giovedì 29 agosto 2013

Un volto che cerca il Volto.



di Angelo Scola *
in “Il Sole 24 Ore” del 28 agosto 2013
1 Rileggendo la prima Lettera pastorale del Cardinale Carlo Maria Martini - La dimensione 
contemplativa della vita, 8 settembre 1980 - si ha subito l'impressione di trovarsi di fronte ad una 
proposta quanto mai attuale. Sia pure in un clima molto lontano dall'euforia degli anni 80, preda 
dell'illusione del benessere a portata di mano, ancor oggi la nostra società, come tutto l'Occidente, 
mantiene «un indirizzo prevalentemente prassistico, tutto teso al "fare", al "produrre", ma che 
genera, per contraccolpo, un bisogno indistinto di silenzio, di ascolto, di respiro contemplativo» (La
dimensione contemplativa della vita I. 2). Trentatré anni dopo e immersi in un profondo travaglio, 
resta assai elevato il rischio di privilegiare la dimensione del "fare". Dimentichi o, almeno non 
pienamente convinti, della sua incapacità di soddisfare il desiderio costitutivo del nostro cuore.
Ma ancor più che su questa semplice constatazione vale la pena soffermarsi sul fatto in se stesso: il 
primo insegnamento offerto dall'arcivescovo al cammino della Chiesa ambrosiana ha avuto come 
contenuto una riflessione sulla contemplazione. Perché cominciare proprio da qui? Si può dire che 
la contemplazione sia un gesto alla portata di tutti? Una base su cui costruire il dialogo con le donne
e gli uomini del nostro tempo? Queste domande sono ancora più cogenti oggi. Negli ultimi decenni 
infatti e a ritmo incalzante abbiamo assistito alla trasformazione della nostra città in una metropoli 
veramente interculturale e interreligiosa. Chissà se a Milano si prega di più oggi che trent'anni fa... 
Certo è che a pregare non siamo più solo noi cattolici e, in questo senso, questioni di rilevanza 
sociale come quella dei luoghi di culto dei seguaci dell'Islam, rimettono nell'agone della pubblica 
discussione un argomento spiccatamene "religioso" come "la preghiera".
2 La complessa figura del Cardinale Martini, caratterizzata da aspetti non privi di intrinseca 
tensione, trova, secondo me, il punto focale proprio nella sua attitudine contemplativa. Nella sala 
d'ingresso dell'Arcivescovado sono appesi i ritratti dei cardinali di Milano miei predecessori. Quello
di Martini, opera del pittore Alessandro Papetti impressiona. Lo considero il meglio riuscito. Il 
colore dominante è il nero. Ciò rende, al primo colpo d'occhio, enigmatica tutta la tela fin quando lo
sguardo non si posa sul volto e sulle mani del Cardinale. A quel punto il ritratto ti coinvolge e 
capisci che l'artista ha colto il punto nodale della ricca personalità. Qual è?
L'apertura interrogante dell'uomo Martini verso il Mistero affidata dal pittore al volto, soprattutto 
agli occhi penetranti e alla posa della mani. Mani in movimento, quasi a riprendere la tensione dello
sguardo per darvi ulteriore intensità. E la croce pettorale che congiunge quello sguardo indagatore 
alle mani che ritmano la domanda.
E il ritratto non pone più il Cardinale di fronte allo spettatore, ma al contrario è il Cardinale che 
coinvolge quest'ultimo nel suo stare davanti a Dio. Una libertà finita che sobriamente si paragona a 
quella infinita di Dio. Questa è la contemplazione, la dimensione contemplativa del gesuita Martini,
l'antefatto, l'orizzonte, il precedente della sua riflessione e della sua azione. Tutto quello che, anche 
in questi giorni, viene scritto sulla figura, sul pensiero e sull'azione pastorale del Cardinale 
diventerebbe facilmente unilaterale se non fosse collocato in questa prospettiva unificante. 
3 Se di contemplazione si tratta allora è fondamentale, anzitutto, riconoscere il primato, l'imponenza
di Dio che ci viene incontro. Tale precedenza caratterizza la fede cristiana in quanto tale.
La centralità della dimensione contemplativa diventa nel Cardinale la "centralità" dell'uomo, di ogni
uomo credente e non. Dio ci precede, ci vuole "amici", veri interlocutori, co-agonisti dell'incontro 
con Lui, l'unico Protagonista.
Il cardinale Martini descrive l'uomo in questi termini: «Aperto al mistero, paradossale promontorio 
sporgente sull'Assoluto, essere eccentrico e insoddisfatto» (La dimensione contemplativa della vita 
I. 3). L'apporto dell'uomo al dialogo di amicizia con il Dio che lo precede è proprio la sua apertura, 
la sua sporgenza - il cui "paradosso" è dato sia dalla sua natura di creatura finita sia dalla sua 
condizione peccatrice -, la sua eccentricità - egli è ma non ha in sé l'origine né il fondamento del 
proprio essere - e, finalmente, in termini più esistenziali, il suo essere permanentemente "inquieto".

Apertura, sporgenza, eccentricità, insoddisfazione... non sono tutte categorie appropriate per 
descrivere la tensione positiva alla vita e alla vita per sempre che vive in ogni uomo rendendolo 
consapevole di non essere lontano da nessun altro uomo? Non esistono domande dei nostri 
contemporanei che non siano anche le nostre; le "periferie esistenziali" - per usare l'espressione di 
Papa Francesco - sono innanzitutto i confini della nostra stessa esperienza umana.
La dimensione contemplativa dell'esistenza, in questo modo, restituisce l'uomo a se stesso. Ecco 
perché non è possibile pensare la preghiera cristiana se non come relazione tra il Tu di Dio e l'io 
dell'uomo: «La persona, protagonista di ogni preghiera» (La dimensione contemplativa della vita II.
4).
4 Dove si incontrano la precedenza di Dio e la centralità dell'uomo? Dove è possibile parlare del 
rapporto tra la Trinità e l'uomo come un dialogo tra amici? In Gesù Cristo presente qui ed ora 
nell'Eucaristia che fa la Chiesa (cfr. La dimensione contemplativa della vita III. 1-3). 
Guardando Gesù che ci guarda impariamo il silenzio, il luogo per eccellenza della preghiera 
cristiana, condizione e frutto dell'atteggiamento contemplativo.
In questa luce si comprendono bene le parole del Cardinale Martini sul nesso eucaristia-carità: «Il 
frutto fondamentale dell'eucaristia è la carità, come capacità di dare la vita come l'ha data Gesù (...) 
Gesù dona la vita in nome e in forza di uno speciale rapporto 'contemplativo' con il Padre» (La 
dimensione contemplativa della vita III. 3). La comunione si rivela anche la forma piena di vita 
degli uomini, del rapporto con Dio e tra di loro. Quanto poi alla natura di questa comunione, Colui 
che si è lasciato innalzare sulla Croce per la nostra salvezza, cioè per la Sua e nostra risurrezione, ne
ha per sempre indicato la legge profonda: chi dà la sua vita la ritrova (cf. Gv 12,25).
5 «A pregare si impara pregando» (La dimensione contemplativa della vita IV. 1). Con questa 
semplice indicazione, che fa da portico alle parti quarta e quinta della Lettera, il Cardinale Martini 
richiama la libertà di tutti i cristiani a giocarsi nell'incontro con la Libertà di Dio. Da un certo punto 
di vista la libertà non si dà prima del suo effettivo mettersi in gioco. Allo stesso modo non è 
possibile dire in prima persona una parola sulla preghiera prima di pregare personalmente.
Guardando Gesù Cristo anche noi, come i discepoli, possiamo dire: «Signore, insegnaci a pregare» 
(Lc 11,1).
La mendicanza di Cristo, il grido dell'uomo che invoca da Lui la redenzione è l'esperienza radicale e
concreta del riconoscimento che per lo Spirito e solo per Lui la preghiera è possibile: «... lo Spirito 
stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali 
siano i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio» (Rm 
8,26-27).
6 La prima Lettera pastorale del Cardinal Martini riletta ora, alla fine del suo pellegrinaggio terreno,
esprime bene il centro della sua personalità, della sua testimonianza di vita, della sua azione 
pastorale, della sua passione civile, dell'indomito tentativo di indagare fino allo spasimo gli 
interrogativi brucianti dell'uomo di oggi. La ricca complessità della sua persona e del suo 
insegnamento continuano ad interrogare uomini e donne di ogni condizione. Lo sguardo austero ed 
indagatore, le mani ossute mosse da profonda inquietudine, il Crocifisso che tende dall'alto al basso 
e la Sua persona fasciata dalla nera veste del ritratto di Alessandro Papetti esprimono l'attrattiva di 
questo singolare arcivescovo di Milano. Un volto che cerca il Volto.

* Il Cardinale Angelo Scola è Arcivescovo di Milano