sabato 24 agosto 2013

XXI Domenica del Tempo Ordinario

   

XXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Anno C

MESSALE
Antifona d'Ingresso  Sal 85,1-3
Tendi l'orecchio, Signore, rispondimi:
mio Dio, salva il tuo servo che confida in te:
abbi pietà di me, Signore;
tutto il giorno a te io levo il mio grido

Colletta
O Dio, che unisci in un solo volere le menti dei fedeli, concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi e desiderare ciò che prometti, perché fra le vicende del mondo là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia. Per il nostro Signore...

 Oppure:
O Padre, che chiami tutti gli uomini per la porta stretta della croce al banchetto pasquale della vita nuova, concedi a noi la forza del tuo Spirito, perché unendoci al sacrificio del tuo Figlio, gustiamo il frutto della vera libertà e la gioia del tuo regno. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo...


LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura  Is 66, 18-21
Ricondurranno tutti i vostri fratelli da tutte le genti.

Dal libro del profeta Isaia
Così dice il Signore:
«Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria.
Io porrò in essi un segno e manderò i loro superstiti alle popolazioni di Tarsis, Put, Lud, Mesec, Ros, Tubal e Iavan, alle isole lontane che non hanno udito parlare di me e non hanno visto la mia gloria; essi annunceranno la mia gloria alle genti.
Ricondurranno tutti i vostri fratelli da tutte le genti come offerta al Signore, su cavalli, su carri, su portantine, su muli, su dromedari, al mio santo monte di Gerusalemme – dice il Signore –, come i figli d’Israele portano l’offerta in vasi puri nel tempio del Signore.
Anche tra loro mi prenderò sacerdoti levìti, dice il Signore».


Salmo Responsoriale
  
Dal Salmo 116
Tutti i popoli vedranno la gloria del Signore.
Genti tutte, lodate il Signore,
popoli tutti, cantate la sua lode.

Perché forte è il suo amore per noi
e la fedeltà del Signore dura per sempre.
 
Seconda Lettura  Eb 12, 5-7.11-13
Il Signore corregge colui che egli ama. 

Dalla lettera degli Ebrei
Fratelli, avete già dimenticato l’esortazione a voi rivolta come a figli:
«Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore
e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui;
perché il Signore corregge colui che egli ama
e percuote chiunque riconosce come figlio».
È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre? Certo, sul momento, ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati.
Perciò, rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche e camminate diritti con i vostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire.
 
Canto al Vangelo  Gv 14,6
Alleluia, alleluia.

Io sono la via, la verità e la vita, dice il Signore;
nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.

Alleluia.

  

Vangelo  Lc 13, 22-30
Verranno da oriente a occidente e siederanno a mensa nel regno di Dio.

Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme.
Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?».
Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.
Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”.
Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori.
Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».
  

*

COMMENTO
Una «porta stretta» ci separa dalla felicità: “la porta della fede che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa è sempre aperta per noi. E’ possibile oltrepassare quella soglia quando la Parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma” (Benedetto XVI). La “porta stretta” è quella della Chiesa. Ad essa hanno bussato generazioni di pagani che volevano vivere come i cristiani.
In questi avevano visto le primizie di una vita diversa. Sapevano che, dietro quella “porta”, vi era un Regno che non aveva eguali sulla terra. La luce che risplendeva in questo Popolonuovo offriva a tutti una nuova speranza di “salvezza”, diversa dalle religioni, dalle filosofie, dalla politica e dai divertimenti: “quando irruppe il cristianesimo, la sua superiore capacità di affrontare i problemi cronici dell’Impero Romano diventò presto evidente e giocò un grande ruolo nel suo definitivo trionfo”(Rodney Stark).
Crollavano certezze e, nella decadenza politico-morale dell’Impero Romano, la giovane Chiesa emergeva come una roccia indistruttibile. La testimonianza che spesso diveniva martirio spalancava il Cielo in una terra che odorava di morte. Se i cristiani potevano offrire gratuitamente la vita per un nemico, allora significava che la vita eterna da loro predicata era l’unica speranza attendibile. E poi lo si vedeva nei loro volti, in quegli sguardi capaci di cantare sereni davanti agli aguzzini e ai leoni che ne ghermivano la vita.
Per questo, nel “tale” che “chiede” a Gesù se “sono pochi quelli che si salvano”, possiamo riconoscere tutti gli uomini di ogni generazione che hanno cercato nei cristiani la risposta al senso della propria vita. E la Chiesa, con Gesù, non cessa di rispondere annunciando una “porta stretta”: gli apostoli predicano da sempre Cristo crocifisso, perché è la Croce la porta attraverso la quale il Signore è entrato nel Cielo, conquistando per tutti la “salvezza”. Al Signore e ai suoi discepoli non interessa la contabilità dei salvati. Egli ha dato la vita per tutti, e con il Padre, vuole che tutti siano salvati. Ma mai violentando la libertà.
Non vi è allora altro cammino che quello, angusto, della Croce, dove la libertà dell’uomo incontra quella di Dio. Su di essa il Padre offre la “salvezza” mentre l’uomo può liberamente accoglierla: “attraversare quella porta comporta immettersi in un cammino che dura tutta la vita. Esso inizia con il Battesimo e si conclude con il passaggio attraverso la morte alla vita eterna, frutto della risurrezione del Signore Gesù” (Benedetto XVI).
Nelle parole di Gesù vi è rappresentato proprio questo cammino: esso è sintetizzato dal suoinizio - quando si bussa per la prima volta alla porta stretta della Chiesa - e dalla sua fine – quando si bussa alla porta altrettanto stretta del Cielo. Il cammino tra queste due porte è riassunto nella “conoscenza”, che significa relazione intima d’amore. Attraverso il catecumenato la Chiesa gestiva nei catecumeni l’uomo rinnovato ad immagine di Cristo. Un cristiano, infatti, “viene da” Cristo, e con Lui “lotta per entrare” nella vita attraverso la porta stretta della Croce. Al termine di ogni giorno come alla sera della vita, sulla soglia del Regno sarà “conosciuto” da Colui del quale ha conservato l’immagine, pur in mezzo a mille battaglie e cadute.
Anticamente, all’interno della porta grande di una città ve ne era una di serviziopiù piccola, che veniva chiusa per ultima. Era proprio la Croce, la porta che attendeva Gesù a «Gerusalemme», e ogni suo discepolo nella propria «città». Solo attraverso di essa possiamo entrare ogni giorno nel “Regno di Dio”, che si realizza nella “città” dove siamo chiamati a vivere: al banco di scuola o dietro la scrivania dell’ufficio, a pranzo e a cena con moglie e figli e, di notte, distesi sul talamo nuziale. Ovunque si schiude per noi il pertugio a forma di Croce attraverso il quale giungere al prossimo e “servirlo”.
Viviamo in un tempo di Grazia donatoci per convertirci, sino al giorno in cui la porta sarà «chiusa». Forse lambiamo la serietà della vita, non accettiamo che vi sia un giudizio e che vi siano momenti irripetibili per amare che si aprono e si chiudono: su di essi saremo giudicati. Dio, infatti, apre ogni giorno delle porte strette, con la forma della moglie o del marito; magari non ci piacciono e non le accettiamo, ma se le sfuggiamo perderemo l’intimità con Cristo, “allontanati” da Lui e dalla “salvezza”, la felicità che non si corrompe.
Forse, chiedendoci “quanti” si salvino, cerchiamo spiegazione allo scandalo dell’amore di Dio che fa sorgere il sole su buoni e cattivi e non estirpa il male; mentre questa domanda dovrebbe incendiare il cuore di zelo per la salvezza di tutti: la Chiesa non può restare indifferente anche a uno solo che si perda. Forse ci indigniamo anche noi, ed è un modo per eludere la questione fondamentale: non importa “quanti si salvino”, ma se io sarò tra di loro.
La storia ci dice che non siamo salvi affatto. Quante volte abbiamo «cercato» di «entrare» nella comunione e nella pace con i fratelli ma «non ci siamo riusciti»; la sapienza della carne ci ha abituato a passare per la porta larga della soddisfazione del proprio “io”; così, di fronte all’urgenza di donarci per salvare il matrimonio o per non perdere nostro figlio, non sappiamo da dove cominciare. Il peccato ci ha fatto sperimentare la morte e, come i progenitori «scacciati fuori» dalla casa del «Padrone», «non abbiamo forza» di «lottare» per amare.
Allora ci affrettiamo a «bussare», pregando e chiedendo consigli, ma è solo il tentativo di giustificarci con le nostre «opere». Certo Gesù ha «insegnato» nelle nostre chiese, è stato «presente» quando «abbiamo mangiato e bevuto» nelle liturgie; ma non saremo giudicati in base al numero di messe a cui abbiamo partecipato: dinanzi alla «porta stretta» della Croce, infatti, scopriamo di aver sepolto “iniquamente” nella superbia l’immagine di Gesù, nonostante i riti e gli impegni in parrocchia. Il Padre non può riconoscere chi non ama come il suo Figlio, anche se ha il suo nome sempre tra le labbra…
Ma è ancora giorno, e Gesù “passa” accanto a noi “insegnando” come convertirci, perché il «pianto e lo stridore di denti» che sperimentiamo oggi a causa dell’orgoglio, non ci accompagnino domani e per l’eternità. La salvezza è dischiusa dinanzi a noi oltre la «porta stretta» del sepolcro del Signore. La forza dirompente della sua risurrezione ha rotolato via la pietra che ci impauriva e ci attira verso di Lui.
Lasciamo che il Signore tagli via quanto in noi è troppo grande e ci impedisce di passare per la "porta stretta"; che, attraverso persone ed eventi, ci faccia scendere dai «primi» posti della superbia, all’«ultimo» dell’umiltà che ci salva. Il suo amore può “allontanare” da noi l’uomo vecchio “operatore di iniquità”, per farci entrare nel Regno di Dio e sederci a «mensa» in compagnia dei Patriarchi e dei “profeti”, sperimentando come loro la stessa fedeltà di Dio. Con noi giungeranno moltitudini “da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno”, da ogni estremo confine della terra dove l’annuncio del Vangelo li ha “salvati” come ha “salvato” noi.

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Altro Commento (Congregazione per il Clero)
Come sempre, nel Vangelo di Luca siamo invitati a seguire Gesù verso Gerusalemme. È passato tanto tempo, ma le domande rimangono le stesse: chi si salva? quanti si salveranno? Come sempre, noi siamo interessati al futuro, badiamo al risultato finale e al numero, ma Gesù sposta l’attenzione sul come. Non dobbiamo preoccuparci del futuro se abbiamo fede in Dio, che è ordine e benevolenza. Non dobbiamo lasciarci sfuggire il presente, il “tempo” e il “campo” dove seminare l’amore che ci permetterà di non temere nessun evento improvviso. È il presente il “tempo” e lo “strumento” attraverso il quale possiamo sforzarci di entrare per la porta stretta, senza timore di incontrare il padrone di casa il quale, se avremo seminato amore e speranza, ci accoglierà e inizierà a servirci. Se Dio è caparbio nel desiderio di volerci con Lui, se ha mandato suo Figlio per rivelarsi definitivamente, se ci ha donato lo Spirito e possiamo gridare Abbà, non possiamo tirarci indietro ma dobbiamo sforzarci di entrare nel Regno! Non si entra nel Regno senza sforzo, senza fatica, senza vestito buono: come Gesù, dobbiamo anche noi perseverare.
La perseveranza è sinonimo di desiderio, di passione, di tenacia: sono le caratteristiche che hanno accompagnato Gesù nel mistero pasquale, che era totalmente volto alla nostra salvezza. Spesso ci riteniamo non obbligati alla fatica, all’impegno e non siamo perseveranti. Siamo stati, e in tante occasioni siamo, i beneficiari del sacrificio di Gesù ma non siamo pronti ad alcun sacrificio. Coloro che si sforzano di entrare attraverso la porta stretta sono i veri adoratori, i veri amanti di Dio, coloro che sanno prendere la loro croce ogni giorno, che sanno morire a se stessi per essere sempre più liberi da se stessi e lasciare spazio a Dio.
Potremmo cadere nell’errore di pensare che la porta si apra dopo la morte, che dobbiamo entrare nel Regno dopo la morte: niente di tutto questo! Ora è il momento di entrare per la relazione autentica, vera, intima con Dio, ora è il tempo di operare il bene, di rifiutare il male, di morire a se stessi. Ora è il tempo di entrare nella porta stretta. Ricordiamo le beatitudini, siamo beati qui e ora, quando ci sforziamo di entrare nel Regno, di imitare Gesù, di vivere la nostra vita in sua presenza: allora lo conosceremo intimamente. Quando saremo al suo cospetto, dopo aver varcato la soglia, non ci rifiuterà niente, perché qui e ora l’abbiamo conosciuto, l’abbiamo seguito, non ci dirà “allontanatevi”, saprà tutto di noi, da dove veniamo e quanta perseveranza e passione abbiamo messo nel seguirlo.
Ma tutto ciò è intimamente collegato a quanto si legge nella seconda lettura di oggi, tratta dalla Lettera agli Ebrei. Il Vangelo della porta stretta si coniuga con gli interventi di Dio nella nostra vita: le sue preziose correzioni. Questo aspetto è esposto così chiaramente, che non si può far altro che riportare gran parte del brano stesso, per rigustarne il sapore: “Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge colui che egli ama e percuote chiunque riconosce come figlio. È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre? Certo, sul momento, ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati”. La correzione divina è un grande favore del Signore nei nostri confronti, è un segno chiaro del suo amore paterno. La correzione immediatamente dispiace, è chiaro, ma arreca un frutto duraturo per la vita eterna.
In conclusione, impariamo dalla Parola di Dio odierna che è necessario sin da questa vita passare per la porta stretta e che il Signore non ci lascia soli in questo percorso: con la sua mano amorevole, che guida e che paternamente corregge, Dio ci riorienta sempre di nuovo verso il passaggio angusto ma salutare, che conduce alla beatitudine perfetta nella Gerusalemme celeste.

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Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre la seguente riflessione sulle letture liturgiche per la XXI.ma domenica del Tempo Ordinario – Anno C.
Come di consueto, il presule propone anche una lettura patristica.
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LECTIO DIVINA 
Lottare per entrare nel cuore del Padre
I bambini capiscono ed accolgono la Verità
1) La vera questione non è chi si salva, ma come ci si salva.
Nel brano evangelico di oggi ci viene descritto Gesù in cammino verso Gerusalemme, dove va morire e lungo la strada insegna a chi lo segue la via per entrare nella casa del Padre. Per sottolineare che la salvezza non è un problema di numero, perché essa è opera di Dio che vuole che tutti si siano salvati[1] e giungano alla conoscenza della verità, alla domanda: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?” (Lc 13, 23), il Messia risponde con un imperativo: “Sforzatevi!” (meglio: “Lottate”[2]).
La lotta di cui parla Gesù, alla luce della buona notizia (il Vangelo), è la lotta contro l'autosufficienza, contro la ricchezza del cuore che è concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi e superbia della vita.
Gesù invita ad accogliere la potenza salvatrice di Dio, impegnandosi con tutte le forze nel buon combattimento della fede, passando attraverso di Lui, che è la Porta, per cui si riesce a entrare nel cuore del Padre.
Ad entrare per questa porta sono i poveri in spirito, sono quelli che hanno piena e dolorosa coscienza della loro povertà spirituale, della imperfezione della loro anima, della scarsità di bene che c’è in noi. Solamente i poveri, che conoscono di essere davvero poveri, soffrono di questa indigenza e si sforzano e lottano per uscirne, mendicando la misericordia.
Ce ne sono testimoni ed esempio gli Apostoli, ai quali molto è stato perdonato, perché, eccetto in qualche momento, ebbero fede in Lui; perché si sforzarono di amarlo come voleva esse amato e perché, dopo avere abbandonato l’Amore nell’Orto del Getsemani, non Lo dimenticarono più e lasciarono per l’eternità la memoria delle sue parole e della sua vita.
Ora siamo nel tempo favorevole in cui è aperta la porta della Salvezza. E’ infatti il tempo in cui il Padre ci invita alla conversione, mediante la predicazione apostolica. La sapienza consiste nell’accogliere prontamente questo invito, che implica
-          una lotta per la perseveranza: “Non avete ancora resistito fino al sangue nella vostra lotta contro il peccato” (Eb 12, 4),
-          uno sforzo di fedeltà nella vita di ogni giorno: “Bene servo buono e fedele. Sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto: prendi parte alla gioia del tuo padrone” (Mt25,21),
-          una devota accoglienza della Parola: “A quanti l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome i quali non da sangue, né da volere id carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati” (Gv 1, 12-13).
2) L’ascesi di comunione[3]
La lotta a cui Cristo ci invita può essere chiamata anche ascesi [4], per cui si parla anche di palestra ascetica. Tuttavia va tenuto presente che l’ascesi non una ginnastica e neppure una lotta che calpesta non gli altri ma se stessi. Secondo me è prima di tutto una modalità di “lotta” (e molti sono i metodi ascetici), il cui scopo principale è la comunione con Dio. E’ soprattutto un cammino, un pellegrinaggio che è detto ascetico perché implica un esercizio, una tensione costante, stupita e energica verso l’alto, impegnando la propria vita nel desiderio della santità attraverso una «regola» di ascesi personale, di comunione vissuta e di carità. Per esempio, Giovanni Climaco (vissuto tra il 6° ed il 7° secolo) nel suo libro La scala del Paradiso sostiene che il cristiano in questo mondo è uno straniero di passaggio, che tende alla città di Dio, avanzando nel deserto pieno di pericoli e privo di consolazioni, come gli Ebrei pellegrini nel deserto per giungere al Monte Sinai dove Dio dà la Legge per l’alleanza di comunione.
“E l’ascesi è proprio questo: che diventi in noi familiare, nonostante tutto, la domanda della presenza di Cristo in ogni situazione della vita: a Cristo, Presenza che salva. A noi tocca camminare senza smettere di domandare”[5] e di tenere vivo lo stupore di essere amati.
La persona umana è in viaggio[6] perché è fuori di casa sua (come il figlio prodigo) e la sua casa è in qualche modo impossibile da essere raggiunta con le sole sue forze. Egli può essere risanato dalla grazia e l’ascesi è solamente una conseguenza di questa grazia che il Padre dona, con il suo perdono.
Certo va tenuto presente che lo sforzo spirituale, la vita ascetica sono facilitate e autenticate da una sequela ad una persona autorevole e ad una immanenza nella comunità della Chiesa.


Si pensi, per esempio, alla Vergine consacrate che vivono sulla forma di vita di Cristo e sono chiamate ad essere l’esegesi vivente della Parola di Dio, alla quale sono invitate ad accostarsi in modo costante. Alimentate dalla Parola, che è da loro ascoltata, accolta, contemplata, celebrata quotidianamente, vissuta come imperativo di vita, celebrano la Trinità, sono segno di fraternità e servono la carità. Giovanni Paolo II cita Paolo per affermare che “compito della vita consacrata è di lavorare in ogni parte della terra per consolidare e dilatare il regno di Cristo, portando l’annuncio del Vangelo dappertutto” (Vita Consacrata, 78; cf. Lumen gentium, 44).
Il Cristianesimo non sono regole da eseguire, ma un Amore da seguire umilmente, come ci ricorda il Vangelo ambrosiano di oggi: “In verità vi dico: Se non vi convertirete e non diventerete come bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli” ( Mt 18,3). E che altro significa divenire bambini se non divenire umili? Si chiedeva San Bernardo di Chiaravalle.
Ma per vivere l’amore e salvarsi occorre lo sforzo di imboccarne la via con umiltà e come insegnava il Card. John H. Newman avere il “culto degli affetti domestici” cioè l’amore dei parenti e degli amici è “la fonte di un amore cristiano più esteso”. Gli affetti domestici vissuti in una comunità concreta con altri sono una scuola che richiede atti di donazione e di abnegazione (quindi di ascesi) rendendo l’amore forte e perseverante.
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LETTURA PATRISTICA
Dai «Discorsi sul Cantico dei Cantici»di san Bernardo di Chiaravalle, abatesull’amore come ascesi
L'amore é sufficiente per se stesso, piace per se stesso e in ragione di sé. E' se stesso merito e premio. L'amore non cerca ragioni, non cerca vantaggi all'infuori di Sé. Il suo vantaggio sta nell'esistere. Amo perché amo, amo per amare. Grande cosa é l'amore se si rifà al suo principio, se ricondotto alla sua origine, se riportato alla sua sorgente. Di là sempre prende alimento per continuare a scorrere. L'amore é il solo tra tutti i moti dell'anima, tra i sentimenti e gli affetti, con cui la creatura possa corrispondere al Creatore, anche se non alla pari; l'unico con il quale possa contraccambiare il prossimo e, in questo caso, certo alla pari. Quando Dio ama, altro non desidera che essere amato. Non per altro ama, se non per essere amato, sapendo che coloro che l'ameranno si beeranno di questo stesso amore. L'amore dello Sposo, anzi lo Sposo-amore cerca soltanto il ricambio dell'amore e la fedeltà. Sia perciò lecito all'amata di riamare. Perché la sposa, e la sposa dell'Amore non dovrebbe amare? Perché non dovrebbe essere amato l'Amore? Giustamente, rinunziando a tutti gli altri suoi affetti, attende tutta e solo all'Amore, ella che nel ricambiare l'amore mira a uguagliarlo. Si obietterà, però, che, anche se la sposa si sarà tutta trasformata nell'Amore, non potrà mai raggiungere il livello della fonte perenne dell'amore. E' certo che non potranno mai essere equiparati l'amante e l'Amore, l'anima e il Verbo, la sposa e lo Sposo, il Creatore e la creatura. La sorgente, infatti, dà sempre molto più di quanto basti all'assetato. Ma che importa tutto questo? Cesserà forse e svanirà del tutto il desiderio della sposa che attende il momento delle nozze, cesserà la brama di chi sospira, l'ardore di chi ama, la fiducia di chi pregusta, perché non é capace di correre alla pari con un gigante, gareggiare in dolcezza col miele, in mitezza con l'agnello, in candore con il giglio, in splendore con il sole, in carità con colui che é l'Amore? No certo. Sebbene infatti la creatura ami meno, perché é inferiore, se tuttavia ama con tutta se stessa, non le resta nulla da aggiungere. Nulla manca dove c'é tutto. Perciò per lei amare così é aver celebrato le nozze, poiché non può amare così ed essere poco amata. Il matrimonio completo e perfetto sta nel consenso dei due, a meno che uno dubiti che l'anima sia amata dal Verbo, e prima e di più.
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NOTE
[1] Cfr, per es., Gv 3,16-21, 6, 26-70; Mt 19, 14-29; Rm 10, 5-21; Ef  2. 1-10; Tim 2, 1-8.
[2] Alla lettera Gesù dice “lottate per entrare per la porta stretta”, infatti nel testo greco c’è: “agonìzate” = lottate, da cui le parole “agone” e “agonia”. D’altronde Cristo sta andando a Gerusalemme per affrontare la sua passione, la sua agonia.
[3] “Ascesi di comunione” è un’espressione ed il titolo di un libro di Don Divo Barsotti.
[4] dal latino ascesis che deriva dal greco ἄσκησις derivazione di ἀσκέω cioè “esercitare”. La definizione che se ne dà è: “esercizio” o “pratica” spirituale e fisica, composta di preghiera, meditazione e varie attività anche fisiche per tendere alla perfezione interiore, per distacco dal mondo materiale per ascendere verso il Cielo. Il giudizio sulla realtà senza preconcetti alienanti, irragionevoli, richiede un «distacco da sé» (cfr. Lc 17,33), un lavoro faticoso che, nella tradizione religiosa, si chiama ascesi, e che può essere realizzato solo dalla persuasione dell’«amore a noi stessi come destino, come affezione al nostro destino, che è Dio.
[5] Luigi Giussani, Alla ricerca del volto umano. Contributo ad una antropologia, Milano 1995, p. 92.
[6] Ysabel de Andia, La Voie et le voyageur, Essai d’anthropologie de la vie spirituelle, Paris, Editions du Cerf, 2012, pages 1024. E’un saggio di antropologia che presenta l’uomo nel suo cammino verso Dio, dalla terra al cielo. “Straniero e viaggiatore sulla terra” (Eb 11, 13), l’uomo segue la via di Dio che si rivela in Cristo “Via, Verità e Vita” (Gv 14, 6).