano i cattolici crociati come de Mattei e Introvigne, come per esempio “Corrispondenza Romana”.
Il collettore più raffinato e ricercato di queste nostalgie ratzingeriane e sentimenti anti-bergogliani a matrice teologica è il vaticanista de L’Espresso, Sandro Magister, con il suo blog plurilingue Settimo Cielo (che ospita non solo pettegolezzi di curia, ma anche alcuni contributori di riferimento, tra cui spicca per frequenza e veemenza Pietro de Marco). Ma vi è anche un’opposizione politica al nuovo papato, quella che nella stampa mainstream (e quindi dalla sponda esattamente opposta a quella dei ratzingeriani che si sentono da sempre emarginati dalla cultural mainstream) si oppongono a papa Francesco perché parteggiano (dall’esterno, s’intende) per un cattolicesimo naturaliter politicamente centrista, moderato e acquiescente di fronte alla grande borghesia, ai poteri forti e alle forze della globalizzazione. Esempio preclaro di questo atteggiamento è Piero Ostellino sul “Corriere della Sera” di domenica 6 ottobre 2013: per essi il radicalismo sociale del papa non è altro che il populismo di un gesuita latinoamericano. Sull’altra sponda dell’oceano Atlantico, vi sono altre opposizioni conservatrici, teologiche e politiche al tempo stesso: diverse ma non meno agguerrite, come è tipico di un cattolicesimo fortemente polarizzato sulle questioni etiche come quello nordamericano. Vi sono i militanti per la civiltà delNational Catholic Register e di First Things, convinti che le parole di papa Francesco su aborto, contraccezione e omosessualità siano la sconfessione delle battaglie di una vita per la causa pro-life, e il cedimento del cattolicesimo alla cultura liberal.
Naturalmente, papa Francesco non ha oppositori solo a destra, ma anche a sinistra, ovvero tra quelli che non ne apprezzano la moderazione sulle riforme fatte o annunciate finora. Tra questi, alcuni columnist del National Catholic Reporter  (specialmente le teologhe femministe) e l’organo più importante del dissenso cattolico in Italia, Adista . Al fondo vi è un’attesa di riforme radicali (e per ora non annunciate) da parte del papa: sulla disciplina dei sacramenti (per i divorziati), il sacerdozio (anche per le donne), la chiesa e la pace, e infine il “sistema Vaticano” come elemento di cui disfarsi, più che da riformare.
La lista è appena all’inizio. Queste sono alcune delle voci pubbliche che nei primi mesi di papa Francesco hanno manifestato il proprio dissenso, stupore, talvolta sconcerto e spavento di fronte alla novità portate dal papa gesuita argentino. Molte altre voci non sono pubbliche, e sono quelle più insidiose, assieme a quelle che si sono convertite al francescanesimo di papa Bergoglio un minuto dopo la sua elezione, spinti ad un moto di approvazione insincera. Il salto da corista a solista non è da tutti.

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“Corriere della Sera” - Rassegna "Fine settimana"
(Gian Guido Vecchi) Il cardinale Oscar Maradiaga, coordinatore del Consiglio del Papa nonché presidente di Caritas internationalis, per spiegare la «scossa» di Francesco alla Chiesa ricorda che quando si videro con Bergoglio alla riunione dei vescovi latinoamericani, sei (...)