mercoledì 11 settembre 2013

“Non rinunciamo alle nostre utopie”

Disciplina e passione. Le sfide di oggi per chi deve educare

di papa Francesco
in “La Stampa” dell'11 settembre 2013
Escono oggi tre libri di Papa Francesco sull’educazione, che costituiscono lo sviluppo di un’unica
riflessione sul tema. Questi i titoli dei volumi (tutti pubblicati da Bompiani): “Nel cuore dell’uomo.
Utopia e impegno”; “Scegliere la vita. Proposte per tempi difficili” e “Disciplina e passione. Le
sfide di oggi per chi deve educare”. Pubblichiamo uno stralcio della nota che chiude il terzo
volume.
Di fronte alla cultura della frammentazione, come alcuni hanno voluto definirla, o della “non
integrazione”, ci viene chiesto, a maggior ragione nei momenti difficili, di non favorire coloro che
intendono capitalizzare il risentimento, l’oblio della nostra storia condivisa, o coloro che godono
nell’indebolire i legami, manipolare la memoria e vendere utopie a buon mercato.
Per una cultura dell’incontro, dobbiamo uscire dai rifugi culturali e rivolgerci alla trascendenza che
dà fondamento, costruire un universalismo integrante che rispetti le differenze; abbiamo anche
bisogno di coltivare un dialogo fertile per un progetto condiviso, di esercitare l’autorità al servizio
dello sviluppo di un progetto comune (il bene comune), di aprire spazi d’incontro e riscoprire la
forza creativa dell’elemento religioso all’interno della vita dell’umanità e della sua storia, una
riscoperta che abbia come referente l’uomo. (...)
Dobbiamo addentrarci in questa cultura della globalizzazione attraverso la prospettiva
dell’universalità. Invece di essere atomi che acquisiscono significato solo nel tutto, dobbiamo
integrarci in una nuova organicità vitale di ordine superiore che ci includa, senza però annullarci.
Amalgamarci in armonia a qualcosa che ci trascende, senza rinunciare a noi stessi. E non lo si può
fare con il consenso, che livella verso il basso, ma attraverso il dialogo, il confronto di idee e
l’esercizio dell’autorità. (...) Occorre instaurare, in ogni ambito, un dialogo serio, adeguato e non
meramente formale o sotto forma di diversivo. Un interscambio che distrugga i pregiudizi e divenga
fecondo in funzione della ricerca comune, della condivisione, e che comporti un tentativo
d’interazione delle volontà a favore di un lavoro comune o di un progetto condiviso. Non dobbiamo
rassegnarci a rinunciare alle nostre idee, utopie, proprietà o diritti, ma dobbiamo soltanto rinunciare
alla pretesa che siano unici e assoluti. (...)
È sempre necessaria una guida, ma questo vuol dire partecipare alla formalità che dà coesione al
corpo, in modo che la sua funzione non sia fare i propri interessi, ma mettersi totalmente al servizio.
Affinché la forza che tutti noi abbiamo dentro, che è legame e vita, possa manifestarsi, è necessario
che tutti, e in particolar modo chi tra noi riveste un importante ruolo politico, economico o un
qualsiasi altro tipo d’influenza, rinuncino a quegli interessi, o all’abuso degli stessi, che prescindono
dal bene comune che ci unisce; è importante assolvere, con serietà e coraggio, alla missione
impostaci dai tempi. Quando l’autorità non è servizio, allora devia verso il proprio tornaconto; si dà
fondo alle più svariate risorse demagogiche, si svuotano di idee e progetti gli spazi di confronto, si
comprano sostenitori e si sfocia in una politica di compromesso, senza un progetto volto al bene
comune. (...)
Dietro alla superficialità e al congiunturalismo immediati (fiori che non danno frutti) esiste un
popolo con una memoria collettiva che non rinuncia a camminare con la nobiltà che lo
contraddistingue: gli sforzi e le iniziative comunitarie, la crescita delle iniziative comunali, il boom
dei tanti movimenti di mutuo aiutostanno a sottolineare la presenza di un segno di Dio, in un turbinio di partecipazione, senza particolarismi, che poche altre volte si è visto nel paese. La nostra
gente, che sa organizzarsi in modo spontaneo e naturale, protagonista di questo nuovo legame
sociale, esige di poter discutere, gestire e partecipare creativamente in tutti gli ambiti della vita
sociale che la riguardano. Noi che siamo alla guida dobbiamo sostenere questa vitalità del nuovo
legame. Potenziarlo e proteggerlo può divenire la nostra principale missione.

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«I giovani? Hanno sete di maturità»
Di seguito, per gentile concessione dell’editore Bompiani, alcune pagine di Jorge Mario Bergoglio (foto sotto), oggi papa Francesco, tratte dal volume «Scegliere la vita. Proposte per tempi difficili» in libreria da oggi (pagine 180, euro 10), dove l’allora cardinale argentino parlava a un gruppo di docenti a proposito della loro responsabilità educativa in un mondo dove sempre più consumismo, pubblicità, tecnologia e biologia rischiano di ridurre lo sviluppo della persona a un fatto materiale, mentre è proprio l’esperienza e la crescita interiore che può dare ai più giovani quel termine di confronto che li può guidare nell’esercizio della loro libertà con “buon senso” e prudenza (verso se stessi e verso gli altri). 

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Vorrei in particolare richiamare l’attenzione di tutti coloro che oggi hanno il compito di guidare i bambini e gli adolescenti nel loro processo di maturazione. Credo sia indispensabile cercare di accostarsi alla realtà che i ragazzi vivono nella nostra società e interrogarsi sul ruolo che noi rivestiamo in essa. Le pressioni del mercato, con le sue proposte di consumo e la sua spietata competitività, la mancanza di risorse economiche, sociali, psicologiche e morali, la sempre maggiore gravità dei rischi da evitare… tutto ciò fa sì che per le famiglie divenga sempre più difficile svolgere la propria funzione e che la scuola resti sempre più sola nel compito di contenere, sostenere e promuovere lo sviluppo umano dei suoi alunni. Questa solitudine finisce, inevitabilmente, per essere vissuta come superesigenza.

So che voi, cari docenti, vi state facendo carico non solo di ciò per cui vi siete preparati, ma anche di una molteplicità di domande, esplicite o implicite, che vi affliggono. A questo si aggiungono i mezzi di comunicazione (che non si capisce bene se aiutino o confondano ancora di più le cose) che trattano temi delicatissimi con la stessa leggerezza con cui espongono le vicende personali dei personaggi dello spettacolo. E tutto questo mentre assumiamo sempre di più le sembianze di una società del controllo in cui nessuno si fida di nessuno, mentre all’inedita attenzione giustamente prestata alle molte forme di negligenza e di abuso vengono addossate tanto la cattiva abitudine di sventolare denunce senza controllare sufficientemente le fonti quanto la mancanza di scrupolo di personaggi che nelle istituzioni vedono soltanto un’occasione di guadagno a qualsiasi costo. E quindi? Cosa dovete fare voi che già siete stanchi e pieni di responsabilità? Ciò che non si può mettere in discussione è che voi vi confrontate quotidianamente con ragazzi e ragazze in carne e ossa, con possibilità, desideri, paure e carenze reali. Ragazzi che stanno lì, presenti, in tutta la loro realtà e si pongono davanti a un adulto chiedendo, sperando, criticando, pregando a modo loro, infinitamente soli, bisognosi, spaventati, con piena fiducia in voi, sebbene a volte la dimostrino con aria indifferente, disprezzo o rabbia; attenti a cogliere se qualcuno offre loro qualcosa di diverso… o gli sbatte di nuovo la porta in faccia. Una responsabilità immensa che ci richiede, non soltanto una scelta etica, non solo un impegno consapevole e faticoso, ma anche, e in modo basilare, un’adatta maturità personale.
La maturità è qualcosa di più della crescita. Non è semplice definire in cosa consista la maturità. Soprattutto perché più che un concetto, la maturità sembra essere una metafora. Presa in prestito dalla frutticoltura? Non lo so. Se così fosse, sarebbe subito necessario indicare che esiste una differenza tra le mele, le pesche e gli esseri umani. Mentre il pieno sviluppo (perché di questo si tratta) dei frutti è un processo che dipende direttamente da specifici processi genetici del vegetale e da adeguate condizioni ambientali, nel caso della maturità umana non si tratta soltanto di genetica e di alimentazione. Se la maturità fosse soltanto lo sviluppo di qualcosa di preesistente all’interno del codice genetico, allora non ci sarebbe davvero un granché da fare. Il dizionario della Real Academia offre un secondo significato per maturità: «capacità di giudizio o prudenza, buon senso». E qui ci addentriamo in un territorio ben diverso da quello della biologia. Perché l’essere prudenti, l’avere giudizio e buon senso non dipendono da fattori di crescita meramente quantitativa, ma da tutta una catena di fattori che si concentrano in una persona. Per essere più esatti, al centro della sua libertà.

Quindi, la maturità, da questo punto di vista, potrebbe essere intesa come la capacità di usare la nostra libertà in modo "sensato", "attento". Non mi compete, in quanto pastore, "dare lezioni" di psicologia, ma è mio compito invece proporvi una serie di considerazioni relative all’orientamento del nostro libero agire. Se parliamo di buon senso e attenzione, la parola, il dialogo, e persino l’insegnamento avranno molto a che vedere con la maturità. Perché, per riuscire ad agire in quel modo sensato, una persona deve aver accumulato molte esperienze, fatto numerose scelte, messo in pratica molte risposte alle sfide della vita. È ovvio che non può esserci buon senso senza tempo. Ma riprendiamo il concetto della persona matura come di qualcuno che usa in un determinato modo la sua libertà. Qual è, ci domandiamo subito, quel modo? Perché a questo punto sorge un altro problema: esiste una sorta di tribunale della maturità? Chi decide quando qualcosa è sensato e prudente? Gli altri (di chiunque si tratti)? Oppure ognuno in base alla propria esperienza e al proprio punto di vista?

Se, in prima istanza, dobbiamo mettere in relazione la maturità e il tempo, in seguito dovremo inserirci all’interno del conflitto tra l’individuo e gli altri. La libertà nel tempo, la libertà nella società. Questo è dunque il percorso che vi propongo. Un percorso che, come avremo modo di vedere, ci permetterà di comprendere la maturità umana in una prospettiva aperta. Perché alla fine ci troveremo di fronte a un’ultima dimensione della maturità: l’invito divino a trascendere l’orizzonte dell’intersoggettivo e sociale per aprirci all’elemento religioso, ovvero, si passerà dalla maturità etica alla santità.