sabato 26 ottobre 2013

Centro della vita umana




La famiglia come antidoto ai mali della società. 

(Lucetta Scaraffia) La comunità «è di più che la somma delle persone. È il luogo dove si impara ad amare, il centro naturale della vita umana. È fatta di volti, di persone che amano, dialogano, si sacrificano per gli altri e difendono la vita, soprattutto quella più fragile, più debole». Questa definizione di famiglia che Papa Francesco ha dato nel saluto di benvenuto a quelle giunte a Roma in pellegrinaggio fa capire — in poche parole — come questa istituzione costituisca l’antidoto più potente ai mali della società contemporanea, come il narcisismo, l’utilitarismo, la massificazione globale a cui siamo condotti dalle culture dominanti.
È sufficiente la partecipazione vera a questa comunità, vissuta intensamente e totalmente, a far capire che i valori veri sono altri, che l’amore è il centro della vita umana e la nostra più grande aspirazione, l’unica che ci può dare un po’ di pace e di felicità. Basta un gesto di amore, il calore che sappiamo offrire e ricevere, a illuminare una giornata. È una sensazione ben più forte e duratura dell’effimera gioia data dal consumo, che invece è il rimedio sempre proposto dai media davanti a ogni tristezza e che sembra essere l’obiettivo assegnato a ogni esistenza.
Questo amore si realizza nel dialogo, implica parità e rispetto fra donne e uomini, fra anziani e giovani, fra genitori e figli. È amore solo se c’è dialogo — dice il Papa — e quindi se c’è rispetto reciproco. Ma dialogo significa anche ascoltare l’altro, trovare la pazienza e la disponibilità ad aprire il nostro cuore alle esigenze degli altri, cercare di capirli anche quando ci sembrano diversi e lontani.
Se la famiglia realizza tutto ciò diventa naturalmente il luogo dove si difende la vita, dove si è disposti ad accettare un bambino imprevisto, un figlio malato, ma anche la lunga malattia di un genitore anziano. In questo modo Papa Francesco sembra dire che la vera soluzione dei problemi bioetici è l’amore, la costruzione di comunità capaci di amare e quindi di ricevere i più deboli, di accoglierli. Non si può fare da soli questo sacrificio: pochi sono in grado di affrontare da soli questa prova, ma la famiglia, quando c’è, dà la forza per accettare le persone considerate dalla mentalità dominante non perfette, quelle che soffrono.
Il figlio che viene al mondo dopo essere stato sottoposto a un controllo prenatale, che sa di essere stato accettato solo perché sano, come potrà avere poi la generosità di curare il genitore malato? La tentazione dell’eutanasia nasce da questa selezione originaria, cioè dal pensare il figlio come un prodotto che si vuole perfetto, e non come un nuovo membro della famiglia, che sarà comunque amato.
Ecco perché difendere la famiglia come comunità di affetti e di amore scambievole vuol dire affrontare quasi tutti i problemi sociali, con buone speranze di risolverli. L’educazione delle nuove generazioni, il welfare, l’occupazione, la crisi economica, i nodi bioetici sono questioni che rimandano tutte alla struttura familiare: se questa tiene, tiene la società. E se tiene la famiglia come luogo privilegiato di annuncio del Vangelo, anche la Chiesa può andare avanti più speditamente, e su basi più solide.
Per questo la difesa della famiglia da parte di Papa Francesco non è in alcun modo rifiuto del nuovo. È invece uno degli elementi fondamentali per affrontare il futuro. E per renderlo diverso da un presente che per molti aspetti sta perdendo dosi non piccole di umanità.
L'Osservatore Romano