mercoledì 25 settembre 2013

Bergoglio's list





Come Jorge Mario Bergoglio si adoperò per salvare i perseguitati dalla dittatura in Argentina. Tra breviario e posti di blocco. Quelle giornate trascorse escogitando maniere per evitare i controlli e raggirare i generali

Documenti e testimonianze. Sarà nelle librerie dal 3 ottobre La lista di Bergoglio. I salvati di Papa Francesco (Bologna, Emi, 2013, pagine 192, euro 11,90, con prefazione di Adolfo Pérez Esquivel), l’inchiesta di Nello Scavo sull’azione di Jorge Mario Bergoglio — all’epoca provinciale dei gesuiti d’Argentina — a favore delle vittime della dittatura dei generali in Argentina. Un’ampia rassegna di documenti inediti e testimonianze che racconta come padre Bergoglio riuscì a costruire una rete clandestina per salvaguardare i perseguitati e favorire le loro fughe. Anticipiamo un estratto del primo capitolo.
Come Jorge Mario Bergoglio si adoperò per salvare i perseguitati dalla dittatura in Argentina
Tra breviario e posti di blocco

(Nello Scavo) Per trent’anni l’allora provinciale dei gesuiti, poi vescovo ausiliare, infine arcivescovo di Buenos Aires e primate d’Argentina, aveva scelto il silenzio. Anche questo dice del modo di intendere la libertà che Papa Francesco custodisce per sé e desidera per gli altri. A costo di rimetterci di persona.A quei silenzi, tuttavia, sono grato. Perché quella che segue è la ricostruzione di una ricerca laboriosa, dei salvati da Bergoglio. La “lista” rimane largamente incompleta. La maggior parte di questi mancati desaparecidos s’è costruita un’esistenza la più normale possibile. Il male è stato lasciato fuori dalla porta. Ogni tanto bussa. Come in una terapia di disintossicazione collettiva, per decenni hanno provato a riempire il vuoto di quella follia con la vita, guadagnata giorno per giorno. Chi ringraziando la buona sorte per il sole che ancora sorge davanti ai propri occhi, chi maledicendo il senso di colpa per non essere finito con gli altri in fondo all’Atlantico.
A lungo lo hanno accusato di essersi voltato dall’altra parte, codardo e complice. Ma per lui testimoniano le voci della “lista”, quelle che da queste pagine parlano attraverso gli incontri personali, le interviste, i documenti investigativi e le dichiarazioni rese alle commissioni d’inchiesta. Alcuni tra i «salvati da Bergoglio» hanno chiesto di non menzionare dove e in che modo sono avvenuti i nostri incontri. Altri hanno preferito rimandarci a ritagli di stampa e memorie scritte che abbiamo integrato con i riscontri annotati tra gli atti giudiziari. Per ragioni di privacy che il lettore potrà comprendere, vista la delicatezza dell’argomento, di alcune ricostruzioni non riportiamo le modalità, i luoghi e le date in cui ne siamo venuti a conoscenza.
Qualcuno le chiama «gesta». Altri, più evangelicamente, «opere buone». E sì che ci sarebbe ragione per raccontare di un Bergoglio sconosciuto, del coraggio di quelle notti incurante dei rastrellamenti. Di giornate trascorse tra breviario e posti di blocco, escogitando maniere per evitare i controlli, depistare la polizia, raggirare i generali. Per condurre sani e salvi di là del confine i ragazzi destinati agli scannatoi clandestini.
Un interrogativo resterà però senza una risposta esauriente. Quanti erano? Padre Miguel La Civita, uno della “lista”, afferma di aver visto Bergoglio «aiutare molte persone a lasciare il Paese». Non solo preti o seminaristi. «Al Colegio Máximo si presentavano diversi personaggi, soli o in piccoli gruppi, che stavano qualche giorno e poi scomparivano. Diceva: “Vengono per un ritiro spirituale”. E gli esercizi duravano una settimana. Capii che si trattava di laici dissidenti che padre Jorge aiutava a scappare. Come? In qualsiasi modo e rischiando sempre tantissimo».
Ciascuno dei beneficiari della protezione di Bergoglio dice di aver personalmente assistito al salvataggio di almeno una ventina di altre persone. Le testimonianze talvolta riguardano lo stesso periodo di tempo, altre volte invece non sono sovrapponibili proprio perché relative ad anni lontani tra loro. A voler azzardare una stima prudenziale, si direbbe che padre Jorge abbia messo al sicuro più di un centinaio di persone. Decine, come vedremo, sono poi i salvati “preventivamente”, cioè messi in guardia dal futuro Papa prima che potessero finire sequestrati.
E a questi si aggiungono quanti furono risparmiati “a loro insaputa” dal regime, perché, grazie alle manovre di padre Jorge, «scongiurando nuovi arresti si evitò — come ci raccontano in questo libro alcuni dei protagonisti — che nel corso degli interrogatori condotti sotto tortura potessero emergere altri nomi, che altrimenti oggi sarebbero annoverati nello sterminato elenco dei desaparecidos». Spero vivamente che non risulti offensivo per l’interessato, ma la “lista” di Bergoglio sembra davvero più lunga di quanto lui stesso possa ricordare.
L'Osservatore Romano

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Arriva in libreria «La lista di Bergoglio», il libro di Nello Scavo con la storie inedite degli uomini e le donne che il futuro Papa aiutò in segreto negli anni della dittatura

GIANNI VALENTE

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A Buenos Aires, tanti suoi amici non riuscivano a darsene ragione. «Ma perché non risponde, perché non dice a tutti la verità, così la smettono con queste menzogne», ripeteva anche padre Josè Maria “Pepe” Di Paola, il prete che coordina i sacerdoti delle Villas miseria, le baraccopoli della gran Buenos Aires. Pepe si riferiva alle calunnie che da anni venivano rovesciate contro Bergoglio da un giornalista di sinistra, per la gioia dei settori dell’ultra-destra argentina: quelle di aver collaborato con la dittatura militare e in particolare di aver favorito l’arresto di due confratelli gesuiti – Francisco Jalics e Orlando Yorio - accusati di sovversivismo «comunista».

Il 13 marzo, non appena Bergoglio è diventato Papa Francesco, quelle accuse hanno ripreso subito a circolare con veemenza sui blog e sui siti di giornali in cerca di materiale pruriginoso sul nuovo successore di Pietro. Quella sera stessa anche il giornalista di Avvenire Nello Scavo ha cominciato a seguire la pista del “Papa connivente coi dittatori” che dilagava online. Non aveva da difendere teoremi preordinati, e tanto meno intenzioni agiografiche. Da cronista di giudiziaria, sapeva bene che trovare una prova delle accuse contro il nuovo Papa sarebbe stato uno scoop stellare. E che la ricostruzione onesta dei fatti non ammette censure o pregiudizi.


È iniziata in quella notte speciale la sua lunga indagine ora raccolta nel libro La lista di Bergoglio, pubblicato dalla editrice Emi, da domani nelle librerie. Un libro-inchiesta dal ritmo serrato, che contiene in appendice anche il verbale dell’interrogatorio  a cui l’allora cardinale Bergoglio è stato sottoposto nel quadro del processo sui crimini commessi nella Escuela Superior de mecànica de la Armada (Esma) durante la dittatura.


In quei primi giorni di pontificato, i sospetti e le menzogne su Bergoglio ribattuti alla cieca dal copia-e-incolla universale si erano poi afflosciati presto come sacchi vuoti. Dei due gesuiti presentati come le “vittime” di Bergoglio, quello ancora in vita aveva smentito tutto. Lo stesso giornalista accusatore aveva ammesso che le parole di Jalics avevano definitamene “scagionato” Bergoglio da ogni responsabilità. Ma nel frattempo la ricerca di Nello Scavo era già partita. Il reporter, seguendo la falsa pista suggerita dai dossieraggi manipolati, alla fine non ha trovato lo scoop, ma molto di più. Ha trovato decine di testimonianze convergenti che raccontano delle operazioni e dei sistemi escogitati da Bergoglio – a quel tempo giovanissimo provinciale dei gesuiti argentini – per proteggere e salvare decine di potenziali desaparecidos, uomini e donne finiti nel mirino della repressione del regime. Almeno cento, secondo Scavo.

Gran parte delle vicende ricostruite nel libro hanno come quartier generale il Collegio Maximo a San Miguel – nell’area metropolitana di Buenos Aires, dove Bergoglio risiedeva – e la vicina Universitad del Salvador, anch’essa collegata ai gesuiti. È lì che Jorge Mario, non ancora quarantenne, ospitava i dissidenti braccati dai militari e dai loro sgherri, soli o in piccoli gruppi, spacciandoli come studenti impegnati in corsi di esercizi spirituali. Per molti di loro, considerati in pericolo di vita, la strategia di soccorso messa in campo da Bergoglio finiva con l’espatrio. Nella ricostruzione di queste vicende, emerge chiaramente che le iniziative individuali di Bergoglio erano inserite da una rete di supporto intessuta in tutto il Continente dai gesuiti, con tanto di documenti di espatrio forniti a chi doveva fuggire.


Nelle 192 pagine del volume scorrono i nomi, i volti e le storie di tanti protetti e salvati dalle iniziative arrischiate del futuro Papa. Si respira il clima disperante di quell’Argentina. Si colgono, disseminati in quelle vicende, dettagli e sfumature eloquenti di come Bergoglio consolava e rassicurava tanti anche in quel tempo così cupo. C’è il militante uruguayano Gonzalo Mosca, che Bergoglio aiuta a fuggire in Brasile, non prima di avergli regalato romanzi di Borges e «una radio per tenermi informato».

Ci sono tre seminaristi affidatigli da Enrique Angelelli, il vescovo di La Roja che di lì a poco sarà ammazzato dai militari simulando un incidente stradale. Ci sono Ana e Sergio Gobelin, due cristiani coinvolti nel lavoro pastorale e di mobilitazione sociale nella Villas Miseria di Bajo Flores, una delle baraccopoli di Buenos Aires. Bergoglio va a trovarli nelle Villas, celebra il loro matrimonio, ma poi Sergio viene arrestato da una squadra di cacciatori di dissidenti. Bergoglio riesce a farlo liberare con la collaborazione del console italiano Enrico Calamai, e aiuta i due sposi a fuggire in Friuli, convincendoli che da morti «lui e la moglie non avrebbero potuto continuare la loro missione».

C’è il gesuita Juan Manuel Scannone, esponente della  «Teologia del popolo», nel mirino degli apparati per la solita accusa di fiancheggiamento della sovversione comunista, che dichiara: «lui mi coprì le spalle, mi salvò. E lo fece in svariate circostanze». Bergoglio, in quel frangente, evitava pose da tribuno. Si muoveva con studiato low profile, scegliendo di apparire non emotivamente sotto pressione per l’ansia che avvolgeva il Paese. Consigliava continuamente piccoli accorgimenti per evitare di cadere nelle mani dei sicari del regime, perché «non è tempo di fare gli eroi»: Quando si compiono tragitti in macchina, e lui guida, evitare di guardare dal finestrino. Non dire al telefono cose compromettenti, e non scriverle per lettera. Parlare in codice. Dettagli anche psicologici non secondari, in ottemperanza al criterio – sempre tenuto in conto da Bergoglio – del primum vivere. Lo stesso che gli toglie ogni esitazione a incontrare anche il generale Videla e l’ammiraglio Massera, uomini forti della dittatura, pur di favorire la liberazione di Yorio e Jalics.


Nelle pieghe del libro, affiora anche la sorgente del riserbo da sempre mantenuto da Bergoglio su questi fatti. Una consegna del silenzio richiesta anche ai beneficiati della Bergoglio’s List. Una scelta che comunica pudore e riservatezza, ma ancor di più rivela una aspetto intimo del profilo spirituale dell’attuale vescovo di Roma. Allora come oggi, sono i fatti a parlare per lui: non si risponde alle offese e alle accuse dei malintenzionati, e il bene fatto agli altri non va ostentato, ma piuttosto dimenticato. «Quando invece tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta» (Mt 6, 3-4).
Vatican Insider

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l gesuita che umiliò i generali

La storia finora mai raccontata della rete clandestina con cui il giovane Bergoglio salvò decine di "sovversivi" dalla ferocia dei dittatori argentini

di Sandro Magister
ROMA, 27 settembre 2013 – Nella sua intervista a "La Civiltà Cattolica" che ha fatto il giro del mondo, papa Francesco descrive la Chiesa come "un ospedale da campo dopo una battaglia", dove la primissima cosa da fare è "curare i feriti".

Ma che cosa cambia quando la battaglia è in pieno corso?

Nella sua Argentina, tra il 1976 e il 1983, Jorge Mario Bergoglio ha traversato gli anni di piombo della dittatura militare. Sequestri, torture, massacri, 30 mila scomparsi, 500 madri uccise dopo aver partorito in prigione i figli a loro sottratti.

Ciò che fece in quegli anni l'allora giovane provinciale dei gesuiti argentini è rimasto per lungo tempo un mistero. Così fitto da far trapelare il sospetto che avesse assistito inerte all'orrore, o peggio, avesse esposto a maggior pericolo alcuni suoi confratelli, i più impegnati tra i resistenti.

La scorsa primavera, subito dopo la sua elezione a papa, queste accuse furono rilanciate.

Furono anche immediatamente contraddette da voci autorevoli, pur molto critiche del ruolo complessivo della Chiesa argentina in quegli anni: le madri di Plaza de Mayo, il Nobel per la pace Adolfo Pérez Esquivel, Amnesty International. La stessa magistratura argentina aveva esonerato Bergoglio da ogni accusa, dopo averlo sottoposto a interrogatorio in un processo tra il 2010 e il 2011.

Ma se a questo punto era assodato che l'attuale papa non avesse fatto niente di condannabile, ancora restava ignoto che cosa avesse fatto eventualmente di buono in quegli anni terribili, per "curare i feriti".

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Ignoto fino a ieri. Perché a sollevare per la prima volta il velo su questa faccia nascosta del passato di papa Francesco giunge ora un libro edito dall'EMI, piccolo di mole ma esplosivo nei contenuti. Sarà nelle librerie italiane dal 3 ottobre, e poi man mano in altri otto paesi del mondo dove già sono in corso le traduzioni. "La lista di Bergoglio", si intitola. E il pensiero va subito alla "Schindler's list" immortalata dal film di Steven Spielberg. Perché la sostanza è la stessa, come dice il seguito del titolo del libro: "I salvati da Francesco durante la dittatura. La storia mai raccontata".

C'è nella parte finale del libro la trascrizione integrale dell'interrogatorio cui l'allora arcivescovo di Buenos Aires fu sottoposto l'8 novembre del 2010.

Di fronte ai tre giudici, Bergoglio è incalzato per tre ore e cinquanta minuti dalle domande insidiose soprattutto dell'avvocato Luis Zamora, difensore delle vittime. Un passaggio chiave dell'interrogatorio è quando a Bergoglio chiedono di giustificare i suoi incontri con i generali Jorge Videla ed Emilio Massera, nel 1977.

Due sacerdoti a lui molto vicini, i padri Franz Yalics e Orlando Yorio, erano stati sequestrati e rinchiusi in un luogo segreto. Il primo era stato per due anni suo direttore spirituale e il secondo suo professore di teologia, poi si erano impegnati a fondo con i poveri delle "villas miserias" di Buenos Aires è questo li aveva resi bersaglio della repressione. Quando furono catturati, l'allora provinciale dei gesuiti si attivò per sapere dove fossero detenuti. Lo seppe, erano nella famigerata Escuela Superior de Medicina degli ufficiali della marina, dalla quale pochi uscivano vivi.

Per chiedere la loro liberazione, Bergoglio volle incontrare anzitutto il generale Videla, all'epoca il  numero uno della giunta. E ci riuscì due volte, la seconda convincendo a darsi per malato il sacerdote che diceva messa nella casa del generale e sostituendosi a lui. Dal colloquio col generale, ebbe la conferma definitiva che i due gesuiti erano nelle prigioni della marina.

Non restava quindi che puntare all'ammiraglio Massera, personaggio irascibile e vendicativo. Gli incontri furono anche qui due. Il secondo fu brevissimo. "Io gli dissi: Guardi, Massera, io li voglio indietro vivi. Mi alzai e me ne andai", ha riferito Bergoglio nell'interrogatorio del 2010.

La notte successiva i padri Yalics e Yorio furono narcotizzati, caricati su un elicottero e scaricati nel mezzo di una palude.

Ma ai due sacerdoti, in sei mesi di prigionia e di torture, era stato fatto credere che erano vittime di una delazione del loro padre provinciale. E in una scheda dei servizi segreti qualcuno scrisse: "Nonostante la buona volontà di padre Bergoglio, la Compagnia di Gesù argentina non ha fatto pulizia al suo interno", insinuando una sua complicità con la repressione.

"Una canagliata", tagliò corto a proposito di questa insinuazione il procuratore del processo del 1985 che condannò all'ergastolo sia Videla che Massera.

Quanto ai padri Yalics e Yorio, riconobbero poi entrambi la falsità delle accuse contro il loro superiore, con il quale si rappacificarono pubblicamente.

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Ai generali l'allora provinciale dei gesuiti era riuscito a dare di sé l'idea che se ne stesse rintanato nel suo Colegio Máximo di San Miguel, in attesa della bonaccia. Ma quello che il libro rivela per la prima volta è enormemente di più.

Nello Scavo, l'autore dell'inchiesta, cronista giudiziario di "Avvenire", ha scoperto, rintracciando numerosi scampati e accostando come in puzzle le loro testimonianze, che Bergoglio tesseva silenziosamente una rete clandestina che arrivò a salvare molte decine se non centinaia di persone in pericolo di vita.

Mentre il generale Videla ordiva i suoi piani sanguinosi dai saloni della Casa Rosada, a pochi passi, lungo il vicolo che si addentra nel quartiere di Monserrat, c'era la chiesa di Sant’Ignazio di Loyola, con annessa una residenza dei gesuiti e una scuola. E lì il provinciale dei gesuiti dava appuntamento ai ricercati, per le ultime istruzioni prima di imbarcarli clandestinamente sui battelli che trasportavano frutta e mercanzie da Buenos Aires a Montevideo, in Uruguay, a un’ora di navigazione. Mai i militari avrebbero potuto immaginare che quel sacerdote li avrebbe sfidati così da vicino.

La riuscita di ogni operazione era legata alla segretezza che intercorreva anche tra chi la compiva o ne beneficiava. Le persone che entravano nella rete di protezione organizzata da Bergoglio non sapevano di altri che erano nelle loro stesse condizioni.

Nel collegio di San Miguel arrivavano e partivano, per motivi apparentemente di studio o di ritiro spirituale o di discernimento della vocazione, uomini e donne che in realtà erano ricercati come "sovversivi". Per metterli al sicuro la meta era spesso il Brasile, dove a sua volta c'era una rete analoga di protezione organizzata dai gesuiti del posto.

Ma era Bergoglio il solo che teneva le fila di tutto. L'anziano gesuita Juan Manuel Scannone, che è oggi il teologo più importante dell'Argentina e più stimato dall'attuale papa, era anche lui all'epoca a San Miguel. Ma non si avvide di nulla. Solo dopo molti anni lui e altri cominciarono a confidarsi e a capire: "Se uno di noi avesse saputo e fosse stato sequestrato e sottoposto a tortura, l'intera rete di protezione sarebbe saltata. Padre Bergoglio era consapevole di questo rischio e per questo tenne tutto segreto. Un segreto che ha mantenuto anche in seguito, perché non ha mai voluto farsi vanto di quella sua eccezionale missione".

La "lista" di Bergoglio è un insieme di storie personali diversissime, di appassionante lettura, il cui tratto comune è d'essere state salvate da lui.

C'è Alicia Oliveira, la prima donna a diventare giudice penale in Argentina e anche la prima ad essere licenziata dopo il golpe militare, non cattolica e neppure battezzata, entrata in clandestinità, che Bergoglio portava in macchina, nel bagagliaio, dentro il collegio di San Miguel, per farle incontrare i suoi tre bambini.

Ci sono i tre seminaristi del vescovo di La Rioja Enrique Angelelli, ucciso nel 1976 dai militari con un incidente stradale simulato, dopo che aveva scoperto i veri responsabili di numerosi assassini.

C'è Alfredo Somoza, il letterato salvato a sua insaputa.

Ci sono Sergio e Ana Gobulin, impegnati nelle baraccopoli, sposati da padre Bergoglio, lui arrestato e lei ricercata, entrambi salvati e fatti espatriare con l'aiuto dell'allora viceconsole italiano in Argentina, Enrico Calamai, un altro degli eroi della storia.

Come papa, ma prima come uomo, Francesco non cessa di stupire.

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Il libro, in vendita dal 3 ottobre:

Nello Scavo, "La lista di Bergoglio. I salvati da Francesco durante la dittatura", Prefazione di Adolfo Pérez Esquivel, Editrice Missionaria Italiana, Bologna, 2013, pp. 192, euro 11,90.