domenica 13 ottobre 2013

ANGELA DA FOLIGNO, LA GRANDE MISTICA



Angela da Foligno diventerà santa
Papa Francesco ha stabilito che la beata Angela da Foligno (1248-1309) sia iscritta nel catalogo dei Santi estendendo alla Chiesa universale il culto liturgico in suo onore. La decisione, presa lo scorso 9 ottobre nel corso dell’udienza concessa al cardinale Angelo Amato - prefetto della Congregazione delle cause dei santi -, è stata annunciata ieri.

A spiegare la modalità di questa canonizzazione - diversa da quella ordinaria che prevede il riconoscimento canonico di un miracolo attribuito all’intercessione di un beato - è stato lo stesso cardinale Amato con un breve articolo esplicativo apparso sull’Osservatore Romano stampato ieri pomeriggio con data odierna. Il porporato ha spiegato come papa Francesco, «in seguito alle numerose suppliche presentate alla Santa Sede da vescovi e superiori francescani», ha proceduto «alla canonizzazione equipollente della beata Angela da Foligno».

Per tale canonizzazione, ha ricordato il cardinale, secondo la dottrina di Benedetto XIV risalente al XVIII secolo, «si richiedono tre elementi: il possesso antico del culto; la costante e comune attestazione di storici degni di fede sulle virtù o sul martirio; la ininterrotta fama di prodigi». E se si soddisfano queste condizioni - sempre secondo la dottrina di papa Lambertini - «il Sommo Pontefice, di sua autorità, può procedere alla canonizzazione equipollente, cioè all’estensione alla Chiesa universale della recita dell’ufficio divino e della celebrazione della Messa, "senza alcuna sentenza formale definitiva, senza aver premesso alcun processo giuridico, senza aver compiuto le consuete cerimonie"».

Il cardinale Amato ha sottolineato come «la pratica della canonizzazione equipollente è stata sempre presente nella Chiesa e attuata regolarmente, anche se non frequentemente». E poi ha citato alcuni esempi di santi canonizzati in questo modo. Tra questi ci sono E cioè Romualdo (1595), Raimondo Nonnato (1681), Stefano di Ungheria (1686), Margherita di Scozia (1691), Giovanni di Matha (1694), Gregorio VII (1728), Venceslao di Boemia (1729), Gertrude di Helfta (1738). E anche Pier Damiani e Bonifacio martire (1828); Cirillo e Metodio di Salonicco (1880); Cirillo di Alessandria, Cirillo di Gerusalemme, Giustino martire e Agostino di Canterbury (1882); Giovanni Damasceno (1890); Beda il venerabile (1899); Efrem Siro (1920); Alberto Magno (1931); Margherita di Ungheria (1943); Gregorio Barbarigo (1960); Giovanni d’Avila (1970). L’ultima canonizzazione equipollente è stata quella di santa Ildegarda di Bingen, ad opera di Benedetto XVI, il 10 maggio 2012. (Diverso è il caso di Giovanni XXIII la cui prossima canonizzazione - con la decisione del Papa di dispensare la causa dal miracolo - non è però classificabile come equipollente).

Sempre ieri è stato annunciato che papa Francesco, ancora il 9 ottobre, ha autorizzato il dicastero presieduto dal cardinale Amato a promulgare sette decreti relativi ad altrettante cause.

Un decreto riguarda il miracolo attribuito all’intercessione della venerabile Maria Assunta Caterina Marchetti (1871-1948), cofondatrice della Congregazione delle suore missionarie di San Carlo, che quindi diventerà beata. Un altro riguarda poi le virtù eroiche - in vista della canonizzazione che potrà avvenire dopo la certificazione di un miracolo - del beato Amato Ronconi (1226-1292), fondatore dell’Ospizio dei pellegrini poveri di Saludecio (Rimini), oggi "Casa di riposo Opera Pia beato Amato Ronconi". Cinque decreti infine riguardano le virtù eroiche di altrettanti servi di Dio.

Si tratta dell’arcivescovo toscano Pio Alberto Del Corona (1837-1912), fondatore della Congregazione delle suore domenicane dello Spirito Santo, della canadese Maria Elisabetta Turgeon (1840-1881), fondatrice della Congregazione delle suore di Nostra Signora del Santo Rosario di San Germain; di Maria di San Francesco Wilson (1840-1916), nata in India da famiglia anglicana, fondatrice nelle Azzorre della Congregazione delle suore francescane di Nostra Signora delle vittorie; di Maria Eleonora Giorgi (1882-1945), suora professa della Congregazione delle serve della Vergine Maria Addolorata di Firenze; di Attilio Luciano Giordani (1913-1972), laico cooperatore salesiano. Questi cinque servi di Dio, che ora diventano venerabili, potranno eventualmente essere iscritti nell’albo dei beati dopo che venga riconosciuto un miracolo attribuito alla loro intercessione.
G. Cardinale

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Mistica convertita dal Poverello
Le testimonianze dirette che abbiamo di Angela da Foligno vengono da frate Arnaldo, prima suo confessore e poi incaricato ufficialmente, dopo le prime notizie sui rapimenti mistici, di stendere una relazione informativa sulla donna.

Nata a Foligno, appunto, nel 1248, Angela proveniva da una famiglia agiata ma era illetterata, seppur capace di padroneggiare bene la lingua latina usata a quel tempo. Sappiamo anche che si sposò (forse intorno al 1270) e che nel 1288 circa in breve tempo morirono la madre, il marito, i figli e in quella solitudine, mettendo fine ad una vita «selvaggia, adultera e sacrilega», secondo la sua stessa testimonianza, si avvicinò alla fede fino a sentire una forte vocazione.

Vendette i suoi beni tra la fine del 1290 e l’inizio dell’anno seguente, ed entrò nel Terz’Ordine francescano dedicandosi alle opere di carità. Frate Arnaldo divenne in un primo tempo suo confessore poi dopo le notizie di rapimenti mistici ebbe l’incarico di compilare un dettagliato Memoriale. In particolare l’anno 1291 segna la vita della religiosa a causa del pellegrinaggio compiuto ad Assisi per conoscere l’opera e il carisma di Francesco. Lungo il percorso ebbe una visione che segnerà e cambierà la sua vita. «E poiché io – nota frate Arnaldo in proposito – le chiedevo e le dicevo: "Cosa hai visto?, essa rispose.

Dicendo: "Ho visto una cosa piena, una maestà immensa, che non so dire, ma mi sembrava che era ogni bene. E mi disse molte parole di dolcezza quando partì e con immensa soavità e partì piano, con lentezza». Frate Arnaldo durante i quattro anni successivi, dal 1292 al 1296, assolse il suo compito di seguire la mistica per raccogliere il contenuto delle estasi. Nello stesso 1296 il "Memoriale" di Arnaldo veniva approvato dal cardinale Giacomo Colonna e da una commissione di otto teologi francescani. Nel 1298 Angela incontrò Ubertino da Casale, il quale confessò in una sua opera di aver superato una crisi religiosa proprio grazie a questo incontro. Era del resto un’epoca di dispute teologiche e scontri religiosi. Angela morì il 4 gennaio 1309 ed i suoi resti sono venerati nella chiesa di San Francesco, a Foligno. 

F. Mastrofini

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Il Dio povero
Angela da Foligno è diventata santa nel nome di Francesco, come è vissuta. Un’apparizione di san Francesco stabilisce il suo radicale mutamento spirituale, che la porta verso un’esistenza di perfetta povertà: venduti i suoi beni, distribuisce il ricavato ai poveri ed entra nel terz’ordine francescano. Poco dopo, nella basilica di Assisi ha una crisi mistica che frate Arnaldo, suo trascrittore, documenterà poi in un libro di memorie e rivelazioni. Ora è il nuovo Papa che si è chiamato Francesco a decidere la sua canonizzazione.

Difficile non pensare alla povertà sociale che, sull’esempio del santo di Assisi, in lei corrispondeva alla povertà di Dio fattosi uomo: una povertà che non è diminuzione ma presenza in tutta la sua divinità e potenza. Come dice Angela, san Francesco è colui che sta ai piedi della croce e ne assume ogni dimensione.

Con il coraggio dell’estrema chiarezza, Angela definisce il suo linguaggio una bestemmia: non tanto per l’arditezza delle espressioni che usa, quanto per ciò che dice di Dio. Descrivendo i modi in cui l’anima umana s’incontra con Dio, osserva che nelle prime esperienze l’anima lo "sente" ma non riesce a vederlo, pur essendo piena di una gioia che non arriva ancora a comunicare agli altri. E quando lo fa, finisce sempre per incagliarsi in una obiezione, che lei stessa si rivolge, assieme al suo "frate-scrittore": questo che dici, di te e di Dio, non si trova nella Bibbia.

La forza, la novità della sua parola pagano questo prezzo alla sua coscienza. Il suo itinerario, non tanto verso Dio, quanto dentro Dio, passa per alcuni momenti fondamentali: il momento dell’amore, che è anche quello della croce, di "Gesù passionato", della totale spoliazione di sé, della più completa nudità; il momento del nulla, della tenebra più tenebra, dove però alla fine Dio ricompare; e poi il momento della resurrezione, nella quale Angela ha l’esperienza più alta, che va anche oltre Francesco, ossia quella della trinità.

Lì, in quel momento, Angela sperimenta la realtà cosmica, l’unione umano-divina di tutto il creato. Lei stessa è Dio in Dio, come Dio è uomo in lei. Il momento della resurrezione è cosmico perché coinvolge, con l’essere umano, tutta la creazione, e dà il segno della pienezza a ogni vita. Dice, per mano di frate Arnaldo: «E allora sento la sua presenza e capisco come è presente in ogni creatura e in ogni cosa che possieda in sé l’essere: nel demonio e negli angeli buoni, nel paradiso e nell’inferno, nell’adulterio e nell’omicidio e in ogni buona azione, e in ogni cosa che esista o comunque possieda l’essere, tanto se bella quanto se brutta… E allora l’anima, avvertendo la sua presenza, molto si umilia, prova confusione per i suoi peccati, riceve grande dignità di sapienza e larga consolazione divina e gioia».

Oltre la tenebra che nasconde e rivela Dio, non ci sono più la contraddizione bene-male, l’alternativa paradiso-inferno, ma l’esperienza, enorme e, alla fine, alla portata di ciascuno, di un Dio ritrovato nella povertà, nella piena umanità. Le donne, forse, sono le vere eredi di Francesco e in Angela da Foligno trovano un vertice. 

Laura Bosio
Avvenire

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ANGELA DA FOLIGNO, LA GRANDE MISTICA
 Predica di P. RANIERO CANTALAMESSA, OFMCAP.
Foligno, 15 Marzo 1997
1. “Perché tutti a te?”
Io non sono quello che si chiama uno specialista o uno studioso di Angela da Foligno. Come mai allora proprio io sono stato invitato dal Comitato di coordinamento “La città di Foligno”, in occasione dell’uscita del libro “Angela da Foligno, la grande mistica”, con cui la città di Foligno vuole rilanciare la conoscenza della sua illustre cittadina? Forse è perché sono anch’io uno dei tanti “folgorati” da Angela.
La mia storia con Angela cominciò nel 1978. A quel tempo ero docente all’Università Cattolica di Milano. Partendo, insieme con il Prof. G. Lazzati, per un congresso in Brasile, all’ultimo momento misi nella valigia il libro della Beata. A un certo punto, mi accorsi che ero talmente preso da quella che anche il congresso passava in secondo ordine. Alcune parole si incisero a fuoco. Ricordo per esempio quello che Angela rispose a Frate Arnaldo che la sollecitava a spiegarsi meglio su una certa sua esperienza di Dio. “Se un giorno vedessi tu quello che ho visto io, ti dico io cosa faresti. Salendo sul pulpito a predicare, ti fermeresti, guarderesti la gente e diresti loro: ‘Fratelli, andatevene con la benedizione di Dio, ché di Dio oggi niente posso dirvi! E scenderesti dal pulpito”. Più d’una volta, in seguito, trovandomi io stesso a dover predicare, provai un gran desiderio di ripetere alla gente quelle parole e andarmene.
Molte ho volte, citando nella mia predicazione qualche pensiero di Angela, ho ripetuto alle persone l’incredibile promessa che un giorno ella si sentì rivolgere da Dio: “Io benedirò perfino chi ti sentirà nominare”. E tutti abbiamo costatato la verità di quella promessa.
Nel 1983 fui incaricato di preparare i testi per la via crucis del Papa in mondo-visione dal Colosseo, il Venerdì Santo. Pensai subito a lei e così quell’anno ella poté parlare ancora al mondo della Passione di Cristo e far risuonare di nuovo le celebri parole che si sentì rivolgere lei stessa un giorno della settimana santa: “Non ti ho amato per scherzo”.
Non più tardi di ieri mattina, il nome di Angela e uno dei suoi insegnamenti chiave (“ O nulla sconosciuto, o nulla sconosciuto…!”) sono risuonati durante una delle meditazioni che da anni sono chiamato a tenere alla Casa Pontificia, davanti al Papa e alla curia romana.
Come si spiega tutto questo? E il fatto stesso che dopo sette secoli dalla morte, la città di Foligno (che non ha mai rinnegato, a quanto so, la sua anima “ghibellina”) si occupa di questa sua figlia vissuta nel lontano medioevo? Verrebbe quasi da porre ad Angela la stessa domanda che un giorno frate Masseo pose a bruciapelo a Francesco: “Perché tutti a te? perché a te tutto il mondo corre dietro?” .
Ci sono spiegazioni contingenti: Angela è una donna, una laica, testimone di un primo prepotente venire alla ribalta del mondo femminile, e sappiamo quanto questi temi siano oggi di attualità. Ma la risposta fondamentale è un’altra: la santità!
Pascal dice che esistono tre ordini di grandezza al mondo, o tre categorie di valori: l’ordine dei corpi, e delle cose materiali, l’ordine dell’intelligenza e del genio e l’ordine della santità. Appartengono al primo ordine, la forza, la salute, le ricchezze materiali; appartengono al secondo ordine il genio, la scienza, l’arte; appartengono al terzo livello la bontà, la santità, la grazia.
Tra ognuno di questi ordini e quello superiore c’è un salto di qualità pressoché infinito, dice Pascal. Al genio non aggiunge e non toglie nulla il fatto di essere ricco o povero, bello o brutto; la sua grandezza si colloca su un piano diverso e superiore, e infatti i più grandi geni hanno dovuto spesso lottare con la miseria più nera, o erano addirittura deformi…Allo stesso modo, al santo non aggiunge e non toglie nulla il fatto di essere forte o debole, ricco o povero, un genio o un illetterato: la sua grandezza si colloca su un piano diverso e infinitamente superiore .
Su che cosa si basa questa graduatoria di merito? E’ semplice. I beni materiali – ricchezze, forza e prestanza fisica- sono transitori; inoltre discriminano, non possono essere possedute contemporaneamente da più persone; quello che ognuno ha è sottratto agli altri. Di qui le lotte, le invidie che queste cose generano. I beni dell’intelligenza -scoperte scientifiche, opere d’arte- possono essere goduti da più persone contemporaneamente, non discriminano ma uniscono. Tuttavia, anche di questi beni si può fare cattivo uso. Sappiamo l’uso tremendo che è stato fatto di certe scoperte scientifiche, come la bomba atomica. Anche la grandezza propria del genio e dell’intelligenza è dunque ambigua, anche se superiore a quella delle ricchezze e della forza.
I beni del terzo ordine, la bontà e la santità, non solo fanno sempre del bene a tutti e mai del male; non solo ciò che uno possiede non è sottratto a un altro, ma essi ridondano a beneficio di tutti. Più io me ne arricchisco, più il mondo se ne arricchisce. Ogni atto di carità e di altruismo si traduce in ricchezza per tutto il mondo. Inoltre questi beni sono gli unici che ci seguono oltre la morte. Nella vita eterna non inciderà minimamente se uno di qua è stato bello o brutto, forte o debole, se è stato un genio o un analfabeta; inciderà invece se è stato buono o cattivo, onesto o disonesto.
Questo principio trova un riscontro preciso nella storia e in parte anche nella geografia di questa regione, l’Umbria. Che cosa ha fatto di Assisi Francesco di Bernardone, con la sua santità! Ma anche Foligno è una riprova. C’erano ricchi mercanti nella Foligno della fine del Duecento; c’erano molte giovani donne belle e ricche. Angela stessa era tra queste, ma non è per questo che è ricordata. C’erano intellettuali, spiriti critici indipendenti, hanno certo contribuito a creare un patrimonio culturale, ma non è su essi che si fanno convegni e mostre. Angela mostra che la santità non è una “sovrastruttura”, è la realtà più reale, più duratura, la grandezza di “terzo livello”. Essa ha riflessi anche sugli altri ordini. Francesco ha reso Assisi più ricca e prospera di beni e più bella artisticamente! Così Angela, con il suo nascondimento, ha reso celebre Foligno nel mondo intero.
Facciamo dunque uno sforzo per contemplare Angela nel suo proprio “ordine” di grandezza, cercando di andare al cuore del fenomeno “Angela da Foligno”, senza arrestarci alla periferia. La sua è una grandezza mistica; cerchiamo dunque di dire qualcosa di questa realtà. Tanto più che secondo la dottrina attuale della Chiesa tale esperienza non è qualcosa di esotico, di elitario, riservata a pochi privilegiati. E’ la vocazione di ogni battezzato
Noi dobbiamo convincerci che Dio non ha suscitato anime come quella di Angela solamente per farci venire invidia, quasi facendoci intravedere quella pienezza di essere che, in fondo al cuore, ognuno brama sopra ogni altra cosa, per poi dirci che tutto ciò non è fatto per noi. Dio ama così tutti noi, non una o due persone in ogni epoca. A una o due persone in ogni epoca, da lui scelte e purificate a tale scopo, affida il compito di ricordare tutto ciò agli altri. Ma cosa sono le differenze di grado, di tempo, di modi, tra noi e i santi, in confronto alla realtà principale che abbiamo in comune con essi e cioè che tutti siamo oggetto di un incredibile disegno d’amore di Dio? Quello che ci unisce ad essi è molto più forte di ciò che ci divide da essi.
2. I mistici
I mistici, secondo una celebre definizione, sono coloro che hanno “patito Dio” . Oh, come suona indolore questa definizione letta nei libri, e come è invece terribile nella realtà! Qualcuno che l’ha sperimentato si è lasciato sfuggire dalle labbra questo lamento: “Tutti i tuoi flutti e le tue onde sopra di me sono passati” e “i tuoi spaventi mi hanno annientato…Mi sono compagne solo le tenebre” (Salmi 42 e 88).
Questi uomini e queste donne hanno “arrischiato la vita” per accostarsi a Dio (cf. Ger 30,21); hanno lottato con lui e, come Giacobbe, ne sono usciti “feriti” per sempre (cf Gen 32, 23 s.). Quando si leggono i loro scritti, o si ha la sorte di conoscere qualcuno di essi da vivo, mentre è ancora in pieno svolgimento la terribile “traversata”, come appaiono lontane e perfino ingenue le più sottili argomentazioni degli atei. Nasce, nei loro confronti, un senso di stupore e anche di pena, come davanti a qualcuno che parla di cose che manifestamente non conosce. Come chi credesse di scoprire continui errori di grammatica in un interlocutore, e non si accorgesse che questi sta semplicemente parlando un’altra lingua che lui non conosce.
I mistici sono, per eccellenza, coloro che hanno scoperto che Dio “esiste”; anzi, che egli solo esiste davvero e che è infinitamente più reale di ciò che di solito chiamiamo realtà. Essi sono per il popolo cristiano come gli esploratori che entrarono per primi, di nascosto, nella terra promessa e poi tornarono indietro per riferire ciò che avevano veduto (“una terra dove scorre latte e miele”), esortando tutto il popolo ad attraversare il Giordano (cf Num 14,6-9). Per mezzo di essi giungono a noi, in questa vita, i primi bagliori della vita eterna. Lo scrittore inglese Leonard Huxley, citato da P. Domenico Alfonsi, nel volume che stiamo presentando, diceva giustamente: “I mistici sono i canali per i quali un po’ della conoscenza della realtà filtra entro il nostro universo umano di ignoranza e di illusione. Un mondo totalmente antimistico sarebbe un mondo cieco e insano. E noi ora ci troviamo ben avanti, pericolosamente avanti nell’oscurità”.
Purtroppo una certa moda letteraria è riuscita a neutralizzare spesso anche questa “prova” vivente dell’esistenza di Dio che sono i santi, e in particolare i mistici. Lo ha fatto con un metodo singolarissimo: non riducendo il loro numero, ma aumentandolo, non restringendo il fenomeno, ma dilatandolo a dismisura. Mi riferisco a coloro che in una rassegna dei mistici, in antologie dei loro scritti, o in una storia della mistica, mettono uno accanto all’altro, come appartenenti allo stesso genere di fenomeni, san Giovanni della Croce e Nostradamus, santi ed eccentrici, mistica cristiana e cabala medievale, ermetismo, teosofismo, forme di panteismo e perfino l’alchimia .
Non mi soffermo neppure sulla posizione dei riformatori protestanti che -forse proprio per la confusione ora segnalata- rigettarono l’idea stessa di una mistica cristiana e la considerarono un fenomeno pagano di esaltazione dell’umano. L’esperienza dei mistici è, al contrario, la dimostrazione più forte dell’annientamento dell’umano, dei meriti, delle virtù proprie e delle pretese di salvezza. È l’esperienza che più fa risplendere l’assoluta sovranità dell’azione di Dio e della grazia. I veri mistici sono coloro che si sono “convertiti”, una volta per sempre, alla pura fede.
3. Momenti dell’esperienza di Angela
In questa luce rievochiamo qualche momento della esperienza della nostra amica Angela che, della mistica cristiana, rappresenta, a detta ormai di tutti, uno dei vertici assoluti. “Angela sta alla mistica -ha scritto P. Innocenzo Colosio- come Dante alla poesia”. Scelgo i momenti che sono rimasti più impressi in me dalla sua lettura; dunque non necessariamente i più importanti in sé.
Già avanti nelle vie della santità, Angela fece un giorno un’amara scoperta: Dio non era ancora veramente il suo tutto. Il suo “volere Dio” era ancora “velleitario”, dal momento che il desiderio di lui non abbracciava tutto il suo mondo e non raggiungeva una intensità assoluta. Allora avvenne una cosa singolare. Sentì farsi dentro di sé una nuova unità, come se tutto il suo essere si raccogliesse in un punto: il corpo si accordava con l’anima, l’intelligenza con la volontà, ed ella si accorse di avere ormai un solo volere. In quel momento fu chiesto all’anima: “Che vuoi?” e l’anima rispose gridando con tutta la sua forza: “Voglio Dio!”. Dio le rispose: ”Io porterò a compimento questo tuo desiderio”. E sappiamo fino a che punto ha mantenuto questa promessa.
Uno dei tratti caratteristici del Dio vivente della Bibbia riguarda i suoi “giudizi”. La Bibbia parla spessissimo dei giudizi di Dio che proclama giusti, santi, imperscrutabili, terribili e, nello stesso tempo, “più dolci del miele e di un favo stillante” (Sal 19, 10 s.). “O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!” (Rm 11,22). “Per i suoi giudizi – si dice in un salmo – esultano le città di Giuda”(Sal 97,8), e ancora: ” Il suo giudizio è come il grande abisso” (Sal 36,7). Nell’idea di Dio elaborata dai filosofi, questo fatto non trova alcun riscontro; non si sospetta nemmeno che esistano tali giudizi, che tutta la terra -come dice un salmo- sia piena dei suoi giudizi (cf Sal 105,7). I giudizi di Dio non sono come in noi semplici valutazioni delle cose, sono pensieri efficaci ,“decisivi”, nel senso che decidono del mondo e degli eventi.
Sembra che al tempo di Angela le litanie dei santi, accanto alle altre invocazioni, contenessero anche quella che diceva: “Per i tuoi santi giudizi, liberaci o Signore”. Scrive infatti: “Non c’è niente in cui tanto completamente io conosca Dio quanto nei suoi continui giudizi. Per questo, quando, di sera o di mattino, nella preghiera dico a Dio: “Signore, per il tuo avvento liberami, per la tua nascita, per la tua passione, liberami”, in niente mi diletto tanto quanto nel dire con confidenza: “Per i tuoi santi giudizi, liberami”, perché non riconosco più la sua bontà in un uomo buono e santo e in molti uomini buoni e santi, che in un dannato e in una moltitudine di dannati…Anche se venissero meno tutte le cose proprie della fede, solamente qui, cioè nei suoi giudizi e nella giustizia che si esprime in essi, avrei la certezza riguardo a Dio. Oh, quanta profondità c’è in questo!”.
Il confessore che raccoglieva e metteva per iscritto tali confidenze, a questo punto annota: “Qui comprendevo che ella diceva le cose più mirabili del mondo”. Ma cosa aveva detto, la santa, di preciso? Nulla; quella semplice evocazione dei giudizi di Dio era bastata a veicolare il sentimento del Dio vivente e santo e a trasmetterlo all’ascoltatore. Questi era stato colto dal senso del “numinoso” e del soprannaturale, come capita spesso, anche oggi, a chi legge le parole di questa mistica. Angela fa venire spesso i brividi al lettore; brividi dolci, di infinito. Un’esperienza analoga a quella cantata da Leopardi nell’Infinito: “..e il naufragar m’è dolce in questo mare”.
Dopo aver visto per anni Dio “in mezzo a grandi tenebre”, alla fine Angela fu trasportata dalla grazia alla visione di Dio “sopra le tenebre”. Qui possiamo solo ascoltare con riverenza le sue stesse parole. “Mi trovai impercettibilmente tutta in Dio, più del solito, e mi sembrò d’essere più del consueto in mezzo alla Trinità…Vidi che nessun angelo e nessuna creatura è così intelligente e capace da poter intendere quelle divine operazioni e quel profondissimo abisso…A quel punto l’anima fu liberata da ogni tenebra e conobbe maggiormente Dio…Io vedo Colui che è l’essere e capisco che è l’essere di tutte le cose create”. Qui la mistica si incontra con la filosofia. Anche la filosofia infatti ha per oggetto la conoscenza dell’essere. Solo che nell’esperienza mistica, l’essere che i filosofi, e in particolare gli ontologi, intravvedono oscuramente e come a tentoni, nella mistica viene contemplato, per così dire, “ a faccia a faccia”.
Finalmente un giorno, Angela sperimenta ciò che avviene oltre la fede, nella visione, quando tutti i veli che si frappongono tra Dio e la creatura vengono rimossi. “Allora -scrive- l’anima mia si presentò a Dio con grandissima sicurezza, senza alcun timore, con piacere maggiore di quello provato in passato, con differente ed eccellentissima gioia e gustando un miracolo nuovo, mai sperimentato in modo così diverso e splendente come in quell’incontro. Incontrai Dio e insieme compresi e ottenni l’inenarrabile manifestazione di Dio all’anima e la presentazione della mia anima a lui e mi furono rivolte parole profondissime che non voglio siano riportate”. Si pensa spontaneamente a Paolo che, tornando dal suo rapimento al terzo cielo, dice di aver udito “parole che non è lecito ad alcuno pronunziare” (2 Cor 12, 4).
Avvicinandosi il giorno della sua morte, Angela fu udita esclamare, da coloro che le erano intorno, queste parole che dicono, del Dio vivente, più che tanti discorsi: “Oh, ogni creatura viene meno! Oh, tutta l’intelligenza degli angeli non basta!”. E, alla domanda dei presenti: “In che cosa viene meno ogni creatura e a che cosa l’intelligenza degli angeli non basta?”, rispose: “A comprendere!” .
Si scrivono oggi libri interminabili, pieni ci citazioni di filosofi, per rispondere alla domanda: “Esiste Dio?” e spesso si giunge alla fine senza che il punto interrogativo si sia ancora cambiato in esclamativo. Poi, un giorno, si apre a caso un piccolo libro come questo, scritto da una donna, non certo dotta, del medioevo, già madre di famiglia, poi vedova e terziaria francescana laica, e si scopre di colpo non solo che Dio esiste, ma che è davvero “fuoco divorante”, “dolcezza senza fine”.
4. Il sospetto sui mistici
Ma non possiamo continuare a parlare di queste cose come se fossero realtà pacifiche o condivise da tutti. Su tutto questo fenomeno della mistica, come sulla santità e la religione in genere, è calato da un secolo o due a questa parte un sospetto e l’uomo colto moderno ormai non può sentire parlare di queste cose senza che scatti automaticamente in lui questo sospetto e questa riserva.
L’operazione che sto cercando di descrivere è legata in particolare a tre grandi nomi della cultura degli ultimi due secoli: Feuerbach, Marx, Freud. Si sa che per Feuerbach l’essere divino è l’essenza dell’uomo, purificata e liberata dai limiti degli uomini singoli, contemplata e venerata come fosse un’essenza distinta da lui. “L’uomo oggettiva nella religione la sua propria essenza segreta, rispecchiandosi in un ente che è il suo profondo essere” .
In altre parole, non è Dio che ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza, come dice la Bibbia, ma è l’uomo che ha creato Dio come un’immagine distaccata e fantastica di se stesso. “La fede in Dio non è altro che la fede nella dignità umana”. I mistici non sarebbero, in questo caso, che l’apice di questa proiezione illusoria di se stessi.
È stato Carlo Marx a dare a questa brillante operazione il successo che ha avuto, facendone la base teorica del suo ateismo scientifico. Ma con uno spostamento di accento. Per Feuerbach, Dio è primariamente la proiezione dell’essenza dell’uomo, di ciò che l’uomo è, delle sue perfezioni, e solo secondariamente della sua povertà e del suo vuoto. Dunque è un’illusione, ma, a suo modo, piena, perché ricca di un contenuto positivo. Anche per Marx, Dio è la proiezione, ma più che dell’essenza positiva dell’uomo, lo è dei suoi bisogni inappagati; non di ciò che ha, quanto di ciò di cui manca, soprattutto dei suoi bisogni economici. “La religione -scrive- è il gemito della creatura oppressa, l’animo di un mondo senza cuore…Essa è l’oppio per il popolo…La religione non è che un sole illusorio, che si muove attorno all’uomo finché questi non giunge a muoversi intorno a se stesso” . Dio è dunque proiezione illusoria non di una pienezza di umanità, ma di una mancanza, di un vuoto. Doppiamente quindi negativa. Dio non è che “la direzione verso cui l’uomo lancia il suo grido”.
La stessa teoria assume, con Freud, una colorazione nuova, non più filosofica o socioeconomica, ma psicologica, senza cambiare tuttavia nella sostanza. La religione, Dio, è una “illusione”; è la proiezione del bisogno inconscio di protezione paterna e materna che la persona umana conserva, una volta uscita d’infanzia. “La radice della necessità della religione – ha scritto – è nel complesso parentale. Un Dio giusto e onnipotente è la sublimazione grandiosa del padre e della madre” . Ancora dunque qualcosa di doppiamente negativo: proiezione non di una realtà, ma di un bisogno e di un vuoto.
Quando si cerca di stringere e andare al nocciolo delle argomentazioni dei tre autori menzionati, si costata che tutto ciò che resta in piedi di esse non è una prova contro l’esistenza di Dio, ma, appunto, solo un sospetto. Infatti, anche se il Dio in cui crediamo fosse una proiezione dell’uomo, una “essenza desiderata”, questo non vorrebbe dire ancora niente circa la sua esistenza o non-esistenza nella realtà.
Prima che su Dio, del resto, il sospetto è portato, in questo modo, sull’uomo. È l’uomo che è dichiarato sospetto nei suoi desideri più profondi. Freud dice: “Sarebbe davvero molto bello che ci fossero un Dio come creatore dell’universo e benigna Provvidenza, un ordine morale universale e una vita ultraterrena; tuttavia è almeno molto strano che tutto ciò sia davvero così come non possiamo fare a meno di desiderare che sia” . Affermazione rivelatrice di un profondo disprezzo dell’uomo. Una cosa diventa sospetta per il fatto stesso che l’uomo la concepisce e la desidera! Sarebbe come un gettare il sospetto sull’amore e sul matrimonio, perché esso corrisponde a un desiderio universale e a un bisogno profondo del cuore umano, o come negare che esista la verità e la felicità, semplicemente perché l’uomo la desidera
Questa critica globale ha un suo fondamento; solo che non colpisce il vero Dio, il Dio vivente della Bibbia, ma la sua controfigura, il suo surrogato che è l’idea umana di Dio, il Dio dei filosofi, che è spesso una versione moderna dell’idolo, del vitello d’oro. ciò oggi è riconosciuto anche da pensatori che provengono dalla stessa matrice marxista. “L’uomo -scrive Erik Fromm- trasferisce le sue passioni e qualità nell’idolo. Più egli si svuota, più l’idolo si ingrandisce e si fortifica. L’idolo è la forma alienata dell’esperienza che l’uomo fa di se stesso. Adorandolo, l’uomo si adora…Egli dipende dall’idolo perché solo sottoponendovisi trova l’ombra, anche se non la sostanza, di se stesso. L’idolo è una cosa e non ha vita. Dio al contrario è un Dio vivente” .
Questi “maestri del sospetto” -come sono stati chiamati Feuerbach, Marx e Freud- nella loro critica non hanno avuto a che fare con la realtà di Dio, ma con la sua idea; non hanno studiato i santi e i mistici in concreto, biograficamente, ma in astratto, hanno avuto a che fare con i tipi, o stereotipi, dell’uomo religioso e del santo. Si comportano perciò nei confronti della religione e della fede, esattamente nel modo con cui rimproverano alla religione di essersi comportata, nei secoli passati, nei confronti della scienza. Le rimproverano infatti (e giustamente) che, nel valutare i risultati della scienza, la religione non si basava su osservazioni dirette, su verifiche ed esperienze, ma piuttosto su idee preconcette, di carattere astratto e deduttivo, o sull’autorità indiscussa di qualche grande del passato, come Aristotele.
Nei confronti della mistica, il sospetto ha preso una forma assai sottile e insidiosa. La descrizione dei loro stati mistici -si dice- richiama così da vicino quella degli stati amorosi; ciò che essi dicono dell’amore divino somiglia così da vicino a ciò che avviene nell’amore umano! Il loro matrimonio mistico con Dio non sarà, appunto, una “mistificazione” del matrimonio naturale, una sua sublimazione, o un suo surrogato? Questo sospetto è stato gettato in modo particolare su Angela le cui immagini e descrizioni (Angela che bacia il collo di Cristo, che lo accarezza ed è accarezzata) sono state da qualcuno assunte come la riprova lampante della teoria freudiana che tutto si riduce a libido, che la santità e la mistica, come del resto l’arte e tutte le manifestazioni più alte dello spirito umano, non sono che sublimazioni dell’istinto sessuale.
Potremmo rispondere: perché non prendere in considerazione anche l’ipotesi contraria, che sia, cioè, il matrimonio naturale a essere l’imitazione, e quello mistico la realtà? Non è più giusto vedere nell’unione sessuale un simbolo, una parabola, e come un conato verso quell’altro “completamento” che i mistici hanno pregustato, tanto più che essa reca così evidenti in se stessa i segni dell’incompiutezza, della precarietà e dell’aspirazione a qualcosa di più e di diverso? Noi infatti non siamo stati creati per vivere in un eterno rapporto di coppia, ma per vivere in un eterno rapporto con Dio, con l’Assoluto. Non è stato un mistico né un “uomo di chiesa”, ma Goethe a pronunciare le parole: “Tutto ciò che passa è solo una parabola” . E lo ha detto proprio dell’amore terreno di Margherita per Faust in confronto all’amore che ha per lui ora che è in cielo.
Chi avanza quel sospetto sui mistici e su Angela in particolare non sa nulla di quello che è avvenuto in queste anime nel corso della “notte oscura dei sensi e dello spirito” quando ogni residuo eros carnale è stato seccato e bruciato, “calcificato” -dice il Mauriac, con una immagine citata in questo libretto commemorativo- come ogni vegetazione dal sole nel deserto. La spiegazione ultima della nostra difficoltà (non solo degli atei) di comprendere i mistici è quella data da S. Paolo: “L’uomo naturale non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui” (1 Cor 2,14).
La caratteristica del sospetto sta nel fatto che sfugge a ogni confronto e a ogni possibilità di confutazione. Si può confutare una ragione o un fatto, ma non un sospetto. Il sospetto dunque non si può eliminare con delle ragioni. Ma forse non è neppure bene che sia eliminato, perché è proprio esso che fa del credere quella cosa seria che è. È proprio la possibilità del dubbio, fuori e dentro di noi, che purifica la fede e rende umile il credente.
5. Che fare dei mistici?
Ma vorrei accennare prima di concludere anche un pericolo interno per i mistici, che non viene cioè dall’esterno dai non credenti, ma dagli stessi cultori della mistica. Devo rallegrarmi con la città di Foligno e con i promotori della figura di Angela perché ho visto in questi anni lo sforzo di affiancare agli studi critici su Angela (edizione critica, congressi, studi storici, ricostruzione di ambiente, di fonti), anche iniziative di carattere più spirituale: la riapertura del Cenacolo spirituale creato da Angela intorno a sé e alla chiesa di S. Francesco, i pellegrinaggi ad Assisi in memoria di quello memorabile durante il quale iniziarono le manifestazioni mistiche in Angela, gruppo di preghiera, diffusione degli scritti della santa, in edizioni popolari e accessibili, in cui si è distinto ultimamente D. Sergio Andreoli, da cui io stesso ho tratto le mie citazioni di Angela.
Dico questo perché il pericolo che intendo segnalare si situa proprio in questo campo. Il pericolo è di dare tanta importanza a tutto l’aspetto critico e storico da dimenticare che il centro, il nucleo dell’interesse, nel caso dei mistici, come dei poeti, è da un’altra parte. Non voglio essere frainteso. Gli studi critici sono una benedizione per tutti; io ho spesso un pensiero di gratitudine per chi si è accollato tutto il lavoro che mi permette di avere sotto mano un testo che posso leggere con sicurezza. Ma sono cose preparatorie al vero scopo che è di confrontarsi con quello che i mistici e nel nostro caso Angela hanno vissuto. Sono sussidi per qualcos’altro. Se il lavorio critico dovesse servire a far passare in secondo piano questo piano operativo, o a rinviarlo all’indefinito, allora sarebbero un ben povero espediente per sfuggire alla serietà della sfida. Sarebbe come ricevere un ospite illustre che sappiamo ha una proposta impegnativa da farci e parlare, parlare, parlare, per non dargli tempo di porci la domanda cruciale.
E’ ciò che succede con la stessa Scrittura. Kierkegaard è stato profeta quando ha denunciato a che cosa avrebbe portato, in campo biblico, l’eccesso di ermeneutica. L’interpretazione del testo, non il testo, è diventata la cosa seria. Come quando un re emette un editto e i dotti del regno si scatenano. Nascono commenti, glosse, commenti dei commenti, bibliografia dei commenti. una selva inestricabile. E in tutto questo l’ultima cosa a cui la gente pensa è conoscere cosa ha ordinato il re e cominciare a metterlo in pratica. Il re capirebbe subito che lo si sta prendendo “per i fondelli” .
Ci sono stati uomini e donne che non avevano a disposizione che una poverissima edizione del Nuovo Testamento, neppure tradotta direttamente dai testi originali, senza grandi commenti, in povera carta… Ma ne hanno fatto materia di vita, ne hanno succhiato lo “spirito e la vita”, l’hanno messo in pratica. Questi ne sanno, del Vangelo, infinitamente più che il più ferrato professore di filologia neotestamentaria che va forse in giro con la sua Mercedes.
Lo stesso succede, fatte le debite proporzioni, con i santi e i mistici. Lavoriamo pure dunque a migliorare il testo critico di Angela, ma nel frattempo non trascuriamo di cominciare ad ascoltare quello che Angela ha da dirci. E ha da dirci tanto, anche a livello pratico, di vita cristiana ordinaria. Perché una delle cose che stupiscono in Angela è proprio la sua capacità di trasportare il lettore alle altezze più vertiginose della mistica, nella luce abbagliante della visione dell’Essere, e nello stesso tempo di istruirlo nelle cose più concrete della vita cristiana con una penetrazione senza pari, come quando parla dei pericoli dell’amore, o della preghiera “violenta” e corporale.
Un altro punto, la vicenda del libro di Angela ha in comune con quello che succede ai libri della Scrittura. I filologi hanno voglio a ogni costo trovare per tutto una fonte. Qui si esercita infatti soprattutto il loro acume; tolta la ricerca delle fonti rimarrebbe ben poco da fare per un ricercatore. (Parlo per esperienza, perché questo è il mestiere che io fatto per molti anni e ho insegnato a fare agli studenti, come docente di Storia delle origini cristiane). Sicché si arriva all’assurdo di ritenere sospetto ogni parola, titolo o gesto di Cristo, per il quale non si può documentare una fonte nel giudaismo o nell’ellenismo contemporaneo. Come se Gesù non potesse inventare nulla di assolutamente nuovo.
Nel caso dei mistici e di Angela in particolare questo porta al tentativo di individuare una fonte per ognuna delle sue intuizioni più ardite. Se Angela vuole andare in giro a confessare in pubblico le sue colpe, questo deve dipendere dalla storia di Margherita da Cortona di cui qualcuno deve averle parlato. Se parla di tenebra e di notte oscura, attraverso qualche canale, a noi ancora sconosciuto, deve aver conosciuto lo Pseudo Dionigi. Si ignora che i geni possono a volte anche creare qualcosa di nuovo; che i mistici hanno una fonte endogena, non solo fonti esterne. E che ci sono leggi e costanti nel cammino della mistica che ognuno sperimenta di nuovo, per conto suo. Non tutto si spiega con influssi “letterari”, come tendono a credere i filologi. Mi pare che questa tendenza, se portata all’esasperazione, potrebbe seriamente sviare la comprensione di Angela. Conosco anime illetterate che non sanno neppure chi è lo Pseudo Dionigi e non hanno mai letto S. Giovanni della Croce, ma parlano di notte, tenebra, esattamente come loro.
Chi sono oggi, da questo punto di vista esistenziale, i veri “specialisti” su Angela da Foligno? Io ne conosco qualcuno, ma non posso dire i nomi, e del resto nessuno li conoscerebbe. Sono persone che hanno imboccato seriamente (o meglio sono state messe da Dio su) la stessa strada di Angela. Nel buio tremendo e negli abissi di solitudine che si attraversano su questa strada, ho letto loro a volte una pagina di Angela e le ho viste sgranare gli occhi, quasi incredule. “Sì, è questo, è così! Come lo sai? Allora non è pazzia, la mia, non sono malata di mente”. E lacrime di commozione.
Se lo spazio intorno a quella tomba di Angela e il marmo della balaustra potessero parlare, di quello che hanno sentito e visto, delle lacrime che hanno raccolto, in ore quiete, quando questa chiesa era deserta, o mentre nessuno guardava…! Lì è il centro della grandezza di Angela, la sua missione più vera e imperitura: essere una stella polare. Una scalatrice che, dalla cima cui è giunta, si china amorevolmente a indicare ad altri il sentiero, o, come li chiama lei, con una immagine appunto alpinistica “i passaggi”. Per queste persone, Angela non è solo una celebre mistica, ma è diventata “sorella e madre”. Come diceva Gesù di coloro che ascoltano e mettono in pratica la sua parola.
Vogliamo che Angela sia anche per tutti noi questo, e cioè “sorella e madre”? Un modo ci sarebbe. C’è una parola di Angela che raramente ometto di ricordare ogni volta che tengo corsi di esercizi e di cui ogni volta costato l’effetto “folgorante”. L’ho già ricordata: è il suo grido: “Voglio Dio!”. Se esso potesse risuonare questa sera, almeno come anelito, nel cuore di qualcuno, perché no? anche di molti, dei presenti, mi riterrei felice di essere venuto a Foligno.
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